Federico Basso: “Zelig è un tempio della comicità senza confini, può far ridere tutti”
Anche in questa stagione televisiva torna con una nuova edizione Zelig, lo show comico riportato al successo da Canale 5 dopo alcuni anni di assenza, che partirà giovedì 23 novembre. Un successo che dice molto di come la televisione generalista, se in grado di coniugare tradizione e innovazione, possa reinventare grandi successi del passato. Tra i volti storici di Zelig che anche quest'anno torneranno sul palco c'è Federico Basso, che ha debuttato sul palco ormai vent'anni fa e che in queste due decadi ha collezionato le più svariate esperienze, sul palco e come autore, ma anche come creatore di contenuti sulle piattaforme social. In quest'intervista a Fanpage.it ripercorre il suo storico, dal percorso solita a quello con i Boiler, che da Zelig sono arrivati anche a Sanremo.
Arrivi a Zelig nel 2003. Hai vissuto i fasti di un format che ha segnato la comicità in Tv e la Tv stessa. Come ha segnato te?
In maniera totale. Quando ho registrato la prima puntata di Zelig non esistevano ancora i social e in 20 anni ho assistito a questa dissolvenza che ci ha portati da 6-7 canali televisivi a una miriade di mezzi di comunicazione che danno modo di esprimersi nelle maniere più diverse.
Cosa è cambiato?
A cambiare di più è stata la velocità d'esecuzione e fruizione, 5 minuti nel 2003 corrispondono a 4 secondi sui social. Il livello di attenzione si è abbassato notevolmente per questa enorme quantità di informazioni. Catturare l'attenzione dell'utente è una sfida e bisogna imparare questa nuova grammatica dell'umorismo.
Un vantaggio o uno svantaggio?
I social hanno aumentato le possibilità della creatività, nel bene e nel male. Io mi fido molto dell'algoritmo che mi propone cose che mi sarebbe piaciuto fare da solo. Per me l'era digitale è stata importante anche per la possibilità di avere accesso a dei contenuti che non avrei potuto vedere con tale facilità. Ho sempre fatto molto riferimento alla stand up e al tempo dovevo ricorrere ai mezzi più disparati, amici che mi inviavano cose che arrivavano dopo mesi. Adesso sembra incedibile l'accesso a risorse che un decennio fa erano semplicemente impensabili.
Nella tua proposta sui social il quotidiano e il lavoro si intrecciano. Non essendo una forma di introito primario, che ruolo hanno i social nella tua scala di valori? Sono un laboratorio?
Tutto quello che faccio lo faccio per passione, invidio colleghi che riescono a monetizzare, ma al momento mi diverto e basta. I social ti danno possibilità di sperimentare nuovi linguaggi. Ovviamente, da quasi 50enne, quando sono sulle piattaforme mi percepisco come l'adulto nel parco divertimenti. Però devo dire che quando trovi la tua cifra, ti rendi conto che le piattaforme possono migliorare il tuo lavoro.
I contenuti sui social possono diventare materiale per il palco, oppure si tratta di cose separate?
Ciò che creo per i social arriverà certamente sul palco un giorno, ma la vera forza dei social è la possibilità di cercare un mio pubblico e farmi trovare. Avendo una comicità che non è di pancia, ma soprattutto di testa, cosa che considero anche un limite, capisco che i social mi danno modo di arrivare a persona che non avrei potuto raggiungere con la frequentazione di club e laboratori.
Chi ti viene a vedere a teatro ti conosce già, come se si aspettasse già qualcosa da te. Questo cambia il rapporto con il pubblico?
Assolutamente sì e mi lusinga che molto spesso, nei commenti sui social, ci siano persone che chiedono quando potranno vedermi nella loro città.
I social danno più libertà rispetto alla televisione?
Quando lavori per la televisione hai molti filtri davanti a te, che non sono quelli di Instagram, ma quelli dell'autore, del redattore, del responsabile di rete che ti dicono sia meglio fare questa cosa e non quella, che c'è un argomento che preferiscono non trattare. Sui social ti assumi le tue responsabilità e rischi molto di più, beccandoti i feedback, però ogni volta è più gratificante. Mi fa anche piacere se mi fanno notare cose alle quali non avevo dato peso. La cosa che mi fa piacere è che, senza accorgermene, sto creando una piccola comunità di persone.
