Francesco Aquila: “Dopo Masterchef pensano di non dover fare gavetta. La tv racconta solo un lato della cucina”
Nel 2021 ha vinto la decima edizione di Masterchef e ora Francesco Aquila, che nel mondo del food già bazzicava da tempo, della cucina ha fatto la sua vita. La passione con cui lo abbiamo visto preparare i piatti davanti a Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri è la stessa che cerca di trasmettere ai suoi studenti e che mette in ogni cosa che fa: dalle fiere ai live cooking, passando per i programmi tv e anche i social, sui cui condivide gli aspetti più interessanti e innovativi del suo lavoro.
La sua è una cucina tradizionale che strizza l'occhio all'innovazione: "Senza sapere chi siamo non andiamo da nessuna parte" ci racconta in questa intervista, dove sostiene a gran voce che studiare e prepararsi, sia il miglior modo per raggiungere i propri obiettivi.
Cercando il tuo nome su Google, la prima domanda che ci si pone è "cosa fa oggi Francesco Aquila". Direi che è arrivato il momento di rispondere.
Lavoro su tanti fronti. Alla base c'è la didattica, per me importantissima, insegno in quattro scuole alberghiere differenti in Emilia Romagna. Lì seguo i ragazzi che si specializzano in sala, bar o in cucina e faccio delle full immersion di tecniche di caffetteria, cocktail o cucina vera e propria.
Cos'è che ti piace dell'insegnamento?
Mi piace tantissimo trasmettere una passione, un obiettivo, un sogno da poter conquistare. Studiare tanto è l'unico modo per portarlo avanti, applicarsi e cercare di avere un'arma in più rispetto al mercato. Devi essere il numero uno in quello che stai facendo.
E quale è stata la tua arma?
La determinazione e la ricerca continua delle cose che non sapevo. La domanda è sempre la stessa: perché? Bisogna sempre porsi delle domande, sarà poi la risposta a darti la chiave vincente.
Possiamo dire che Masterchef è stata la risposta (almeno parziale) alle domande che ti sei posto.
Assolutamente sì, è stata la cosiddetta prova del nove. Però, in realtà, se posso vorrei aggiungere qualcosa alla prima domanda.
Ci mancherebbe, aggiungi pure.
Ecco, oltre all'insegnamento, c'è un'altra cosa che faccio e che mi piace molto. Vado in giro per le case a proporre i miei menù, faccio molti live cooking, partecipo ad eventi, fiere.
Il tuo sogno arrivato a Masterchef qual era?
Inizialmente aprire una catena di ristoranti, poi più vai avanti e più ti rendi conto che non sai davvero cosa puoi fare "da grande", qualsiasi cosa è un salto verso l'ignoto.
Hai fatto anche diversi programmi in tv e a questo proposito, secondo te la televisione come anche i social, danno una visione edulcorata della cucina o sono fedeli alla realtà?
Manca una parte fondamentale di quello che significa lavorare in cucina. Non è solamente presentare un piatto e conoscere le tecniche, c'è tutto il back, la famosa gavetta che non si vede, ma è quella che ti serve per diventare uno che cucina sul serio. Se non passi da lì, non impari. Si gattona, poi si cammina e poi si corre, altrimenti ci si brucia subito.
Parlando di gavetta, insegnando ti rapporti con i ragazzi di cui spesso si dice che non siano più disposti a sudarsi il proprio lavoro. È una cosa che riscontri o no?
È una cosa che riscontro. C'è da dire che il mondo di oggi non è quello di ieri, nel senso che loro conoscono dieci volte di più le cose rispetto a quelle di cui avevamo contezza noi. Grazie all'uso di internet, della televisione, a tanti strumenti e quindi sono molto più avanti, ma allo stesso tempo non sono abituati all'istruzione, proprio perché non immaginano cosa ci sia dietro. Il back è fondamentale, se non c'è il back non può esserci un front che sia all'altezza.
E cos'è che hai imparato dalla tua gavetta?
Il rispetto, soprattutto per i ruoli, che oggi vacilla. La gerarchia che sia in una brigata, in sala, in cucina, in una società è importante, il rispetto reciproco è alla base di qualsiasi rapporto di lavoro.
Ora che hai alle spalle un bel po' di esperienza, qual è la tua idea di cucina?
Sono convinto che non ci sia innovazione senza tradizione. Penso sempre di fare qualcosa di diverso, nuovo, grazie a varie tecniche che prima non esistevano, a nuove materie prime, ma tutto parte da un ricordo.
Quindi cosa speri che arrivi alle persone assaggiando i tuoi piatti?
Spero che arrivi un'emozione, un ricordo che provo a raccontargli e che rivive in quel momento. Voglio che sentano sapori originali, anche se le tecniche di preparazione di un piatto, ma anche di un drink, sono innovative.
Parlando di riconoscibilità, per il tuo stile molte volte ti hanno associato a Salt Bae, quasi come se tu voglia somigliargli. Cosa rispondiamo di fronte a questa associazione?
