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Francesco Aquila: “Giovani sfruttati nei ristoranti, non è solo colpa del reddito di cittadinanza”

Il vincitore di Masterchef Italia 10, dopo un post che smonta i pregiudizi sui giovani nel mondo della ristorazione, si racconta a Fanpage.it: “Guardiamoci indietro e pensiamo a come ci comportiamo noi come datori di lavoro”. E su Alessandro Borghese: “Vorrei essere un Boss in Incognito e capire nelle sue cucine quello che succede”.
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"Stasera ho lasciato a casa l'aiuto cuoco, tanto c'è poca gente e ce la fai da solo". Una serie di scuse sentite e risentite nel mondo della ristorazione sono state messe in fila in un post da Francesco Aquila, che un anno e mezzo fa vinceva la decima edizione di Masterchef Italia. Il post è diventato virale risultando centrale nella polemica dei ristoratori che "non trovano più personale" mettendo all'indice la mancata predisposizione dei giovani al sacrificio e soprattutto il reddito di cittadinanza.

A Fanpage.it lo chef, che ha fatto e fa ancora tanta formazione ai giovani, racconta il suo punto di vista: "Quando faccio consulenza a livello alberghiero, con i colleghi, con i fornitori, il leit motiv è sempre lo stesso: i giovani non vogliono lavorare, maledetto sia il reddito cittadinanza. Io dico, aspetta un attimo: guardiamoci indietro e pensiamo a come ci comportiamo noi come datori di lavoro". 

Francesco Aquila commenta anche le più recenti uscite dei suoi colleghi, come Alessandro Borghese – da "la gente non vuole lavorare" a "lavorare per imparare non significa essere pagati": "Il settore alberghiero è come il vino. Se tu non crei un microclima, la tua azienda non va da sola, ti parlano dietro e la voce poi comincia a girare. Vorrei essere un Boss in Incognito e capire nelle sue cucine quello che succede". Gianfranco Vissani si era accodato alle parole di Borghese, Francesco Aquila replica anche a lui: "Un ragazzo di 16 anni, uscito dalla scuola alberghiera vuole entrare in una cucina, entra in quella di Vissani e fa formazione. È ok, però un rimborso spesa, quel ragazzo lo deve ricevere".

Francesco, ti sei esposto su una questione centrale nel mondo della ristorazione. 

Penso che il 70% delle persone che conosco, e anche che non conosco, la pensano come me. Vivo con tutte e due le scarpe il mondo della ristorazione da quasi vent'anni e questo è un tema complesso però, quando faccio consulenza a livello alberghiero, con i colleghi, con i fornitori, il leit motiv è sempre lo stesso: i giovani non vogliono lavorare, maledetto sia il reddito cittadinanza. Io dico, aspetta un attimo: guardiamoci indietro e pensiamo a come ci comportiamo. Non so se tu hai mai lavorato in questo settore…

Tanto tempo fa, un po' di sala…

E allora sai benissimo di cosa sto parlando, dello sfruttamento che c'è dietro. Noi, ristoratori e addetti, oggi ci marciamo tanto su questa roba dei giovani e del reddito di cittadinanza. Lamentiamoci su altro, il gas che aumenta, la benzina che aumenta, non lamentiamoci di chi lavora sette giorni su sette per 1400 euro meravigliandoci se poi qualcuno si tira indietro. Dobbiamo trattare la gente che lavora per come merita di essere trattata.

Ce l'hai con i datori di lavoro? 

Non solo. La mia non è una riflessione contro il datore di lavoro, ma il mio post vuole invitare a una riflessione più ampia, che possa migliorare le condizioni generali e soprattutto il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Il settore è migliorato tantissimo rispetto al passato, e allora perché i difetti non li lasciamo al passato? Migliora tutto e quando comincia a migliorare anche il rapporto tra chi dà lavoro e chi il lavoro lo svolge?

Non hai paura di essere frainteso o comunque messo all'indice per quello che hai scritto?

Me lo hanno detto in centinaia dopo il post. A me non piace restare zitto. Io sono così, voglio dire quello che penso e non mi piace tenermela. Perché dobbiamo criticare solo i giovani? Non è la verità, non è solo colpa dei giovani come non è solo colpa dei datori di lavoro. Perché è vero che se ti dò mille euro, me ne costi duemila; se te ne dò duemila, me ne costi tremila. Siamo il paese tra i primi in Europa per le tasse.

La vittoria a Masterchef ti ha cambiato la vita. Forse essere popolari te la rende più facile?

Con la popolarità non cambia nulla. È solo la legge dei grandi numeri: vedi più gente, conosci più gente, lavori di più. Ma sto pensando di ritornare a insegnare a scuola, in concomitanza con tutte le attività che ho in questo momento. Bisogna investire su stessi, bisogna sudare, bisogna lavorare, nulla ti è regalato, neanche dopo.

Francesco Aquila a Masterchef 10
Francesco Aquila a Masterchef 10

Allora non basta un piatto buono su Instagram per diventare famoso?

Ah, Instagram…(ride, ndr). Guarda, sono il primo a usare i social e a farlo usare ai miei alunni. Una volta c'era il vocabolario, oggi con due clic hai il mondo in mano. Però bisogna filtrare tutte queste informazioni. C'è tantissima disinformazione. Tantissimi video ‘instagrammabili' pieni di inesattezze: frullano uno yogurt, frullano i mirtilli, lo mettono in freezer e dicono "ho fatto il gelato". Quello è yogurt congelato! Queste persone andrebbero eliminate dai social. È un mezzo che ha dato una grandissima spinta a tutto il settore, ma è anche il primo mezzo che va lasciato perdere quando si tratta di imparare sul serio il mestiere.

