video suggerito
video suggerito

Francesco Colella, l’onestà dell’essere attore: “A volte per dar vita a un personaggio devi disprezzarlo”

Protagonista su Disney + di The Good Mothers, tra i volti di Christian 2 su Sky, Francesco Colella è riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre più definito, nonché meritato, nella scena attoriale italiana. Tra teatro, cinema e televisione ha raccontato il suo modo di intendere questo mestiere come modalità di conoscere il mondo.
A cura di Ilaria Costabile
153 CONDIVISIONI
Immagine

Alla domanda se si è attori o si fa gli attori, Francesco Colella risponde in maniera talmente lineare che quasi sembra non esistano altre risposte possibili: "Sono un attore, lo sono, non so se c’è una differenza, però questa disciplina artistica è per me uno scandaglio, uno strumento di conoscenza, una maniera di leggere il mondo, le persone, di trovare la propria voce". E si può dire che tra teatro, televisione e cinema Colella, calabrese di nascita, romano e milanese d'adozione, il modo di far ascoltare la propria voce sia riuscito a trovarlo.

Approdato ancora ragazzo all'Accademia Silvio d'Amico di Roma, per poi carpire e custodire la grandezza e la genialità di un maestro come Luca Ronconi, Francesco Colella è uno degli interpreti che con gentilezza, professionalità ed esperienza è riuscito a ritagliarsi un posto nella scena italiana. Tanti i titoli che lo hanno visto protagonista sul piccolo e sul grande schermo, dove ha dato vita a uomini "a volte migliori di sé", misurandosi anche con ruoli divisivi e controversi, come quello che interpreta in The Good Mothers, la serie prodotta da Disney + vincitrice di un Orso d'oro alla Berlinale 2023 e in uscita sulla piattaforma il 5 aprile.

Intanto su Sky, sono disponibili dal 24 marzo gli episodi della seconda stagione di "Christian", una vera e propria chicca del panorama della serialità italiana con Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, in cui il sarcasmo e il disincanto sono gli ingredienti che tengono il pubblico attaccato allo schermo. Tanti i progetti in cantiere e la voglia di continuare a sperimentare, trasmettere messaggi e non per mere velleità didattiche, bensì per suscitare riflessioni, smuovere coscienze: "Un attore dovrebbe essere bravo a veicolare una storia a farsi trasmettitore di qualcosa, se ti fermi a vedere quanto è stato bravo e ne hai visto le sfaccettature dei suoi virtuosismi, del suo talento, qualcosa si è inceppato". A Fanpage.it l'attore si racconta attraverso i suoi ruoli e indaga le profondità di quello che, ad oggi, è ancora uno dei mestieri più affascinanti al mondo.

The Good Mothers, la serie che arriva su Disney + dal 5 aprile, è stata premiata alla Berlinale con l'Orso d'oro. Un riconoscimento tanto importante, quanto raro per un prodotto italiano. 

Mi capita così poco di festeggiare un lavoro, per cui sono contento. A Berlino non ero presente per una chiara ragione che non mi è affatto dispiaciuta, perché al centro di questa serie devono esserci le donne che si sono liberate dalla ‘Ndrangheta, penso sia giusto che siano state loro a parlarne. Qui interpreto il mostro, la persona che rappresenta quel tipo di mondo da cui vogliono distaccarsi.

"Mostro" è un termine interessante, racchiude l'essenza di Carlo Cosco. Affiliato della ‘Ndrangheta, personaggio che hai detto di aver disprezzato per interpretarlo al meglio. È stato davvero così?

Sì, lo dichiaro apertamente. Ci sono personaggi e personaggi, alcuni vorrei abbracciarli, a volte sono uomini migliori di me e mi piace l'idea di rappresentarli perché mi educano anche sentimentalmente. Si dice che non si dovrebbe giudicare il personaggio prima di interpretarlo, ma in questo caso ho dovuto, l'ho disprezzato per poterlo rappresentare.

Quali caratteristiche hai voluto che predominassero?