Quand'è che un autore ha fermato una tua battuta? Immagino che sentirsi bloccare l'esuberanza comica crei qualche problema.
Avendo una formazione oratoriale non ho mai avuto la necessità di essere imbrigliato, perché non sono mai stato uno stand up comedian di assalto. Mi è successo di non comprendere alcune cose di grammatica televisiva, molto spesso mi hanno fatto notare che alcune delle cose che dicevo dessero per scontata una comprensione dello spettatore che scontata non era.
Tra le tue rubriche social c'è la rassegna dei messaggi che Sonia ti lascia in cucina, che leggi come fosse un rullo del Tg. Da dove arriva questa cosa?
Avendo lavorato nei Tg per 7 anni prima di fare il comico, mi rifaccio ai codici della rassegna stampa che per anni ho vissuto ogni sera. Mi piaceva riportare la mia quotidianità attraverso quel codice. Poi si tratta di una cosa molto personale, tant'è che sono i video meno popolari, però mi piace che questa cosa si mescoli con le parodie di Masterchef e 4 ristoranti.
Dal giornalismo alla comicità, come è andata?
Io ho fatto scuola di cinema e televisione a Milano perché amo il montaggio, poi ho lavorato 7 anni come operatore a Milano 2. Lì mi è stata data la possibilità di lavorare a Zelig e davanti all'eventualità di una vita sul palco, non me la sono lasciata scappare. Dal 2004 ho iniziato come comico, poi alcuni anni di conduzione di Zelig Off con Teresa Mannino.
Comicità e giornalismo si intrecciano spesso e tu con i Boiler hai fatto in un certo senso da apripista.
Noi avevamo iniziato a Zelig anni fa con la conferenza stampa dalla platea. Conoscevo abbastanza questo mondo e avevo anche paura delle conferenze all'inizio di ogni trasmissione, quindi provavo ad esorcizzare il tutto. Era inevitabile che sfruttassi quell'esperienza. Quello che provo a fare sempre è non denigrare, non mi piace smontare il lavoro altrui, però se riesco a trovare il lato comico nelle cose non riesco a bloccarmi.
Nel 2015 le vostre incursioni erano arrivate fino a Sanremo e lì, invadendo la conferenza stampa quotidiana, qualcuno all'inizio vi prendeva sul serio. Come nacque?
Abbiamo avuto un santo protettore come Carlo Conti, che ci ha fatto fare Sanremo, il Gran Premio della Tv, The Band e anche i David di Donatello. Mi ricordo ancora la sua prima telefonata in cui ci chiese di fare Sanremo con lui. Ci presentò facendoci esordire proprio durante la conferenza stampa mattutina, creando questo corto circuito con i colleghi che inizialmente credevano fossimo davvero di una testata giornalistica.
Se questo succede, la gag è riuscita?
Insinuare questo dubbio in chi è presente, anche se per qualche secondo, ti dice che è andata bene. Faccio un altro esempio, in queste settimane ho iniziato a fare finte sponsorizzazioni sui social, ma il rischio è che qualcuno possa confonderle con vere sponsorizzazioni e le interrompe prima della fine. Il confine tra le due cose è molto sottile e mi fa piacere leggere, ogni tanto, qualcuno che scrive nei commenti di aver visto fino alla fine il video sul parrucchiere per cosplayer pensando fosse vero.
Vieni dal mondo della stand up, considerata in antitesi rispetto a quello Zelig molto legato ai canoni comici del cabaret. Esistono ancora questi compartimenti stagni, o sono andati smussandosi?
Senza dubbio sono stati infranti. Quando ho iniziato ero considerato monologhista. Non a caso, quando parlavo della gara di insacchettamento al supermercato nella mia prima apparizione, ero uno dei pochi a non fare un personaggio, elemento che determinava il successo di Zelig al tempo: da Ale e Franz a Leonardo Manera, Cirilli e tanti altri, avevano creato personaggi immortali. Piano piano, con l'evolversi dei linguaggi e l'arrivo di nuove ispirazioni, la differenza non si percepisce quasi più. Al tempo Colorado su Italia 1 aveva un pubblico più giovane, mentre Zelig era più generalista. Oggi un programma di comici è un grande calderone in cui c'è tutto e le cortine non ci sono più, può far ridere tutti.