Francesco, non hai ancora un ristorante tuo. Come mai? 

Ci ho pensato tanto, ma penso non sia ancora il momento di aprire qualcosa di mio.

E cosa fai?

Faccio cooking show, cene a quattro mani, lo chef privato e faccio anche digital branding, cucinando per le aziende.

Chef privato, cioè cene per privati? 

Sì, sono stato assunto anche da Giorgio Armani per quindici giorni, tra St. Tropez e Pantelleria al bordo del suo yacht.

Com'è cucinare per Armani?

Lui viene chiamato il Re, non a caso. È una persona squisita. Stare con lui, cucinare per lui è una cosa che non mi sarei mai immaginato 15 anni fa.

Alessandro Borghese ha detto: "Lavorare per imparare non significa per forza essere pagati". Tu come la vedi? 

Bisogna fare tanta gavetta e sudare. Bisogna anche saper trattare il personale e costruire un'azienda necessita di leader che si facciano seguire. Il settore alberghiero è come il vino: se tu non crei un microclima, la tua azienda non va da sola. La gente ti rema contro, ti parla dietro e c'è il riciclo continuo. E la voce poi comincia a girare, sarebbe bello infatti creare un'app tipo TripAdvisor che giudica però il datore di lavoro. Sarebbe una cosa molto utile e costruttiva.

E su Borghese, quindi, cosa pensi?

Tra le righe, un po' ho risposto. La televisione dà tanto, ti crea un personaggio, ma non è detto che quel personaggio sia adatto per lavorare con le persone. Vorrei essere un Boss in Incognito e capire nelle sue cucine quello che succede. Per quanto ne so io, non ha mai lavorato in cucine prestigiose. Poi, magari sbaglio.

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Anche Vissani ha appoggiato Borghese, però: "Da me per venire a imparare bisogna pagare", ha detto.

Pagare no, ma Vissani dice una mezza verità. L'esperienza è tutto, è tanta roba. Faccio un esempio: un ragazzo di 16 anni, uscito dalla scuola alberghiera vuole entrare in una cucina, entra in quella di Vissani e fa formazione. È ok, però un rimborso spesa quel ragazzo lo deve ricevere. Perché sta ore a preparare il servizio, a pelare patate, a pulire pentole e padelle. Questo è il lavoro più bello del mondo, ti fa girare il mondo, ti fa scoprire persone, ti riconnette col tuo passato. Il ragazzo si deve innamorare di questo lavoro, non deve arrivare ad odiarlo.

A Masterchef, un giovane impara a cucinare?

Masterchef non è cucina, ma è una vetrina. I programmi come Masterchef hanno aiutato molto il settore, perché adesso un po' dovunque si mangia bene o comunque si mangia decente e non capitano più schifezze nei piatti. Però, Masterchef resta una vetrina. Un giovane non impara nulla con Masterchef.

Ho visto che sei molto amico di Valerio Braschi, che ha vinto Masterchef come te. Le sue amuse-bouche fanno parlare: la lasagna in tubetto, la marinara in bustina, la carbonara da bere. 

Valerio ama quello che fa. Ha una cucina estrema e particolare, fa parte della sua figura. Ognuno deve trovare le sue sfumature di colore, lui ha trovato le sue e ben venga. Quando trovi la tua realtà, trovi L'Isola che non c'è. Un qualcosa che ti fa stare bene e vivere bene. Chi lo critica, questo non lo capisce.

La prossima domanda è fatta di tre parole chiave: Flavio Briatore, Pata Negra e pizza.

Ah! La polemica su Briatore! (ride, ndr) Partiamo dal mio concetto di pizza: pomodoro e mozzarella o fior di latte. Questa è l'immagine che io ho della pizza. Poi, se un imprenditore vende la pizza col Pata Negra perché ha una clientela aristocratica, una clientela che ama il Pata Negra sulla pizza, e questa pizza risulta tra le più vendute io dico che c'ha ragione Briatore, che fa l'imprenditore di mestiere e non il critico.

Ma la pizza col Pata Negra è qualcosa che tu metteresti in carta?

Il Pata Negra è un prodotto particolare e col calore di una pizza non ha molto senso. Però, la trovata dell'imprenditore non può essere criticata. Criticherei chi compra la pizza col Pata Negra e non riesce ad arrivare a fine mese. Criticherei queste persone qui, che per ostentare fanno la fila per mangiare questa pizza.

Tu sei nato ad Altamura, in Puglia, ma sei cresciuto in Romagna. Come hanno influito queste due regioni nella tua crescita? 

Sono due regioni che offrono tanto, per materie prime, per clima e anche per le persone. L'ospitalità che c'è in Romagna come hôtellerie non ha pari. Le strutture sono perfette per genitori con famiglie e anziani. Giochi per bambini su tutte le spiagge, mare tranquillo e poco profondo. In Romagna, sono dei maghi nel farti sentire a casa perché quasi tutte le strutture alberghiere sono a conduzione familiare. C'è maggior interesse nei confronti del cliente. La Puglia invece mi ha dato il calore, la carnosità, la conoscenza di utilizzare il proprio passato per reinterpretare un piatto. È bellissimo questo.

Il tuo piatto del cuore? 

La tiella con riso, patate e cozze. Io l'ho ripensato come tapas: ho messo il risotto patate e parmigiano in una cozza cruda, poi cuocio tutto insieme. Nella tiella, il cliente si ritrova cinque o sei cozze ripiene. Sono buonissime!

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