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Eugenio Franceschini: “Emily in Paris piena di cliché? Non è un telegiornale. I miei figli mi hanno cambiato”

Eugenio Franceschini è il nuovo volto di Emily in Paris 4, dove interpreta Marcello Muratori. Prima della serie Netflix, in realtà, tanti sono i lavori a cui ha preso parte, dimostrando di sapersi plasmare su vari registri. In questa intervista si racconta, parlando del presente, dei suoi trascorsi e anche di quello che è ancora un sogno nel cassetto da realizzare.
A cura di Ilaria Costabile
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Ora tutti lo conoscono come la nuova love story di Lily Collins in Emily in Paris 4, ma in realtà Eugenio Franceschini, che nella serie Netflix interpreta Marcello Muratori, è un attore che di strada tra cinema e tv, ne ha fatta parecchia. Classe 1991, veneto di nascita e milanese d'adozione, a 33 anni è riuscito a plasmare il suo talento su vari registri: dal comico allo scanzonato, dal drammatico allo storico, volta per volta acquisendo sempre più consapevolezza. "Con il tempo ho cambiato anche il mio modo di recitare, diventando padre ho spostato il mio centro" ci ha detto in un'intervista, mentre si dirigeva verso il prossimo progetto che vedremo non prima dell'anno prossimo. Nel frattempo si racconta, parlando dei suoi trascorsi, di ciò che un giorno vorrebbe realizzare di quello che, forse, abbiamo perso di vista perché troppo attenti a sezionare ogni cosa ci capiti sott'occhio: "L'arte, spesso, serve anche solo per raccontare storie, veicolare emozioni". E, in fondo, non sarà l'ossessione del vero a rendere ciò che vediamo, più bello di qualcos'altro.

Dopo l'uscita della serie, la domanda più frequente in rete è: Chi è Eugenio Franceschini. Te la rigiro, se dovessi rispondere, cosa diresti?

Chi sono io? Uno che si fa il mazzo, questo posso dirlo con sincerità. Uno che ogni tanto riesce in quello che vuole fare, alle volte fallisce. Ma ci prova.

Sin dalla prima stagione, Emily in Paris è stata contestata per la strabordante presenza di cliché. Ora che ne fai fatto parte, cosa pensi di queste critiche?

Sono consapevole che ci siano molti cliché, ma credo che l'attenzione vada spostata su altro. Abbiamo tutti vite diverse, chi problematiche, chi meno, quindi la rappresentazione della realtà è un qualcosa che dipende dal singolo. Il cinema o l'arte in generale, è rappresentativa del mondo, ma non ha il dovere di essere coerente. Vengo da una famiglia di teatranti, commedianti dell'arte, in cui tutto quello che rappresentavano era lontano anni luce dalla realtà, si raccontavano favole. Quindi, ecco, credo che qui si sia perso di vista che si sta parlando di una storia, che non necessariamente deve essere aderente alla realtà. Non è un telegiornale o un documentario, ma qualcosa che faccia viaggiare la fantasia.

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Quindi è funzionale che ci sia una descrizione un po' sopra le righe di Parigi, come di Roma. 

La serie è ambientata in Europa, ma è pensata per un pubblico non europeo, segue le fascinazioni che hanno per il nostro continente e quelle fascinazioni sono i cliché. Se vuoi attirare gli americani, o anche gli orientali, perché ho notato che c'è un seguito pazzesco anche in Oriente, rappresenti quello che si aspettano di vedere. Fai quello che ti chiede il mercato.

Intanto, cliché o meno, è stata confermata anche la quinta stagione

Sì, ho visto. Non ero stato avvertito da nessuno. O meglio, il produttore mi aveva mandato un messaggio, ma non aveva menzionato il rinnovo, bensì il fatto che fosse andato tutto molto bene.

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Adesso che la conferma c'è dovrai tenerti pronto, prima o poi la chiamata arriverà. Si presume. 

Si presuppone, poi non lo so ancora nemmeno io. Bisogna sempre stare attenti in questo mondo (ride ndr.).

Hai fatto cinema, televisione, passando da un registro all'altro. Come scegli di prendere parte a un progetto?

La mia carriera è stata molto altalenante, sia per motivazioni artistiche, sia per evoluzioni della mia vita impreviste, quindi in ogni momento le necessità e le possibilità erano diverse. Ci sono stati momenti di abbondanza in cui ero io a decidere cosa fare o meno, altri in cui la possibilità di scegliere non c'era e altri ancora in cui non arrivava nemmeno la chiamata. Sono diventato padre a 26 anni, quando accade una cosa del genere, e magari per molto tempo non lavori, la prima cosa che ti arriva la prendi. La paternità ha spostato tutte le mie priorità, le scelte che faccio non ricadono più solo su me stesso.

Meno scelte, ma più continuità, possiamo riassumerla così. 

Esatto. A volte ti tappi anche gli occhi e pensi a portare la pagnotta a casa, poi ho avuto anche qualche difficoltà negli ultimi anni della mia vita, dal punto di vista lavorativo, persone che mi hanno compromesso.

E se ti chiedessi cosa, invece, ti piacerebbe davvero fare?

