Francesco Ebbasta: “Negli 883 rivedo i The Jackal. Sogno di fare un videogioco, è regia senza limiti”
Gli 883, Pesci Piccoli, la storia dei The Jackal. Le ultime esperienze lavorative di Francesco Ebbasta sembrano legate da una matrice comune, invisibile ma ingombrante, che tiene insieme Hanno ucciso l'uomo ragno, la serie dedicata all'epopea di Max Pezzali e Mauro Repetto di cui ha diretto tre episodi, e il secondo capitolo della serie targata interamente The Jackal, in lavorazione in queste settimane. Una matrice nostalgica, sentimento cardine della generazione che ha vissuto il passaggio dall'analogico al digitale, che Ebbasta, all'anagrafe Francesco Capaldo, ha raccontato con diverse sfumature in questi anni. Ne parla in questa intervista a Fanpage, che è anche un modo per riavvolgere il nastro della storia dei The Jackal dagli inizi, percorrendo l'incredibile parabola, i ricordi e anche qualche rimpianto.
Partiamo da Hanno ucciso l'uomo ragno, serie dedicata alla genesi degli 883. Dirigi tre episodi e la prima volta racconti storie di altri.
È stato un percorso terapeutico, una prima volta per molti motivi. Ho collaborato per la prima volta a un progetto che non avevo ideato e questo mi ha permesso di guardare per la prima volta il mio mondo dall'altra parte. Era la prima volta che mi cimentavo in un biopic, la prima in cui avevo a che fare con scene di una certa tipologia, come concertoni con migliaia di comparse.
Nonostante questo gli 883 hanno sempre fatto parte del tuo immaginario.
Erano nelle mie corde, sì, e penso siano nelle corde di molti. Avevo già collaborato con Max per un corto di dieci anni fa ("30 anni", ndr), ma di fatto io sono cresciuto con loro, la mia prima musicassetta era degli 883 ed essendo uno di quei registi brutti che si dedica a un progetto nel momento in cui un progetto tocca le sue corde, ho accettato perché questo lo faceva. Con Max e Mauro ho imparato le prime parolacce, si percepiva allora il portato della loro rivoluzione.
Senti che la storia degli 883 abbia qualche punto di connessione con quella dei The Jackal?
Sì, la storia degli 883 è quella di due ragazzi che dalla provincia realizzano un sogno visto solo in Tv fino ad allora, visto che non c'era internet. Questa cosa, per il mio trascorso, è un argomento che mi sta molto a cuore, viste le analogie con quello che è successo a noi. Da Pavia a Melito di Napoli, fatte le dovute proporzioni anche noi veniamo dalla provincia e l'idea di questi due ragazzi che provano a evadere da una gabbia per poi rendersi conto che, probabilmente, dalla provincia non scappi mai, che te la porti sempre dietro, mi stuzzicava molto. È stato uno dei motivi per cui ho accettato di far parte del progetto.
Questa serie rappresenta un po' un ultimo tassello di un processo di legittimazione culturale e intellettuale degli 883. Sei d'accordo?
Come al solito ci si mette un po' a capire certe cose. Nel loro caso, forse, abbiamo fatto prima. Girare questa serie, un biopic su un cantante che nel frattempo si esibisce al Circo Massimo, ti fa capire che tutt'oggi il fenomeno sia in grado di coinvolgere varie generazioni. Credo che la vera potenza di questa cosa stia tutto nell'onestà di Max, l'umiltà, quando ci parli ti spiazza perché hai sempre la sensazione che lui non si sia accorto di essere diventato Max Pezzali, o comunque di non dare troppo peso alla cosa.
Sappiamo per certo che ci sarà una seconda stagione, manca un pezzo di storia da raccontare.
Sì, in realtà quando si parla di biopic lo spoiler ha poco senso, posso solo dire che una seconda stagione è assicurata.
Questa serie si lega a un pezzo di poetica dei The Jackal attraverso un elemento che avete raccontato meglio di altri negli ultimi anni: la nostalgia.
Credo che la nostalgia faccia parte del mio modo di intendere il mondo. in The Jackal negli anni si è sviluppata questa vena malinconica e credo sia in parte colpa mia, perché è propria del mio sguardo. Potrei avere lo stesso approccio anche parlando del 2015. Sono dell'idea che la nostalgia sia una componente della nostra generazione che è l'ultima a vivere i ricordi in modo fisico. Avverto questa malinconia collettiva verso qualcosa che non si possa toccare tra i miei coetanei. Al contrario vedo un'abitudine diversa al vivere in modo volatile nelle nuove generazioni. Non lo giudico, anzi faccio largo uso di tutti gli strumenti dell'era dei cloud, però quella malinconia ha intaccato il nostro sentito.
Allo stesso tempo voi incarnate questo passaggio dall'era pre digitale a ciò che è venuto dopo, perché avete capito prima degli altri come sarebbe cambiato l'intrattenimento. Quando avete capito che qualcosa stava accadendo?
Mi spiace dirlo perché fa di noi delle persone anziane, però è accaduto un paio di volte nel corso dell'evoluzione del nostro lavoro di avvertire il cambiamento. La prima è sicuramente l'arrivo di Youtube, poi c'è l'arrivo dei social, in particolare Instagram e poi Tik Tok. Ora sento che una nuova cosa sta accadendo, perché la possibilità di tradurre in tempo reale la voce degli attori in tutte le lingue del mondo abbatte ogni frontiera.
