Franco Bragagna: “Parigi 2024 la mia ultima Olimpiade con la Rai, non so come saluterò dopo 30 anni”
Se esiste una voce che in Italia rappresenta più di tutte le Olimpiadi e l'atletica, allora stiamo parlando di Franco Bragagna. Giornalista storico della Rai, anche in questi giochi di Parigi 2024 è stato colonna portante delle gesta degli atleti, ma domenica 11 agosto, dopo oltre 30 anni, saluterà i giochi olimpici. Quella in corso è infatti l'ultima edizione estiva che Bragagna racconterà ai telespettatori Rai, dopo quelle invernali del 2026 andrà in pensione. C'è la sua voce ad accompagnare il record di Bolt, così come nel '95 raccontava i due record di Jonathan Edwards nel salto triplo, c'era il suo timbro a scandire gli ori di Tamberi e Jacobs nel 2021. Parlare con Franco Bragagna significa ripercorrere più di tre decenni di storia dello sport e lui si è raccontato in questa intervista.
A pochi giorni dalla chiusura di questi giochi che bilancio fai della spedizione?
Complessivamente sta andando piuttosto bene, una volta esultavamo per una medaglia conquistata, oggi guardiamo con timore alla possibilità di non vincerne una in una giornata.
È testimonianza di cosa?
Che lo sport italiano è cresciuto molto, ciò che non è bello è che questi avrebbero potuto essere giochi italiani anche se, pur essendoci qui a Parigi un'organizzazione che fa acqua in molti aspetti – e non parlo solo dell'acqua della Senna – ammetto che avrei avuto grandi timori nell'organizzazione di giochi olimpici in casa nostra.
L'Italia in effetti anni fa si tirò indietro dalla corsa per l'assegnazione di questi giochi, ammettendo di non essere in grado.
Sì, una Roma 2024 mi avrebbe fatto tremare per tutte le complicazioni che l'organizzazione di un evento del genere comporta, però se ci tiriamo indietro a monte è una sconfitta in partenza: quand'è che riusciremo a diventare paesi da primo mondo?
Allo stesso tempo ci affacciamo verso le Olimpiadi invernali del 2026.
Che rispetto ai giochi olimpici estivi sono effettivamente quisquilie, ma è significativo che anche su Milano-Cortina riusciamo a non brillare. Una riflessione di sistema andrebbe fatta.
Perché intanto la cultura sportiva in Italia è cambiata molto, non siamo più un paese calcio-centrico.
Questo sì, la pratica è certamente più diffusa. Poi l'attenzione della gente rispetto ad altri paesi è diversa, già se consideriamo la Francia come termine di paragone. Da noi ogni quattro anni si accende una fiammella e scopriamo certi sport, che guardiamo anche sorridendo e qualcuno si ritiene perfino esperto. È una cosa che andrebbe alimentata di più. Cosa diversa, però, è la crescita complessiva del movimento, esempio è la Gran Bretagna.
Ovvero?
Ad Atlanta '96 conquistarono una sola medaglia d'oro e poche altre cose. Sono passati gli anni, di mezzo ci sono stati i giochi del 2012 e oggi non c'è sport dove non siano presenti. In Italia si praticano tutti gli sport in assoluto e adesso comincia ad esserci un'evoluzione anche di discipline una volta meno nobili, basti pensare che l'Italia per la prima volta torna a qualificarsi ai mondiali di pallamano, non succedeva dal '94. Qui e lì, con nicchie, possiamo lavorare bene e c'è un sistema che, grazie al meccanismo dei gruppi sportivi di polizia o militari che paga il contribuente, consentiamo di avere un buon livello tutta una serie di discipline secondarie.
Lo sport, d'altronde, è forse uno dei pochi ascensori sociali rimasti.
Certamente abbiamo un sistema più democratico anche se, attenzione, oggi le famiglie pagano per lo sport.
Un tratto che unisce quelle fiammelle che si accendono ogni quattro anni è la tua voce. Sono in molti ad essersi affidati a te quasi in senso fideistico: ne ha consapevolezza?
Mi onora, mi piace, mi imbarazza, mi piacerebbe tanto fosse così. Se però un paese civile ha bisogno di una voce per legarsi a questi sport c'è da riflettere. Non voglio assolutamente essere critico, l'idea di aver seminato delle cose in tanti mi fa molto piacere, anche se non sono di quelli che ama salire su un palco. Faccio questa cosa, non so per quanto altro tempo, e lo considero un privilegio.
Il lavoro che hai fatto quanto si è avvicinato a quello che avresti desiderato fare?
Da bambino mi sarebbe piaciuto fare quello che faccio, ho avuto la fortuna di farlo anche per tante casualità successe nella vita. Me la sono sicuramente goduta. Poi io non sono di quelli che vanno a sfogliare album di fotografie, ho le mie immagini mentali, sono capace ad emozionarmi da solo per i miei singoli ricordi, ma conservo molto poco anche di fisico e digitale.
Sei all'ultima olimpiade estiva.
Almeno per la Rai, sì.
Il fatto che fosse l'ultimo giro ti ha condizionato in queste due settimane?
