video suggerito
video suggerito

Francesco Russo: “Ho reso simpatico il braccio destro di Mussolini, ma la serie non rinnova il mito del fascismo”

A Fanpage.it parla il Cesare Rossi della serie Sky M. – Il figlio del secolo tra studio e costruzione di un’amicizia tossica con Benito Mussolini: “Ho immaginato che avesse una sindrome di Stoccolma nei suoi confronti”. E sulle polemiche: “La serie non rinnoverà il mito del fascismo”.
19 CONDIVISIONI
Immagine

"Non voglio essere presuntuoso, ma credo che il 90% degli italiani non conoscesse Cesare Rossi". Francesco Russo sorride mentre lo dice, e in effetti ha ragione. Prima che M. Il figlio del secolo arrivasse su Sky, in pochi sapevano chi fosse il primo "spin doctor" di Mussolini, l'uomo che contribuì alla costruzione del regime prima di esserne inghiottito. A 31 anni, Russo si è trovato a dare volto e voce a uno dei personaggi più controversi della serie tratta dal romanzo di Scurati, finita al centro delle polemiche per la sua rappresentazione del fascismo. Ne parla in questa lunga intervista a Fanpage.it.

"Ho lavorato sul rapporto tossico con Mussolini come se fosse affetto dalla sindrome di Stoccolma", ci racconta mentre la serie continua a far discutere l'Italia, tra le recenti critiche di Ignazio La Russa e le continue polemiche sulle parole di Luca Marinelli. Un ruolo che ha richiesto tre livelli di costruzione del personaggio, dallo studio delle fonti storiche al lavoro sul set con Marinelli, passando per i dialoghi con il regista Joe Wright. E pensare che all'inizio non sapeva nemmeno se avrebbe ottenuto la parte: "Per scaramanzia, quando faccio i provini cerco di informarmi il meno possibile".

Francesco Russo nel ruolo di Cesare Rossi nel primo episodio della serie.
Francesco Russo nel ruolo di Cesare Rossi nel primo episodio della serie.

Francesco, conoscevi il personaggio di Cesare Rossi prima di lavorare a questa serie? 

Non voglio essere presuntuoso, ma credo che la maggior parte degli italiani non lo conoscesse. Ma io, a essere sincero, ero proprio mancante dei principali elementi della storia del Fascismo. Questo lavoro mi è servito anche a questo, a esplorare quest'epoca così nera che studi per sommi capi a scuola, quando ti va bene. Magari ti capita anche qualche professore che inizia sfoggiare un po' il revisionismo spicciolo che diventa semplicemente "è stata una dittatura, ma ha fatto anche cose buone".

Come hai approcciato al personaggio? 

Ho lavorato in vari modi. Ho fatto ricerche personali, degli incontri con Joe Wright e poi sul set con Luca Marinelli. Ci sono stati quindi questi tre livelli di costruzione del personaggio. Il primo livello è stato quello di informarmi. Lui, essendo un giornalista, e il giornale era l'unica tecnologia disponibile per la comunicazione in quell'epoca, è stato anche una sorta di spin doctor per Mussolini, tant'è vero che lui prese proprio l'incarico di ufficio stampa della Presidenza del Consiglio. Poi, ho scoperto che Cesare Rossi aveva scritto dei libri dopo il '45 dove racconta proprio quel periodo della storia fascista, racconta il suo rapporto con Mussolini e cerca anche di giustificare un po' il suo pensiero. Una cosa che mi aveva colpito è che lui comunque, nonostante cercasse di giustificare il suo modo la sua condotta politica, non riusciva mai a parlare male di Mussolini, nonostante Mussolini sia stato poi quello che alla fine l'ha tradito.

Cosa scriveva Cesare Rossi del fascismo?

