Fru: “Il ballo a Sanremo è un invito a fregarsene delle opinioni altrui. Nessuno sapeva, forse nemmeno Carlo Conti”

Gianluca Colucci in arte Fru dei The Jackal racconta i retroscena dell’incursione coi The Kolors all’Ariston: “Dietro le quinte ho pensato che mi avrebbero cacciato”. Un momento memorabile di Sanremo che per lui è molto più di una cosa stupida: “Per me racconta tanto, la voglia di accettarsi, ballare a prescindere”. Dopo avere invaso anche Amici, ora si prepara al ritorno di Pechino Express: “Garantisco una totale imprevedibilità”.
A cura di Andrea Parrella
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Sono bastati 60 secondi a Fru per lasciare il segno sul Festival di Sanremo 2025. Quando intorno alla mezzanotte del 15 febbraio scorso è salito sul palco dell'Ariston durante l'esibizione dei The Kolors nella serata finale, si è capito subito che quello sarebbe stato il vero fuori programma del Festival, ma anche il migliore dei meme possibili. Un'invasione di palco non programmata, ignota anche a chi, dietro le quinte, aveva la responsabilità di decidere chi sale o no sul palco. Lo ha raccontato Gianluca Fru in questa intervista a Fanpage, spiegando i retroscena di quel momento iconico, per Sanremo e per i The Jackal, dietro al qual si celava qualcosa di più di una semplice irruzione sul palco.

Sei, in un certo senso, il vero trionfatore dell'ultimo Sanremo. Alla vigilia nessuno lo avrebbe immaginato.

Non solo alla vigilia, proprio durante il Festival era imprevedibile salissi sul palco e, fino all'ultimo, ho temuto di non farcela.

È stata in bilico fino all'ultimo istante?

Mentre aspettavo di salire sul palco, dietro le quinte, una figura che credo fosse un direttore di palco mi ha visto e mi ha chiesto: "Ma tu chi sei?". Ero sicuro mi avrebbero cacciato e ho risposto: "Sono il ballerino dei The Kolors". Non mi hanno mandato via solo per una serie fortuita di eventi.

Possibile che Conti non sapesse nulla?

Non lo so se lo abbiano avvisato, o se sia successo a sua insaputa. Di certo so che questa persona dietro al palco, in uno spazio molto più piccolo di quanto grande ci immaginiamo l'Ariston, non sapeva nulla della mia presenza. "Ma lo sanno in regia?", mi ha chiesto.

Alla fine è andata bene. 

Non avevamo provato nulla, è stato bello perché l'idea era anche quella di mandare un messaggio positivo, fregarsene dell'opinione altrui. Devo dire che i The Kolors l'hanno sposata subito.

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Dopo c'è stata un'esplosione di popolarità anche presso quel pubblico generalista che non ti conosceva. 

Molti mi hanno scritto di aver dovuto spiegare al padre chi fossi. Sono abbastanza sicuro che per molte persone sono e sarò sempre il ballerino dei The Kolors e questo va benissimo. Non mi aspettavo questa risposta, ogni anno a Sanremo faccio questo format, ballare in strada male. È un video stupido che per me racconta tanto, la voglia di accettarsi, ballare a prescindere. L'idea folle di quest'anno era riuscire a ballare davanti a diversi milioni di italiani. La cosa può apparire sciocca, ma per me aveva un grande significato. Un'amica psicologa di recente mi ha scritto che un paziente ha citato quel balletto dicendo che avrebbe voluto lo stesso coraggio.

Hai spesso raccontato che l'intrattenimento ti ha aiutato a liberarti da alcune zavorre dell'adolescenza. Questo balletto sembra quasi un punto di arrivo, per quanto ironica sia la cosa. 

Quando qualcosa di semplice è ricco di un messaggio potente e sincero, secondo me arriva. In questo caso credo sia successo, è una stupida irruzione sul palco ma non voleva essere solo una stupida irruzione sul palco, una carica spontanea dietro al gesto c'è. In tutti i video che faccio cerco di portare questo elemento, un orgoglio verso se stessi da abbracciare. Non perché di mio abbia grande autostima, ma perché fa parte di un percorso di accettazione che non è stato facile sin da quando ero ragazzino, rispetto al mio modo di sentirmi diverso dal contesto in cui sono cresciuto. Quando sono riuscito a maturare questa sensazione di entusiasmo per il mio essere diverso rispetto agli altri, ho avuto uno sprint importante nella vita che un po' mi piace trasmettere. Forse io sono riuscito a farlo per coincidenze e provo a inserirlo come elemento intrinseco di tutto quel che faccio.

Quando dici che ti sentivi diverso, cosa intendi?

