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Francesca Fialdini: “In Fame d’amore il dolore non è morboso, ma verità durissima. Diamo spazio alla salute mentale”

Francesca Fialdini torna in tv con la sesta stagione di Fame d’amore su Rai3. Un programma che cerca da sempre di smuovere l’opinione pubblica, che prova a raccontare la sofferenza di chi, il più delle volte, resta in silenzio, come ci racconta in questa intervista.
A cura di Ilaria Costabile
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Francesca Fialdini torna domenica 5 gennaio, in seconda serata, con uno dei programmi più intensi che la televisione di oggi offre al suo pubblico, si tratta di Fame d'amore. Raccontare è sempre stata la prerogativa di una conduttrice che della profondità, della ricerca di cosa si nasconda dietro la superficie ha fatto il suo mantra, la sua sfida personale. Parlare di temi come i disturbi alimentari (dca ndr.) e salute mentale non è mai semplice, porta con sé il pregiudizio, oltre che la necessità di trattare con delicatezza la vita di chi ha deciso di diventare un monito, affinché si possa finalmente accendere una luce, reale, sulle esperienze di chi è abituato a soffrire in silenzio.

Partiamo dal concetto di fame. Esiste una fame di chi è avido e desidera sempre di più, ma anche la fame di chi ha bisogno di colmare un vuoto. 

Questa fame è insaziabile, dovremmo fare i conti col fatto che non verrà mai appagata fino in fondo, perché siamo essere umani, siamo destinati a un tempo che prima o poi si consumerà, ma noi in questo tempo vorremmo avere tutto quello che desideriamo, riempirlo il più possibile, ma non di cose materiali. Le cose per le quali continueremo sempre ad avere fame non hanno nulla a che vedere con gli oggetti, la ricchezza, ma con i nostri limiti.

Limiti che siamo sempre chiamati a dover superare. 

Abbiamo connotato il concetto di limite negativamente, ma non è affatto una cosa negativa, dovremmo dargli un'accezione diversa, positiva. I limiti mettono dei confini. Il primo confine è delimitato dal nostro corpo, per cui rispettare i propri confini significa dare valore a se stessi, esaltare la propria personalità. La lettura che ne diamo oggi, invece, protende verso l'impedimento, come qualcosa che ci impedisce di raggiungere chissà quale traguardo.

È il paradosso della società della performance. Tutti devono fare qualcosa e se ciò non accade è come se non ci uniformassimo. 

Ci uniformiamo a qualcosa che, però, non ci appartiene, in cui non ci riconosciamo. È un focus molto importante di Fame d'amore, ragazzi e ragazze che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, mi hanno raccontato di non sentirsi accettati per quello che sono. Sono portati a dimostrare di poter essere qualcos'altro, che spesso corrisponde ai desideri dei loro genitori e se si tratta dei genitori, allora di adulti di riferimento che interpretano il pensiero dominante della società in questo momento.

In Fame d'amore parli di storie di ragazzi, solitamente più restii a raccontarsi. C'è ancora un pregiudizio nel parlare di disturbi alimentari legati agli uomini?

Sì, perché bisogna apparire perfetti, sani, possibilmente atletici, ed è quanto richiesto ai ragazzi come alle ragazze. La storia di Paride, che raccontiamo nel programma, scalza tutti questi luoghi comuni. Paride non ha un aspetto fisico che lo fa sentire bello, partecipe di un gruppo. Fin da piccolo viene emarginato, considerato troppo gracile, i suoi compagni lo maltrattano e lo emarginano per la sua fisicità, che inizia a considerare come un problema. Paride ha una fame d'amore che è quella di chi desidera una socialità, essere accettato così com'è dai suoi pari.

In tv, quanto sui social, è sempre più frequente il racconto dei momenti di dolore. In entrambi i casi come si evita di valicare il limite, sfociando nell'esaltazione della sofferenza?

Il confine è sottilissimo, ma il pudore è qualcosa che per me ha un valore assoluto. Non faremo vedere i momenti di compensazione estrema messi in atto da questi ragazzi, non li mostriamo durante le abbuffate, mentre vanno in bagno e vomitano, assumono psicofarmaci, che sono gli aspetti più evidenti della patologia. Li mostriamo nella loro quotidianità, nelle corsie di ospedali, comunità dove hanno avuto la fortuna di potersi ricoverare. Li facciamo parlare, vogliamo capire come funziona questo dolore, quali dinamiche psicologiche vincono sulla loro forza di volontà. Il dolore ha delle parole durissime.

Cosa c'è oltre al dolore in queste storie?

Una verità profondissima che, molto spesso, questo mondo di adulti distratti non vuole sentire e vedere. Abbiamo ritenuto fondamentale che questo dolore non venisse nascosto, non c'è morbosità, non c'è trash, però c'è una profonda esigenza di racconto, di informazione affinché questo dolore non venga strumentalizzato da tutti, dai professionisti della comunicazione come dalla politica.

Fame d'amore è un programma che cerca di smuovere l'opinione pubblica. La politica, nonostante proponga soluzioni come risorse strutturali per i dca e fondi per il bonus psicologo, sembra non si renda conto della reale richiesta che esiste. Da cosa dipende?