Lo dicono sempre e proprio per questo ho pubblicato degli screen, presi dal mio telefono, risalenti al 2014. Possibile che la mia sia stata una scelta di stile premeditata? Direi proprio di no!
Di Salt Bae, tra l'altro, si parla spesso per i prezzi esorbitanti dei suoi ristoranti, come accade anche in altri posti. Credi che siano giustificati o sono gonfiati immotivatamente?
È la domanda che la fa richiesta. Se c'è un genio che ha fatto miliardi veri, aprendo più di 15 ristoranti in tutto il mondo, vendendo pezzi di carne e salandoli in quel modo e la gente lo segue ed è tutto pieno, lui che colpa ne ha? Poi, se uno mette un pezzo di carne a 1000 euro, penso che quella carne sicuramente non sia di allevamento intensivo e sia una carne super pregiata, la cui produzione è limitata, questo spiegherebbe il prezzo. Potrebbe essere un modo di farci consumare meno carne, cosa che dovremmo fare tutti.
Sei seguace di una cucina sostenibile?
Assolutamente sì sostenibile e di riciclo. Anche in questo ha un valore fondamentale la tradizione, perché le ricette di una volta erano preparate con gli avanzi del giorno prima.
Tornando a Masterchef, tra coloro che hanno partecipato nelle varie edizioni, spesso è emersa la difficoltà di trovare un impiego subito dopo il programma. Cosa pensi a riguardo?
Penso che non sia vero e che non vogliano fare la gavetta perché hanno vinto un programma televisivo. Masterchef non fa di te uno chef, ti porta ad avere visibilità nell'ambito della cucina, che è una cosa diversa. I giovani dovrebbero fare un corso approfondito per poi andare in cucina, iniziando dalle basi, come si pela una patata, una carota, come si fa una omelette, un piatto semplice, che però non lo è affatto.
Quindi anche gli insegnamenti del programma sono relativi?
Certo, ti insegnano a relazionarti con gli chef, ma tu hai a che fare con una brigata intera è una realtà troppo più ampia di quella che viene mostrata in un programma tv.
Talvolta il mondo della cucina è descritto come un ambiente anche piuttosto stressante, ma è una cosa di cui si parla poco. Perché secondo te?
Credo sia molto difficile provare a spiegare una condizione del genere. Più che stress si può parlare di adrenalina, il momento del servizio in cui devi rispettare i tempi, le comande che ti arrivano, soddisfare le richieste diverse dei clienti, sia in cucina che in sala può esserci un momento di agitazione, ma è anche adrenalina pura. Bisogna saper mascherare la tensione, perché più si è impreparati più cresce uno stato di ansia, quindi con una buona preparazione, anche i momenti di stress possono diventare qualcosa di divertente.
Tra le serie televisive più amate degli ultimi anni c'è The Bear, in cui (semplificando) il protagonista è uno chef ossessionato dalla ricerca della perfezione. Quanta tolleranza all'errore ammetti in cucina?
Faccio molta fatica, perché sono esigente con me stesso. Sono puntiglioso, perfezionista, mi accorgo che spesso faccio le cose, due, tre volte, prima di arrivare all'obiettivo, mi piace che sia tutto curato, sistemato. Credo che il detto "l'abito non fa il monaco" non sia del tutto vero, perché l'aspetto, come si presenta un qualcosa, il primo impatto è molto importante.
Si dice che uno dei migliori modi per imparare sia "rubare" dagli altri. Tu cos'è che hai rubato?
Tutto, pure l'anima. Scherzi a parte, rubare è davvero il primo passo, perché guardando gli altri si impara tantissimo. Lo dico anche ai miei studenti, più rubate con gli occhi più il vostro zaino immaginario sarà pieno e voi sarete liberi di creare la vostra personalità.
E da chef come Locatelli, Cannavacciuolo e Barbieri cosa hai rubato?
Da loro ho rubato la determinazione, che poi mi ha premiato. Loro non si sentono mai arrivati, è questa la chiave vincente, continuano a migliorarsi, costruirsi.
Programmi tv, insegnamento, hai cucinato anche per Armani, cos'è la cosa di cui sei più orgoglioso finora?
Il non essermi mai fermato, ho sempre fatto ricerca continua. Per me è stato bellissimo cucinare per Armani, sono già tre anni che lo faccio, ho cucinato anche per i giocatori del Milan e ti chiedi come sia possibile che tra tanti chef chiamino proprio te, però anche cucinare per persone comuni, che ti chiamano per rendere speciali determinati momenti. Vederli contenti è una cosa bellissima.
Cucina, ma sei appassionato anche di drink. Se dovessi indicarmi gli ingredienti per creare un cocktail adatto a questo 2025 che sta iniziando, che mi diresti?
Caspita, sì, ce l'ho sull'onda del Cosmopolitan. Sicuramente colorato con qualche nota acida, poi dolce che quando lo finisci ne vuoi ancora. Bello fresco fresco.