Forse questa caduta dei paletti è stata anche la chiave del ritorno con grande successo degli ultimi anni?
Molto probabile. Da quando sono dentro Zelig, che è un tempio della comicità, lo considero un meraviglioso ristorante con un menu che ha sempre funzionato. È evidente che ogni ristorante deve riuscire a coniugare tradizione e innovazione. Oggi a Zelig ci sono i personaggi storici che tutti vogliono vedere, ma anche nuovi innesti che soddisfano palati più raffinati.
Essendo praticamente in mezzo, tu ti senti più parte della vecchia o della nuova scuola di Zelig?
Io sono già vittime del "ah posso fare una foto con te perché mio padre ti guardava sempre?". Mi fa piacere perché è anche una tradizione di famiglia, però poi ammettono candidamente che nemmeno ricordano il tuo nome perché magari ti guardavano quando erano piccoli e quindi non hanno memorizzato.
Fa comunque piacere però.
Certo, sono comunque vent'anni di comicità. Ovviamente, vedendoli da dentro fai più fatica, ma se penso che ci sono comici sul palco di Zelig di 22 anni, capisco che alcuni di loro le prime edizioni di Zelig non può nemmeno ricordarle.
Quando hai iniziato con loro c'era qualcuno cui ti ispiravi? Un comico che magari metteva insieme stand up e Zelig.
Quando sono arrivato ho avuto modo di incontrare grandi mostri sacri come Forest ed altri. Devo dire che le prime domande le ho fatte a quello che ho sempre considerato un grande maestro e cioè Paolo Migone. Lui è riuscito a creare un personaggio surreale di una potenza enorme, in grado di portare sul palco immagini incredibili. Aveva un linguaggio completamente diverso rispetto alla norma e credo arrivasse anche ad alcune vette poetiche. Penso che molti comici nella loro vita abbiano scritto un pezzo sull'Ikea, ma dopo quello di Migone, c'era ben poco da aggiungere.
Sei "solista", ma da anni continui a lavorare con il collettivo dei Boiler, con cui ti esibirai a Zelig. Il lavoro in solitaria e quello di gruppo non si ostacolano mai?
Da qualche tempo è arrivato Silvio Cavallo, che ha lavorato a Italia's Got Talent anni fa. Inevitabilmente nel trio devi arrivare a dei compromessi, mentre da monologhista resto l'unico riferimento di me stesso, dicendo quello che voglio dire e come farlo senza condizionamenti. Ogni situazione ha pro e contro, i programmi con Carlo Conti li abbiamo fatti in tre e da solo, molto probabilmente, non ci sarei arrivato.
Scrivere per altri. Hai avuto diverse esperienze da autore, in quel caso sei stato più a tuo agio o l'idea che qualcuno dica le tue battute è una cosa che ti infastidisce?
Tutte le volte che l'ho fatto, per fortuna, ho lavorato per persone che conoscevo, artisti con cui andavo molto d'accordo, da Teresa Mannino a Checco Zalone. Fare l'autore per qualcuno significa entrare nella sua testa, è una specie di palestra e sono muscoli che alleni. È un complesso gioco di equilibri perché se è vero che devi metterti nella testa di qualcun altro, c'è da tenere conto che quel qualcun altro, in quel momento, sta cercando anche di uscire dai suoi schemi e cercare una contaminazione con il tuo stile, apparentemente inconciliabile. Suonare sempre la stessa canzone non ha senso.
Stare su un palco significa anche essere al passo con i tempi ed essere aggiornato con l'attualità.
Sì e in questo a loro volta i social influenzano, perché ormai il tempo che passa da una vicenda che accade e l'emergere di una battuta o di una gag sulle piattaforme è infinitesimale. Essere aggiornati però è importante, soprattutto per la risonanza che uno scivolone può avere. Non vorrei mai salire sul palco e fare una battuta di repertorio e nel frattempo è accaduto un fatto di cronaca che la rende cinica o becera. Non si può sapere tutto sempre, però tenersi informati un minimo è importante.