Scriveva di come sarebbe potuto essere il fascismo senza Mussolini, senza il delitto Matteotti. È una cosa che mi ha colpito molto. A quel punto, ho lavorato su un rapporto di amicizia tossica, come se Cesarino Rossi fosse contento di stare accanto a Benito Mussolini, perché lo vede come un amico, come una persona con cui condividere le cose, non riuscendo mai a capire chi avesse di fronte. Ho immaginato che fosse affetto da una sindrome di Stoccolma nei confronti di Mussolini. Un terzo livello che è venuto fuori lavorando con Luca Marinelli è che quest'amicizia era quasi infantile. Noi ci comportiamo come quei bambini che sbattono i pugni sul tavolo, i piedi per terra, urlando per avere ragione. È un rapporto infantile tra due maschi tossici, quello Alfa che vuole continuamente stare in prima linea, quello Beta che non prende mai posizione, che se ne sta vigliacco e cerca continuamente di trovare un equilibrio.

Sulla coppia con M. mi sono venuti in mente due grandi archetipi pop di coppia tossica. Donnie e Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, ma soprattutto per la carica grottesca, quasi da cartoon, quella di Smithers e Mr. Burns dei Simpson. Tu come la vedi? 

Possiamo fare una letteratura sugli archetipi di questo tipo. I Simpson l'hanno utilizzato benissimo, ma possiamo andare ancora più indietro: il servo e il padrone della commedia dell'arte, Don Chisciotte e Sancho Panza. Direi di sì, siamo una derivazione di tutti questi archetipi. È funzionale nel racconto al fatto che una cosa importante che noi vogliamo raccontare è come da una farsa si sia arrivati a una tragedia.

Francesco Russo e Luca Marinelli in una foto di scena di M. Il figlio del secolo.
Francesco Russo e Luca Marinelli in una foto di scena di M. Il figlio del secolo.

Come hai lavorato sul dialetto? 

Ho cercato di lavorare sul dialetto toscano senza prendere proprio una precisa cadenza provinciale per il semplice fatto che ho visto che lui nella sua vita aveva molto girato, aveva vissuto con uno zio in Abruzzo, mi sarebbe piaciuto anche imbastardire un po' con qualche reminiscenza abruzzese. Mi ha divertito lavorare su un modo di parlare toscano in maniera grezza. Non moderna o contemporanea, ma proprio grezza, ecco. Siamo in tempi dove non c'era la televisione italiana, non c'era nessun programma nel quale si insegnava la lingua italiana.

Qualcuno ha parlato – magari aprioristicamente – di riduzione dei personaggi al livello di una macchietta. 

In un'intervista, Giorgio Almirante dice che "lo stile mussoliniano è ridicolo. Se io mi mettò così" – e si mette nella famosa posa di Mussolini – "lei giustamente si mette a ridere". E lo dice Giorgio Almirante. Poi, le macchiette esistono nella vita. Il mio personaggio ho cercato di modularlo simpatico e comico volutamente, perché non è detto che una persona simpatica sia per forza una persona perbene, anzi. Quando io ho letto i libri di Cesare Rossi, ho notato che sono infarciti di calembour, di una prosa brillante e veniva fuori questo contrasto tra un lato comico e dall'altro di una persona che invece era pericolosissima. Io non faccio mai il saluto fascista nella serie, Cesarino Rossi non fa il saluto fascista eppure si comporta da tale più di altri, utilizza il pensiero basato sulla violenza e sulla mera conquista del potere, sul cambiare idea in base a quello che serve per avere potere oppure no. Sulla questione fisica, poi, ho studiato sulle foto dell'epoca – non dei singoli personaggi – ma proprio di quell'epoca per capire e vedere quali fossero le posture. Vedevo di continuo gente che si tocca, che si abbraccia. In quell'epoca, i maschi amano toccarsi tra di loro, darsi pacche sulla spalla, sulla testa. Credo che venga un po' dalle vite militari e dall'uscita dalla prima guerra mondiale. E quindi, altro che macchietta. Ci sono delle cose, dei modi di fare arcaici e antichi, che magari oggi vengono viste come tali.

Ignazio La Russa, presidente del Senato e seconda carica dello Stato, ha detto: ho visto la fiction e preferisco il libro, e ho detto tutto. Lì almeno c'è scritto chiaro "romanzo". 

E vabbè, se lo dice lui. Io, il libro di Scurati l'ho letto un mese prima di cominciare le riprese. È chiaro che un libro è molto più pieno di una serie tv, ma sono due linguaggi completamente differenti e non mi piace mai paragonare le arti. Questa è una cosa importante: la serie è un'arte, il libro un'altra.

