Ezio Greggio: “Negli anni ’80 non sapevamo di fare la storia, oggi quella libertà non c’è più”
"Mi auguro che Pippo torni presto a casa, tra i suoi cari e possa tornare presto a lavorare". Raggiungiamo telefonicamente Ezio Greggio pochi minuti dopo la notizia del ricovero di Pippo Franco: "È stato di recente mio ospite durante l'estate, il suo fu un intervento applauditissimo, mi auguro si rimetta in sesto". A Fanpage.it, il conduttore, attore e regista si racconta a margine della sua partecipazione al Premio Troisi di San Giorgio a Cremano, ospite d'onore per premiare la Migliore Scrittura Comica e miglior Corto Comico: "Quando scendo giù a Napoli è come se fossi a casa perché io da sempre ho avuto un rapporto con la città e con la Campania fantastico. Sarà perché amo Totò e volevo un bene immenso a Massimo".
Con l'attore parliamo di tutto, anche della sua ultima soffiata di calciomercato, annunciando Zaniolo alla Juventus prima degli altri: "Dopo Vlahovic, annuncio Zaniolo. Sono cose che capitano ai giornalisti come me (ride, ndr). Sugli anni '80 e la comicità di un tempo: "Un periodo irripetibile. C'è stato un boom economico, culturale, ma soprattutto c'era una libertà che adesso non c'è più. È sparita completamente".
Signor Ezio, come sta?
Direi bene. Un mese fa si è concluso il mio Festival (il Monte-Carlo Film Festival, ndr), è stata un'edizione fantastica. Di recente, sono stato in Libano con la mia associazione. Abbiamo donato medicinali a nove ospedali e siamo molto felici.
La sua associazione a favore dei bimbi prematuri.
Sì, in linea di massima facciamo quello come azione principale, ma facciamo anche azione laterali. Nel corso dell'ultimo conflitto, abbiamo aiutato donne, bambini e anziani a superare i confini dall'Ucraina fino in Italia, in collaborazione con la Comunità di Sant'Egidio. Ora abbiamo pensato anche al Libano, dove mancavano medicinali per poter curare persone in tanti ospedali.
Senta, intanto, è già su tutti i giornali per la storia di Zaniolo alla Juventus. Dopo Vlahovic, ci ha preso gusto ad annunciare i colpi di mercato prima degli altri?
Eh, beh, succede. E dopo Vlahovic, succede di nuovo. Sono cose che capitano ai giornalisti come me (ride, ndr). Ci auguriamo che Zaniolo sia una bella storia, per lui e per tutto il popolo juventino.
Ospite del Premio Troisi, nella città del regista, a San Giorgio a Cremano. Cosa significa per lei?
Quando scendo giù a Napoli è come se fossi a casa perché io da sempre ho avuto un rapporto con la città e con la Campania fantastico. Sarà perché amo Totò e volevo un bene immenso a Massimo, che ho avuto vicino anche nel suo momento finale.
Com'era Massimo?
Era un uomo fantastico dalla personalità enorme. Un entusiasta.
Che rapporto ha con la città?
Quando ho girato con Carlo Vanzina "Anni '50" a Capri, rientravo spessissimo a Napoli. Una tappa fissa era il cimitero di Poggioreale, dove c'è la tomba di Totò. Ho avuto anche il Premio Totò da Liliana, sua figlia, che purtroppo se n'è andata di recente. Io lo sogno pure la notte Totò, per questo quando sono qui mi sento a casa.
Al Premio Troisi incontrerà il direttore artistico, suo vecchio amico e collega negli anni '80, Gino Rivieccio.
Eravamo nei primi tempi delle reti berlusconiane e Gino era lì, era nel cast. Abbiamo fatto tante cose insieme, convention per le aziende. È tanto che non ci vediamo, ma recuperiamo al Premio Troisi.
Drive-In, Odiens, la commedia italiana degli anni '80: sapevate di fare tutti la storia in quei momenti lì?
Assolutamente no. Non avevamo una percezione storica. Col passare degli anni ce ne siamo resi conto che quello è stato un periodo irripetibile, meraviglioso. C'è stato un boom economico, culturale, ma soprattutto c'era una libertà che adesso non c'è più. È sparita completamente.
Perché?
Posso dire che se devo scegliere, preferisco gli anni '80 a questi anni qui. I motivi sono tanti. Ma già soltanto se penso ai Vanzina, se penso a Yuppies, Vacanze di Natale. Era un periodo straordinario e oggi ce l'ho preciso nella mente che è stato un momento che ha segnato la storia del nostro Paese.
Secondo lei è cambiato il modo in cui la gente si diverte? O gli italiani si divertono sempre allo stesso modo?
Io ho un po' il termometro ma ho anche lo stetoscopio sulla comicità. Ascolto anche cuore e polmoni degli italiani, purtroppo colpiti da questo maledetto virus. Credo che la verità di fondo sia che la gente ha bisogno da sempre di divertirsi. Ovvio che l'offerta cambi un po'. Le tv private prima la facevano da padrone, adesso che l'offerta si è ampliata è inevitabile.
Parla delle piattaforme? Le piace il cinema dal divano?
Le piattaforme hanno un po' impigrito il pubblico, ma io so che resta grande la voglia di divertirsi. E se parliamo di cinema, in vent'anni di Monte-Carlo Film Festival, posso dire che mi rendo conto che la gente sa benissimo che quello, il cinema, è il luogo deputato per vedere un'opera. Tutto ciò che è il grande lavoro che c'è alle spalle per realizzare un film, si sublima nella sala. Il maledetto Covid ci ha fatto separare e vivere per lunghi periodi forzatamente a casa. Lo abbiamo raccontato anche in "Lockdown all'Italiana", che ha fatto un grande risultato al cinema e nei passaggi successivi sulle piattaforme. Sostanzialmente, cambiano gli argomenti di proposta ma resta questa necessità e questo bisogno fisico di sorridere e di non smettere di guardare la realtà con l'occhio di chi fa questo mestiere.
Quando penso alla sua carriera, faccio fatica a inquadrare un suo maestro. Ne ha avuto qualcuno?
Questo mestiere è un furto continuo, ancora oggi continuo a rubare, ma quando ero ragazzino a Biella, andavo a teatro a vedere Gino Cervi, Ric e Gian, andavo a vedere i recital di Walter Chiari, di Macario…
Ecco, vede che torniamo a Totò. Se lei mi dice Macario, io penso a Totò.
Appunto. E Totò non l'ho conosciuto, ma conoscevo molto bene Peppino De Filippo, che ho frequentato nei suoi ultimi anni di vita. Da Peppino, ho raccolto tanti suggerimenti e l'ho studiato. Ero fortunato perché assistevo alle prove di "Non è vero ma ci credo", una delle sue ultime commedie, andavo a cena e dormivo anche a casa sua. Ho appreso molto da lui.
Il momento in cui ha capito che avrebbe fatto questo nella vita.
In gita scolastica, a Parigi. Eravamo a Montmartre, davanti al Sacre-Coeur e scopro cosa vuol dire fare il cinema. Erano in corso le riprese di un film con Jean-Paul Belmondo. Era la prima volta che vedevo un set. La scuola continuò la gita, io passai tutto il giorno a vedere le riprese del film. Poi raccontai anche l'aneddoto al figlio Paul, col quale diventammo amici, che mi mise in contatto con suo padre e raccontai la storia anche a lui.
E con la scuola?
Eh, mi beccai una nota, ovviamente. Ma direi che ne è valsa la pena.