Devo dire di no, sono un fatalista e non volevo drammatizzare troppo su questo ultimo giro di giostra, perché la giostra è tutt'ora una bella giostra.
Le storie azzurre, al netto della loro rilevanza oggettiva, hanno sempre avuto un trattamento paritario da parte tua, come segnali di un'allergia allo sciovinismo e alla faziosità.
Considero lo sciovinismo una grande forma di provincialismo. A proposito di Chauvin (un militare francese cui è associata l'idea di faziosità, ndr) in questi giorni sento i francesi fare telecronache e dire regolarmente "allez la France, allez la France!". Lo trovo poco professionale, io accompagnerei anche l'intensità del momento nel singolo sport, ma dire cose come Forza Italia sarebbe una forzatura.
Il tema del coinvolgimento emotivo è l'elefante nella stanza quando si parla di telecronache.
Se io fossi il telecronista di una partita di calcio, davanti a una partita modesta non dovrei renderla con i toni ciò che non è. Ciò che raccontiamo può essere noiosissimo e allora il tono di voce cambia, diventa un dato giornalistico, così come lo è l'accompagnamento del tono di una partita intensissima. Noi però abbiamo un vantaggio, a differenza di un film che se parte noioso difficilmente morirà diversamente, la partita si può infiammare in una frazione di secondo.
Che è un po' ciò che accadde in quei dieci minuti di Tokyo 2020 con i due ori di Jacobs e di Tamberi.
Assolutamente, un inatteso evento di valore sportivo e altamente sociale, perché lì siamo andati oltre. Non era inimmaginabile e non pensavo ci potesse essere così tanta gente davanti alla Tv, era una domenica pomeriggio in Italia. I giorni dei giochi olimpici, d'altronde, per chi ci sta dentro, sono praticamente tutti uguali.
Passiamo a queste Olimpiadi, che atmosfera si respira a Parigi?
Sono scappati via i parigini, sono arrivati tanti da fuori, ma non c'è quel blocco pauroso che ci si attendeva.
Quindi un po' sottotono?
Assolutamente no, perché poi tu vai negli stadi di ogni tipo e trovi tanta gente da tutto il mondo, ma fuori non trovi il traffico che anche i parigini temevano.
La gestione logistica c'è stata, quindi?
Insomma, perché i trasporti che solitamente funzionano bene hanno un po' latitato. Una metropolitana così funzionale non può chiudere così presto alla sera durante i giochi olimpici. Rendi la Senna balneabile e chiudi la metropolitana la notte?
Parigi 2024 si ricorderà come un'edizione dei giochi segnata da un cambio di temi, una cesura generazionale, atleti giovani che combattono l’abituale narrazione dell’indispensabilità del successo e lo sport come un ambito iper competitivo. Che idea ti sei fatto?
Gli atleti che arrivano qui dovrebbero avere la mente sgombra per pensare solo al loro compito, quello di provare ad andare il più forte possibile, perché tanto il giorno dopo la domanda, in un senso o nell'altro, arriverà. In questi sport, inoltre, il capolinea del quadriennio rappresenta un insieme di cose. Statisticamente i due terzi degli atleti che partecipano alle olimpiadi fanno solitamente una sola edizione dei giochi, quindi ragionare sul quadriennio prossimo ha un senso.
Simon Biles che chiede di smettere di chiedere agli atleti che hanno vinto l’oro quali obiettivi abbiano in futuro. L'idea che gli atleti forzino le regole d'ingaggio con la stampa è una novità di queste olimpiadi.
In questi anni si è moltiplicato il numero di mental coach, psicologi, una volta era tutto più semplice, bastava l'allenatore con la pacca sulla spalla. È giusto che un atleta riesca a parlare meglio con se stesso e a se stesso, ma il fatto di avere per forza la necessità di doversi raccontare a un estraneo è decisamente di questa generazione e credo non sia solo una questione sportiva.
Che pensi di quanto accaduto con Sinner?
È sorprendente che uno che viene da dove viene lui, con una mentalità in quella zona fortemente aperta alla pratica dello sport in generale, la prima volta abbia snobbato i giochi e alla seconda gli sia bastata una tonsillite per evitarli. Credo tuttavia che lì il problema sia legato all'asimmetria tra l'associazione ATP e la Federazione che organizza Coppa Davis e Olimpiadi.
Le Olimpiadi per un tennista hanno meno appeal che per altri sportivi?
Il tennis alle olimpiadi è come se non esistesse, è uno sport che ha una sua vita propria come il calcio. Quest'anno c'è stato un iceberg particolare, il caso Djokovic che ha fatto del suo patriottismo serbo, Nadal che voleva chiudere qui simbolicamente, Murray che aveva gli stessi intenti.
Cerimonie di apertura e chiusura, dal '98 spettano a te e sembrano la cosa più difficile da raccontare. Non hai mai avuto il terrore del vuoto, di non sapere cosa dire?
In me, entro certi limiti, questo terrore non c'è mai stato. La cerimonia d'apertura è normalmente più complessa di quella di chiusura, in questo caso lo è stata ancora di più perché siamo stati messi in situazioni drammatiche. Non hanno fatto prove generali, se le hanno fatte è avvenuto a pezzi, molte cose non sono nemmeno andate in Tv, la pioggia fortissima ha anche complicato le cose.