Per diverso intendo strano, anche se ho capito che in fondo strano non è nessuno. Mia madre da piccolo mi diceva: tu e tuo fratello non dovete fare le cose che fanno gli altri, dovete essere voi stessi. Mi sono portato appresso questa cosa sempre, anche a Sanremo. In più, c'era la voglia di ballare.

Da Sanremo ad Amici è un attimo, in due settimane hai fatto questa doppietta incredibile. 

La cosa ad Amici è nata in modo ancora più anomalo. Mi ha chiamato Stash pochi giorni dopo e mi ha detto: "In aereo tutti mi chiedono di te, vogliono sapere perché non ci sei", come fossi un membro aggiuntivo dei The Kolors così come loro sono membri onorari dei The Jackal. "Sto andando a fare una cosa a Roma, vuoi venire?". Mi ha portato ad Amici. È stato bello, ma molto più una goliardata che un'operazione. La cosa che mi fa ridere è che Ciro Priello, la cui somiglianza con Stash è preoccupante, come primo lavoro ha fatto il ballerino professionista. Ora sono io il ballerino dei The Jackal, evidentemente non è stato propedeutico per il suo futuro perché balla troppo bene. Dopo aver ballato ad Amici di Maria De Filippi temo che dovrò appendere le scarpette al chiodo.

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Involontariamente il balletto ha una sua coreografia. Tutta farina del tuo sacco, o ti ha aiutato qualcuno?

Da solo, a casa, ho dovuto immaginare il palco dell'Ariston come il mio bagno, dopo la doccia, davanti allo specchio.

I The Jackal sono stati i primi a capire che Sanremo, da polveroso e vecchio qual era prima dell'era digitale, potesse diventare un motore per chi attraverso i social fa intrattenimento. Il tuo approdo all'Ariston rappresenta la chiusura del cerchio?

Noi da anni facciamo operazioni pirata con Sanremo, da quando rapimmo Favino fingendo che in realtà sul palco ci andassi io con una sua maschera, a quello che è successo quest'anno, fa tutto parte del nostra DNA di rottura, di digital che irrompe nella televisione. Noi siamo corsari. Arrivare a toccare il palco di Sanremo viene dalla nostra capacità di non sentirci mai arrivati. Sarà interessante capire cosa ci inventeremo tra un anno.

Diventerà sempre più difficile rimanere outsider. 

Sì, già adesso lo è, però quando fai le cose con spontaneità, sei outsider nel tuo modo di pensare. Anche se oggi lavoriamo molto di più in Tv e non siamo più "quelli del web", credo che continuiamo ad essere noi, ad essere veri.

Tu appartieni alla seconda generazione dei The Jackal, arrivi dieci anni dopo la loro fondazione. Come ci sei entrato?

Ho iniziato a lavorare con loro a febbraio del 2016. Al tempo la mia generazione ha visto arrivare il web e digital in età adolescenziale, questo ci ha dato modo di capire in anticipo come utilizzare questi strumenti in modo diverso. Io ho iniziato a fare video da piccolo, l'elemento del ballare male c'era già allora, è cambiato solo il dove lo faccia, dalla stanzetta a Sanremo. La fortuna ha voluto che i The Jackal mi individuassero dopo un paio di anni di scarsi risultati. Da lì ne è nata una fase che racconterò nella mia autobiografia che uscirà quando avrò 65 anni.

Ora invece ti prepari al ritorno di Pechino Express, che è stato un tuo modo per portare i The Jackal fuori da essi. A Pechino hai inventato un ruolo. 

Sì, io ho la grande fortuna di lavorare a questo programma che adoro e che piaceva molto a casa. Mia zia Luciana lo ha sempre adorato, mia madre ha sempre pensato che Costantino sia identico a Fabiano, mio fratello. Ricordo che terminato il viaggio da concorrente ho pensato che tornare mi sarebbe piaciuto tantissimo. Io amo la geografia, chi mi conosce sa che ho questa passione per le bandiere, mi fanno venire ancora più voglia di viaggiare. I The Jackal li porto ovunque, trovo sia bello fare progetti personali che assecondino la vocazione di ognuno. Dico sempre che è come i film Marvel, belli i progetti singoli, ma poi sono gli Avengers che spaccano.

Che dobbiamo aspettarci da Pechino quest'anno?

Provano a non sembrare paraculo, direi che Pechino Express bene o male è sempre uguale come una serie Tv, ma l'elemento è sempre cruciale. Il cast di quest'anno è apertamente meno conosciuto rispetto agli altri anni, però garantisco una totale imprevedibilità. Non conoscere bene i nostri concorrenti credo sia la forza di questa edizione. Di qualcuno che conosciamo, magari ci aspettiamo ogni tanto delle cose. Di Caressa potevamo immaginare fosse un po' rosicone, quest'anno è veramente difficile sapere cosa possano fare i nostri concorrenti e vi garantisco che non potrete averne idea. Secondo me è il cast più sorprendente di Pechino Express.

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