A dispetto della nostalgia di fondo, avete saputo declinare il vostro racconto in base alle richieste del tempo.
Assolutamente, io mi ritengo una persona pro progresso, piango e fotto come si dice a Napoli, rimpiango ciò che c'era ma non riesco a fare a meno di quello che c'è. Oggi io monto sul telefono le cose e appena lo dico molti la avvertono come cosa sacrilega. Io penso che la nostra generazione, che ha vissuto il passaggio da analogico a digitale, abbia il dovere di non diventare come quelli che hanno fatto i più grandi quando siamo nati noi relegavano quello che facevamo a roba da ragazzini. Molti invece oggi stanno iniziando a dire lo stesso sulle novità, ma invece dobbiamo essere aperti perché sennò vuol dire che non abbiamo imparato niente. D'altronde io penso che il punto di vista autoriale resti sempre al di là del supporto. Io ad esempio sono un grande cultore di videogiochi e un mio grande sogno è fare un videogioco perché significa a tutti gli effetti fare una regia con un potenziale infinito. Non vedo alcuna differenza rispetto alla regia tradizionale, a me piace raccontare storie.
Tu e i The Jackal nascete col sogno del cinema, poi realizzato, ma adesso quel modello narrativo pare in crisi. Che idea hai su questo?
È un momento un po' tormentato per chi è cresciuto con quel sogno, sei costretto ad azzerarlo e inventartene un altro. Sento che c'è un lavoro in corso, bisogna rimanere concentrati sul contenuto, non sul contenitore. Io sento spesso le persone puntare al cinema, ma conta quello che vuoi dire e ci sono tanti modi di farlo. Per quel che mi riguarda sono affascinato da molti creator sui social, è un territorio pieno di possibilità.
Mi capita molto spesso di ritrovarmi sulle prime cose amatoriali che avete fatto e penso che Pesci Piccoli sia riproduzione di ciò che siete stati e che siete. Quanto è rimasto di quel "cazzeggio" puro che vi portava a fare i primi video?
Pesci Piccoli è prova concreta di quanto quella voglia di divertirci e sciacallare sia ancora presente in noi. Questa serie si è manifestata subito come un contenitore in cui potevamo divertirci e fare quello che volevamo. La seconda stagione che stiamo girando direi che è molto punk, nel senso che alterna momenti e generi, ci sono puntate completamente fuori dal registro della serie stessa. Riusciamo con idee balorde a divertirci, è una scuola di divertimento per The Jackal ed esce molto dai canoni classici della sit com, pur conservandone la struttura.
Nella seconda stagione di Pesci Piccoli ci saranno novità che puoi anticipare?
Ci saranno nuovi amori, nuove avventure, mi sento stupido a dire queste cose, ma soprattutto la seconda stagione è completamente fuori di testa. Capiterà spesso di chiedersi cosa si stia vedendo.
I "nuovi amori", ci ironizzi ma quell'elemento è cruciale e sostanziale per qualsiasi prodotto.
Assolutamente, è più forte di me e io sono attratto da questi elementi, non riesco a farne a meno. Anche in Hanno ucciso l'uomo ragno ho spinto su cose molto personali, relazioni. Ho provato a mettere in questo scatolone gigante un'attenzione per l'intimo dei protagonisti.
Con i The Jackal hai colonizzato l'universo digitale ironizzando sull'intrattenimento nell'era precedente, in particolare la Tv. Vi siete fatti portatori di una critica generazionale verso quei modelli. Il fatto di essere poi arrivati a fare televisione, vi ha fatto riconsiderare riconsiderare certe scelte?
Mi stai parlando di rimpianti?
Più che rimpianti, avete riconsiderato il valore di alcune delle cose derise in giovinezza, che poi alla fine avete fatto?
È un'ottima domanda, è un po' il paradosso delle band che nascono come indipendenti, poi si legano a un'etichetta e diventano altro. Ci sono cose che, accedendo a un livello più alto dell'intrattenimento, secondo me non abbiamo gestito al meglio. Però non è mai mancata la consapevolezza dell'errore e il disegno con cui lo facevamo. Anche la stessa invenzione del modello The Jackal di fare contenuti brandizzati in un'epoca in cui non c'era nulla del genere su internet ci fece passare per venduti nell'opinione di molti. Oggi sembra assurdo che qualcuno non faccia Marchette.
Appunto, il format Marchette era come il gioco del prestigiatore, dichiaravate da subito la pubblicità.
La nascondevamo dichiarandola. Ripeto, in tutto c'è consapevolezza. Poi magari a volte ci si siede a riflettere, si osserva tutto quello che si è fatto e si capisce dove si è commesso un errore e come non commetterlo la volta successiva. Per non fare la fine di quelli che si sentono arrivati. Anche perché c'è un problema serio, nessuno di noi sa campare di rendita.
La consideri una cosa negativa?
È una cosa positiva, anche se non ti fa dormire benissimo la notte. L'unica volta in cui abbia campato di rendita è stato in quarto liceo e stavano per bocciarmi.