Perché non c'è stata una prova generale?
Secondo me la cosa è stata legata a premure in relazione a un tema di sicurezza. Le idee che aveva il regista, sicuramente un genio, non hanno trovato assolutamente riscontro nella trasmissione della cerimonia. Il supporto che ci hanno fornito è stato il peggiore in assoluto da quando mi occupo di queste cose.
Al netto del colpo d'occhio, insomma, non è stato un bello spettacolo per voi.
I Capi di Stato che devono stare sotto quella pioggia è una cosa assurda, una dimostrazione di disorganizzazione plateale, pare ci sia un elenco infinito di cose che erano state organizzate e non sono andate in onda, forse proprio per la pioggia. Inoltre non c'è stata alcuna attenzione ai portabandiera, hai avuto Lebron James che è un'icona planetaria e quasi non lo abbiamo visto. Ci sono passaggi che vanno salvaguardati al netto della parte artistica.
Ne sono venute fuori anche polemiche.
L'intento era quello di mostrare un paese molto aperto all'integrazione, ma sbattuto in faccia in quella maniera rischia di avere un effetto contrario. La stessa cena dionisiaca è parsa uno schiaffo perché forse c'erano altre cose che sarebbero dovute andare in onda e non ci sono state per problemi vari.
Torniamo al passato. Nel 2012 Rai smette di essere l'unico riferimento di racconto olimpico e ricordo la tua polemica con Sky. Questa cosa ha migliorato il vostro lavoro o è stata penalizzante?
Non direi che è stata penalizzante. Allora alcune cose allora mi colsero anche un po' impreparato perché c'era stata una serie di attacchi al nostro modo di produrre gli europei 2012, in parte anche condivisibili, e quelle stesse persone si avvicinavano alla prima trasmissione dei giochi olimpici con la sublime leggerezza di chi si ritiene numero uno. Ma se sei numero uno del calcio, non sarai numero uno anche nel rugby e la scherma, perché sono altri mondi. Nel 2012 Sky fece una cosa mirabolante e meravigliosa, che ha poi pagato negli anni. Ma sono cose che ho capito negli anni da abbonato Sky, felice di esserlo. Non so come stiano andando le cose con Discovery, non so quale sia il meccanismo e probabilmente me ne accorgerò nelle prossime settimane guardando le repliche.
Una caratteristica di Discovery, molto usata sui social, è l'inquadratura di cronisti e commentatori mentre raccontano i momenti topici. Che ne pensi?
La trovo una sgrammaticatura, sono una voce e non un volto. Il telecronista è chi racconta, con tutte le sfumature che contiene un cambio di voce o di frequenza. Come sempre quando accendi una telecamera vedi che c'è una perdita di naturalezza nella persona che deve fare cose che non avrebbe fatto, nella gioia e nel dispiacere. Io sono ancora legato a un ragionamento molto giornalistico: la cosa che emerge deve essere quella che fa notizia.
"Otto uomini veloci, anzi sette, uno velocissimo", la frase pronunciata prima del 9.58 di Bolt nel 2009. Che idea hai di tormentoni e frasi ad effetto?
Non li amo, quando compaiono slogan provo a non appropriarmene. Rino Tommasi non ha mai amato che si parlasse di una finale come di una finalissima, però il suo cartellino era personalissimo. Quando mi accorgo che sto eccedendo in alcune formule, me ne tiro subito fuori. Ci sono colleghi che si scrivono il finale, ma secondo me è pericolosissimo, perché diventi schiavo del fatto che quella cosa debba accadere per forza, perdendo di spontaneità.
Un esempio?
Erano gli anni Novanta e ritenevo che pronunciare la parola "pubblicità" non fosse corretto verso il pubblico e, soprattutto, per un giornalista. Quindi dicevo "pausa per noi", ma in fondo quella cos'era se non pubblicità? Andava indicata per ciò che era.
Domenica 11 agosto si chiudono i giochi. Hai preparato qualcosa da dire per l'ultimo evento?
No e non lo farò. Potrebbe essere che l'ultimo giorno in cui andrò al microfono saluti il pubblico in maniera diversa, ringraziando.
Impossibile non chiederti di un erede possibile.
In giro vedo persone, a me piace molto Stefano Rizzato, Dario Di Gennaro, Tommaso Mecarozzi, che ha un'incredibile capacità di adattarsi al ritmo di qualsiasi cosa debba raccontare, fosse anche un abat jour.
Nella moltitudine enorme degli sport raccontati, ce n'è uno che ti manca?
A me piacciono gli sport un po' minori, penso al rally, molto difficile da trasmettere. Proprio perché sono uno che punta alla cosa che colpisce meno, non quella che colpisce tutti: il rally anziché la Formula 1.
Hai mai detto no a qualcosa?
Marino Bartoletti mi propose, all'epoca di Tomba, di commentare lo sci alpino. Onorato dissi no, con lo sci di fondo mi trovavo benissimo.