Intimamente non posso essere contaminato e per rendere questo personaggio nelle sue varie sfaccettature ho bisogno di quella libertà che si crea solo attraverso una distanza, per poterlo mostrare nei suoi aspetti totalmente anti-seducenti. C'è un'inclinazione anche inconscia degli attori a voler rendere i loro personaggi seduttivi, ma non capisco che tipo di seduttività possano avere nella realtà, individui che sono portatori di morte, di violenza, sopraffazione. È un uomo che non ha alcun fascino, che quando di trova a rapportarsi con persone di potere ha un atteggiamento piccolo borghese, di meschinità, risulta quasi vigliacco.

Francesco Colella in The Good Mothers Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone
Francesco Colella in The Good Mothers Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone

C'è spesso la tendenza, in effetti, a voler umanizzare il male, soprattutto nei prodotti artistici. Perché?

C'è una presunzione di realtà quando si rappresentano queste persone, o personaggi, nel voler mettere in luce una loro maniera di commuoversi, vedere le cose. Se nella vita vera sei capace di uccidere, o consideri le persone che ti stanno attorno come un territorio privato, che tipo di sentimenti puoi avere? Quando ho accettato questo ruolo l’ho fatto sapendo che sarebbe stato molto faticoso, perché ne sentivo la responsabilità di fronte al pubblico. Non posso controllare l’effetto del mio lavoro, ma i principi da cui farlo partire, quello sì.

Ritieni che un prodotto come The Good Mothers che tratta la lotta alla criminalità organizzata, da un punto di vista anche singolare, possa smuovere qualcosa in chi lo guarda?

Intanto te lo auguri perché il lavoro dell'attore, fatto in modo sano, vuole che il pubblico non sia manipolato. In questo caso è giusto mostrare gli aspetti più crudi, feroci, respingenti, per cui vedendoli puoi chiederti se vale la pena intraprendere una vita del genere, con tutte le conseguenze che ne derivano. In questa serie c'è un rigore incredibile. È difficile epicizzare la ‘Ndrangheta, già per come è fatta, in più io sono calabrese, non mi importa di spettacolarizzarla. Qui si è partiti dall'idea di voler raccontare storie di donne che cercano di liberarsi, il che è una cosa abbastanza nuova nella narrazione del fenomeno criminale.

Gaia Girace e Micaela Ramazzotti, Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone
Gaia Girace e Micaela Ramazzotti, Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone

Credi che questo aspetto abbia contribuito alla vittoria dell'Orso d'Oro?

Sì, insieme alla fattura della serie. Sono state illuminate delle zone che difficilmente in questi anni sono state considerate, mostrando quanto certe donne debbano sopportare, facendo vedere anche la violenza che si sviluppa attorno a loro. Sono donne a cui viene detto come si devono comportare, quali sentimenti reprimere, a mia memoria tutto ciò è stato raccontato raramente. Poi, la sceneggiatura era splendida, lo dico anche da spettatore, tutte le attrici sono state incredibili, a partire dalle interpreti con cui ho avuto a che fare che sono Gaia (Girace ndr.), Micaela (Ramazzotti ndr.), Valentina Bellè, hanno fatto delle interpretazioni bellissime.

Francesco Colella e Gaia Girace in The Good Mothers, Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone
Francesco Colella e Gaia Girace in The Good Mothers, Ⓒ 2022* Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone

Un valore aggiunto, soprattutto in un momento in cui sembra che la spettacolarizzazione del lato più sinistro del mondo vada per la maggiore. 

Quello ci sarà sempre, a non piacermi è l'eccitazione emotiva attorno a certe storie, perché non induce mai ad una riflessione. È brutto parlare d'arte a scopo didattico, ma qualsiasi forma artistica che si declini nella serie televisiva, nel film, in un'opera teatrale deve indurre lo spettatore a fare un percorso di conoscenza. Un regista come Francesco Rosi aveva la sua moralità, era spietato nel raccontare certe realtà. Avere un principio morale vuol dire prendere un punto dal quale si osservano le cose, è lì che la rappresentazione diventa plastica, evidente, riconosci i segni della ferocia, della violenza, anche nelle scene più semplici, dove sembra che non succeda niente, è lì che cominci a vedere le linee sinistre di un personaggio, di un evento. Senza partire da buoni principi si fa spettacolo, e alle volte bisogna rinunciare al proprio talento per seguire un'idea più alta, quella di raccontare un'umanità in cui esistono fenomeni di questo genere e creare un dibattito dentro chi guarda.