Parlare di salute mentale non è semplice, è un argomento diventato di grande attualità, balzato agli onori della cronaca e all'esaltazione dei social, ma questo non significa che abbia scalfito veramente l'interpretazione di cosa sia, effettivamente, il grande tema della salute mentale. L'approccio è sempre quello di grandi professoroni che ne parlano, la salute mentale dovrebbe entrare di diritto in agenda, senza passare dalla porta di servizio. È un grande argomento del tempo presente, che riguarda più generazioni. Anche se, sono convinta di una cosa.

Ovvero?

La vera ferita di questo tempo è l'abbandono. La generazione dei giovani si sente tradita, si sentono abbandonati ed è la verità. Noi li abbiamo abbandonati, perché non hanno prospettive future, non c'è da parte nostra un'attenzione a questo pianeta, in cui possono progettare un domani. E l'agenda politica ancora pensa a dei bonus straordinari,  già solo la parola bonus legata al concetto di salute mentale mi fa rabbrividire, però l'abbiamo affrontata così per decenni non solo in questo governo.

Ritieni che si stia sminuendo l'importanza di questi argomenti?

Non è una situazione che può essere presa ancora sottogamba. Gli psicofarmaci sono i più venduti nelle farmacie, quanti suicidi ci sono stati? E i disturbi del comportamento alimentare non sono un suicidio diluito nel tempo?

Arrivata alla sesta stagione di un programma come Fame d'amore, pensi che riconoscersi nelle storie degli altri possa essere uno sprone per provare a cambiare la propria situazione?

È interessante il gioco che fa la mente di fronte una verità così palese. Negli anni ho sentito tante ragazze o madri, che hanno capito cosa stava accadendo a loro, nelle loro famiglie, proprio guardando Fame d'amore. Molti hanno trovato il coraggio di curarsi, alcuni hanno chiesto i nomi di certe strutture, significa che il programma è servito ed è la cosa più importante.

Però può anche capitare che si prendano le distanze da una storia che non si vuole vedere.

Ci saranno state anche tantissime presone che hanno rifiutato di vedere, per paura, perché avevano bisogno di essere rassicurati nel loro dolore e non sono usciti dal guscio. Dovremmo considerare i ragazzi che si ammalano di dca come delle sentinelle che ci stanno dicendo "qui c'è qualcosa che non va", correggiamo le nostre relazioni, mettiamoci in discussione nel nostro modo di amare.

A questo proposito, si parla spesso di educazione sentimentale. Credi sia il giusto approccio o non si può insegnare ad amare?

L'amore si fa, non si dice. L'amore ha una sua gestualità, è una cosa pratica, non si insegna, l'amore si manifesta nel momento stesso in cui lo si mette in atto. Se dici ai tuoi figli "amore ti amo tanto", ma poi ti dimentichi del loro compleanno, di esserci quando chiedono attenzioni, o ancora "amore sei il sole della mia vita, però dovresti dimagrire, stare attento a come ti vesti", alimentando frustrazione, non si è poi liberi di fare le proprie scelte. L'amore cos'è? È mettersi a disposizione.

Che tipo di amore hai incontrato nella tua vita?

Dentro le storie di questi ragazzi ci sono anch'io. Certamente dentro di me c'è stata una ragazzina che voleva essere più vista, accolta, vivere con meno pressione. C'è una ragazzina che ha fatto fatica a trovare la strada giusta perché ha dovuto tagliare il cordone ombelicale. Ma da donna, oggi dico che bisogna riparare la frattura primaria risalente alla fase infantile, perché rischiano di essere ragazzi e ragazze con profonde dipendenze affettive, alle quali seguiranno nei peggiori casi, atti di violenza contro i propri partner, passiva o violenza attiva.

In questi anni si è fatto particolarmente abuso della parola resilienza. Raccontando storie di rinascita, se dovessi darmi una personale definizione di questo termine, cosa diresti?

Deve essere un concetto applicato in maniera straordinaria, non possiamo essere eternamente resilienti, dobbiamo reagire, che significa andare a curare quello che è nato o cresciuto storto, partendo dal rapporto con noi stessi.

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Oltre Fame d'amore, conduci anche Da Noi a Ruota Libera, come ti approcci a un tipo di conduzione più leggera, scanzonata?

È molto divertente, è una forma del mio mestiere che mette allegria anche a me, però gira che ti rigira vado sempre a finire lì dentro, faccio domande più introspettive. Può essere per alcuni il mio grande limite, per me vuol dire essere me stessa in qualunque contesto e andare a cercare qualcosa che vada oltre. Lascio che le persone si aprano, sempre che vogliano. Vado contro tutte le regole della deontologia televisiva. All'università mi veniva insegnato che "la televisione è sogno e bisogno", bisognava far sognare, far divertire a tutti i costi, ma c'è sempre spazio per altro, per la verità e narrazioni più profonde.

Entrambi i programmi vanno in onda la domenica, si può dire che sia il tuo giorno.

È un caso, non è una scelta ponderata. Non essendoci più Rai1, Rai2 e Rai3 ma dei generi i direttori fanno il loro palinsesto e capiscono dove posizionare il programma.

Restando in tema, nell'eventualità in cui si dovesse liberare un posto alla conduzione del programma della domenica per antonomasia, Domenica In, Francesca Fialdini sarebbe un bel nome. No?

(Ride con gusto ndr.) Beh, grazie.

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