Le cose belle (ride ndr.) Però incide molto anche il passaggio da un progetto all'altro, magari dopo aver fatto qualcosa di particolarmente cupo, hai voglia di buttarti in qualcosa di più leggero, come al contrario, interpretare sempre ruoli leggeri ti annoia. Ho dei miei sogni nel cassetto, prodotti che mi piacerebbe fare, sono cose molto specifiche.

Hai interpretato ruoli in progetti anche di carattere storico, in cui però hai detto di voler separare il tuo lavoro di attore, dal messaggio che la storia può raccontare. Alcuni tuoi colleghi pensano esattamente l'opposto. 

Sono cresciuto pensando l'opposto, poi mi sono liberato da questa sorta di dovere. Luca Marinelli, parlando di M, diceva una cosa simile, anche se in quel caso si tratta di un prodotto molto più grande, intenso. Parlo da persona che scrive, molto, e credo che quando scrivi o interpreti, l'unico obiettivo sia creare qualcosa di emotivamente forte, emozionante, quello che hai dentro, il tuo retaggio culturale e non solo, poi, lo trasmetti lo stesso. Non bisogna soffermarsi sulla visione di una storia, di un personaggio come portatore di un messaggio. Fare l'attore è un lavoro emotivamente complicato, non si può cercare di essere anche insegnanti, noi trasciniamo le persone nelle storie, da scaturiscono emozioni, riflessioni, non abbiamo altro compito. Ti faccio un esempio.

Eugenio Franceschini nel cast de La Rosa dell'Istria
Eugenio Franceschini nel cast de La Rosa dell'Istria

Certo, dimmi pure. 

Ho avuto il piacere di conoscere Lina Wertmüller, abbiamo parlato perché io volevo fare uno spettacolo. Lei sosteneva che nei suoi film, il cui sfondo era ovviamente politico, non ha mai pensato di voler trasmettere una determinata idea, era il suo bagaglio culturale ed emotivo a parlare per lei. Sono due processi diversi, uno impone il voler essere portatori di un messaggio, l'altro seguire il flusso di idee, pensieri, emozioni. Tarpare le ali, imponendo anche dei dogmi da seguire nel creare un film, come sta succedendo agli Oscar, limitando ad un artista la propria visione delle cose, credo che sia controproducente in termini di sincerità del prodotto.

Un attore deve essere in grado di trasmettere emozioni, ma di maneggiare anche le proprie. Cosa hai scoperto in questi anni di lavoro su te stesso?

Con l'arrivo dei miei figli, in combinazione con il mio mestiere, ho scoperto di avere un ego molto grande e questa cosa mi ha turbato. Quando ho iniziato a studiare al Centro Sperimentale mi hanno insegnato a mettermi a nudo, sia emotivamente che fisicamente, per liberarmi dei pregiudizi, delle chiusure, ma è un processo lavorativo che poi si fonde anche un po' con la vita.

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Hai avuto difficoltà a scindere i due piani?

Inizi a confondere il lavoro con la tua vita, diventa un pastone strano, dove senti questa necessità di dimostrare anche nel quotidiano questa libertà, e si diventa un po' egoisti. Da un lato è anche appagante, perché le persone restano affascinate da questo modo di essere, però poi arrivano quei momenti in cui sei chiamato a ridimensionarti.

E quindi sei tornato con i piedi per terra. 

Con l'arrivo dei miei figli non ho potuto fare altro. È stato bello eh, finché è durato, ma poi non è quella la vita vera e questo cambiamento, influisce anche nel modo di recitare. Per un attore avere un ego piuttosto grande può essere utile, perché riesci a monopolizzare l'attenzione, però quando ti trovi a dover interpretare qualcosa in cui non sei solo tu al centro, ma c'è una relazione, essere messi in ombra è difficile da gestire se si è troppo concentrati su di sé. Ora che mi sono liberato, riesco a creare connessioni più autentiche, mi diverto di più, sto bene, ed è quello che voglio. È cambiata anche la visione di come affronto il mio mestiere.

Chiudiamo il cerchio facendo un passo indietro. Vieni da una famiglia di teatranti, attori di strada, cosa hai portato con te di quel mondo nel tuo mondo? 

Quando sono entrato al Centro avevo un'energia, soprattutto fisica, incredibile e questo perché per anni ho recitato con la compagnia di famiglia. Lì è un tipo di teatro fisico, di pancia, ero quel tipo d'attore che pensava di dover sudare per forza. Ma ho capito che avere questa voracità nel recitare non è sempre positivo, davanti alla telecamera non serve a nulla, quindi ho ridotto molto questa energia. Però ho mantenuto la facilità nel muovermi, appena sul set c'è bisogno di qualcosa che richiede movimento sono felicissimo e poi, un'altra cosa di cui vado molto orgoglioso, è l'uso della voce. Lavorando in spazi aperti ho imparato fin da subito ad utilizzarla, proprio come uno strumento.

Possiamo dire che sia il tuo marchio?

Le persone mi riconoscono dalla voce, mi è capitato spessissimo di sentirmelo dire. È una cosa bellissima per me.

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