Hai parlato di personaggi che sono anche "uomini migliori di te", quale è stato quello da cui hai attinto di più?

Non ho delle preferenze a partire dal teatro per finire con il cinema. Ho fatto un film con Silvio Soldini, 3/19 con Kasia Smutniak. Facevo quest’uomo con cui lei ha una relazione ed era il direttore di un obitorio, uno sfondo non molto allegro, nonostante ciò quest’uomo aveva una sua luminosità e io ho cercato di farla mia. A teatro ho accettato di fare L'asino d'oro di Apuleio e sono contento di averlo fatto, perché questo personaggio vive delle avventure dolorose, oltre che comiche, e passando le giornate a studiarlo e provarlo, ero lì a rigenerarmi perché le situazioni che affrontava mi aiutavano anche nel quotidiano.

Francesco Colella e Kasia Smutniak in 3/19 di Silvio Soldini
Francesco Colella e Kasia Smutniak in 3/19 di Silvio Soldini

È un percorso quasi terapeutico.

Fare questo lavoro è un privilegio. Non credo molto alla separazione tra vita privata e lavoro, non quando fai l'attore. Quando non sono chiamato a lavorare sta lì il vero coraggio, la vera sfida. Ci sono periodi in cui non succede nulla, non passi un provino ed è in quei momenti, siccome sei solo, che è facile azzerare tutto, ma è lì che si costruisce l'identità e la solidità di un attore.

L'annosa questione dell'essere attori o fare gli attori. 

Sono un attore. Quando si recita non si rappresenta o si fa finta di fare qualcosa, ma è un modo per approssimarsi alla verità, è una maniera per apprendere i sentimenti. Poi per metterli in scena devi poter capire, trovare una forma, un linguaggio, qualcosa che ti si muove dentro.

D'altronde sei innanzitutto un attore di teatro. A questo proposito, che maestro è stato Luca Ronconi?

Mi sono messo al servizio dell'arte di Ronconi, quando hai a che fare con un maestro del genere ti fai pasta nelle sue mani. Era un uomo di teatro che poneva l'attore di fronte ad una sfida, l'espressività personale era nulla per Ronconi, l'attore doveva essere un mezzo di conoscenza per arrivare oltre e lo stare in scena era una sfida continua per raggiungere quello che ti proponeva, partendo dalle idee. Leggeva i testi in una maniera talmente profonda, che non potevi non accogliere quello che ti chiedeva.

C'è qualcosa che pensi di aver ereditato da lui?

La capacità di leggere il testo in modo da scoprire quello che muove i personaggi, perché talvolta il linguaggio usato è ingannevole, e le pulsioni che muovono quelle parole sono nascoste, oscure. Lui le tirava fuori. La recitazione naturalistica non era concepibile. Ho avuto il privilegio di assistere alle sue prove e lì avveniva il miracolo. La prima lettura era interamente sua, anche di testi che potevano avere 30 personaggi e lui era in grado di farti ridere e commuovere, per come li interpretava, vedevi emergere questi personaggi dal copione, in maniera plastica, salivano su. Questo è un ricordo amoroso che tengo stretto, mi porto dentro.

Hai parlato di recitazione naturalistica, Toni Servillo in un'intervista ci ha dichiarato che a suo avviso esiste la falsa credenza secondo cui per essere efficaci basterebbe essere "più veri del vero". Come si è arrivati a questo? 