Le polemiche hanno coinvolto soprattutto Luca Marinelli dopo le sue parole in un'intervista a Walter Veltroni. Marinelli ha parlato di sofferenza, da antifascista, nel realizzare questo ruolo. 

Quello è un sentimento che lui ha espresso anche durante la lavorazione, era qualcosa che era molto vivo. Io quel sentimento non l'ho provato con dolore, ero contento e curioso di documentarmi e mettere in scena questa storia e ci sono pure rimasto male quando è finito, perché mi sarebbe piaciuto lavorare ancora in quel modo. Però, il mio ruolo è differente da quello di Luca. Il mio personaggio ha una totale incoscienza di quello che sta succedendo, non riesce a capire dove si può arrivare mentre Benito Mussolini ha una totale consapevolezza, ha una visione della violenza che è abbastanza programmatica. Poi, ha dovuto ingrassare 25-30 chili, non è facile fare quello che ha fatto lui.

Anche tu hai interpretato una forma prossima al male, penso a Bruno Soccavo ne L'Amica Geniale. La scena del tentato stupro a Lila nell'essiccatore. 

Ecco. E dopo quella scena ricordo benissimo che a fine giornata non sono stato molto bene. Ero disorientato. Mi chiedevo come mai? Quindi, certo, recitare è una cosa tecnica ma quello che ha detto Luca Marinelli riguarda qualcosa di molto più profondo. Tu sei lì, reciti col tuo corpo, il tuo corpo ti induce a certi sentimenti. Credo che le polemiche su di lui, siano polemiche volute. Quando gli dicono "fai il tuo lavoro e basta", ma quello è il suo lavoro.

Francesco Russo nel ruolo di Bruno Soccavo ne "L'amica geniale"
Francesco Russo nel ruolo di Bruno Soccavo ne "L'amica geniale"

Due estati fa, Repubblica esce con un pezzo che parla di un libro di un autore sconosciuto, un libro pieno di teorie bislacche, più o meno difficile da leggere senza sbadigliare, e oggi quell'autore è un parlamentare europeo. Ti chiedo, alla luce di questo: non è che M., rompendo la quarta parte, finisce per rinnovare il fascismo perpetuandone l'estetica?

No, non sono assolutamente d'accordo. Il gioco della rottura della quarta parete, tanto criticato, crea una tecnica che nel cinema è poco utilizzato mentre nel teatro è molto più presente, che è lo straniamento brechtiano. Ovvero lo spettatore non è passivo, non prende solo informazioni da ciò che vede come nel caso del libro, ma viene interrogato e assiste allo sdoppiamento di Mussolini e degli episodi. Ti fa vedere l'episodio e magari un mezzo nostalgico fascista si potrà pure esaltare vedendo le scene, ma io dico proprio il contrario: secondo me la rottura della quarta parete non rende affascinante il personaggio. Poi, più andiamo avanti nella serie, più la quarta parete piano piano viene abbandonata. Mussolini esce fuori come una bestia, come un mostro, così come tutti gli italiani che l'hanno sostenuto e hanno creduto in quel modo di fare, che a me non piace neanche chiamare ideologia. Il fascismo non è un'ideologia. E lo spettatore, magari avrà una reazione allergica, ma non mi sento di dire che empatizzerà, farà il tifo con persone che ne ammazzano altre.

A 31 anni, tu hai già fatto cose notevoli. In ordine sparso, "A classic horror story", dell'Amica Geniale abbiamo detto, Freaks Out, un piccolo passaggio anche in Parthenope di Paolo Sorrentino. Che cosa ti aspetta, adesso? 

Torno a un thriller per la regia di Gianluca Manzetti, si chiama Dedalus con Matilde Gioli. Sono molto felice di lavorare con un regista che avevo apprezzato per la sua opera prima (Roma Blues, ndr). Poi ho preso parte a una divertente commedia sul Fantacalcio per Netflix, diretto da Alessio Maria Federici, ma non posso dire di più. Lavoro con tante bellissime persone. E, infine, ho avuto un piccolo ruolo per la serie di Marco Bellocchio, Portobello, sulla vita di Enzo Tortora.

19 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views