Mi viene in mente Anna Magnani che si lamentava con Pasolini perché durante le riprese di Mamma Roma, si trovava con un ragazzino preso dalla strada e diceva: “A Pierpà questo me se magna”. La verità che portava quel ragazzino la temeva perché poteva risultare più potente della sua grande capacità di interpretare un personaggio anche realistico. La recitazione richiede studio, ma so che richiede anche la dimenticanza di questo studio. Si pensa che con un certo spontaneismo si possa comunicare qualcosa, non è così, è un mestiere ed è un’arte talmente delicata che ti mette sempre in discussione, a volte devi rinunciare a delle cose per approssimarti alla verità, ma è pur vero che certe cose per rappresentarle devi averne esperienza, le hai dentro.

Poi ci sono casi in cui, come quello del personaggio di Tomei in Christian, le emozioni hai dovuto anestetizzarle. 

Amo molto Tomei. In Christian rappresenta un mondo separato, vive una specie di bottega in cui l’unico scambio reale che ha è con degli animali, soprattutto il suo pappagallo Ignazio. Credo che l’umanità di Tomei sia nel fatto che abbia deciso consapevolmente di sterilizzare i sentimenti e le emozioni, il che vuol dire che forse ne era pieno. Ha deciso di non essere niente, non ha paura di nessuno perché se vivesse anche una sola emozione farebbe giustizia su se stesso, non ha paura della violenza degli altri perché monetizza le persone.

Francesco Colella, Tomeri in CHRISTIAN2_©LUCIAIUORIO
Francesco Colella, Tomeri in CHRISTIAN2_©LUCIAIUORIO

Il suo essere nulla è però funzionale al mondo di Christian, non credi? 

Sì, è vero, però dei soldi che lui estorce non se ne fa nulla. Come una specie di distorto moralista lui monetizza la gente, perché vede nelle persone che gli stanno affianco qualcosa di miserabile. Quindi diventa ancora più misero e va nelle zone più malfamate, lì, a cucire ferite o cadaveri, a lavorare per dei criminali.

Francesco Colella e Edoardo Pesce, CHRISTIAN2_©LUCIAIUORIO
Francesco Colella e Edoardo Pesce, CHRISTIAN2_©LUCIAIUORIO

Cos'è che ha colpito di Christian sin dalla prima stagione?

Forse il fatto che ci sia una mescolanza di generi, si percepisce una sorta di realismo però a ben guardare non è così. Se si è abituati ai racconti delle periferie romane che di solito sono drammatici, in qualche modo Christian prende un po’ in giro questi drammi, e poi c’è questa cosa del soprannaturale che è una pecionata straordinaria (ride ndr.)

Tra le tue interpretazioni recenti c'è anche quella del film Primadonna, ispirato alla storia di Franca Viola, la prima a ribellarsi ad un matrimonio riparatore. Il suo avvocato si è dichiarato contro il film, perché, visto che il suo gesto è stato così rivoluzionario?

Questa querelle non ho voluto interpretarla, rispetto molto i sentimenti della signora Viola, i motivi che l'hanno indotta a questa scelta non li conosco, possono essere molto delicati. Dopodiché posso ben dire che l’esistenza di una storia, in un film, ha un valore di realtà tale dal punto di vista del racconto, che non ha più importanza quanto sia vicina o quanto sia distante dalla storia realmente accaduta. Di fatto questo film racconta qualcosa che realmente è successo a Franca Viola, come a tante altre donne, in modi, in epoche e tempi diversi succede ancora.

Immagine

È un film che pur parlando di un avvenimento del passato vuole buttare un occhio anche al presente?

Il tema dello stupro è importantissimo e il film riesce a raccontarlo. È un tema talmente presente nelle nostre società e penso sia una delle cose più dolorose, struggenti, orribili che possano accadere, soprattutto nei nostri tempi, eppure accade con forza sempre maggiore. Non si parla solo di stupro, ma di violenza sulle donne, di femminicidio. Questo vuol dire che la nostra società, che noi diciamo evoluta nei sentimenti, è sempre più priva della conoscenza dell’idea di affetto, di amore, del femminile.

153 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views