Era Alberto di Un medico in famiglia, Manuele Labate oggi: “Faccio l’artigiano e l’artista di strada”
Sono trascorsi 23 anni da quando Manuele Labate ha esordito nella serie tv Un medico in famiglia, nel ruolo di Alberto Foschi. Oggi ha 39 anni e ha due figlie: Aurora, che ha 11 anni e Maria Sole, che ne ha 4. Labate si è raccontato in una lunga intervista rilasciata a Fanpage.it, approfondendo i motivi della sua assenza dal piccolo schermo e raccontando la sua vita oggi. Negli anni ha fatto dell'arte la sua cifra, declinando questa passione in diversi mestieri: è uno street artist, un artigiano e un tatuatore. La recitazione ha un ruolo più ridotto. Quanto ai valori su cui basa le sue scelte umane e professionali, ha dichiarato:
Rispetto del prossimo, sincerità e ricerca della serenità per andare a dormire la sera con la coscienza a posto. Cerco di andare sempre un po’ incontro ai miei sogni. Il sotterfugio, la menzogna, uno non dovrebbe mai adottarli. Tanto alla fine, chi ti vuole bene, te ne vuole per come sei.
Era il 1998 quando esordivi nella fiction Un medico in famiglia, dove interpretavi Alberto Foschi. Che ricordo ti è rimasto di quell’esperienza?
Avevo 14 anni. Era un momento di crescita, iniziavo a mettere il naso fuori da casa. Non mi sentivo più un bambino, ma di fatto non ero un adulto. Questa esperienza mi ha insegnato cosa vuol dire avere obblighi e doveri, mi ha responsabilizzato. E poi mi affascinava la possibilità di scoprire ciò che non si vede in tv, ciò che avviene dietro le telecamere.
All’epoca eri l’idolo delle giovanissime. Le tue foto erano ovunque. Come ha influito il successo sulla tua adolescenza? Hai fatto fatica a gestirlo?
Quando arriva la fama è difficile restare umili, tranquilli, inquadrati nella realtà. Pensa a cosa potesse significare per me, a 16 anni, fare una passeggiata in centro a Roma. Ringrazierò per tutta la vita i miei genitori, che mi hanno detto: "Manuele tieni presente la realtà, hai degli obblighi scolastici e una famiglia che ti vuole bene e a cui puoi sempre chiedere aiuto e sostegno". Questa cosa mi ha sensibilizzato al punto da tenere sotto controllo quello che normalmente vedevo sfuggire di mano a qualche coetaneo.
Alla fine degli anni '90 non c’erano ancora i social, era più arduo per le fan mettersi in contatto con te.
In effetti non c'era un canale diretto, come potrebbe essere oggi con una pagina Instagram o Facebook. Mi contattavano per corrispondenza, tramite la casella del fan club. Qualcuno riusciva a mettere a fuoco il nome della casa di produzione che faceva Un medico in famiglia e contattava Publispei, la quale poi mi faceva trovare sul set centinaia di lettere da tutta Italia.
Rispondevi?
Ho letto qualsiasi cartolina o lettera ricevuta. Mi accorgevo che il fatto che io rispondessi, dando ascolto ai desideri dei fan, era appagante per loro. Pochissimo, poteva rappresentare tanto per qualcun altro.
Qual è l’episodio più strano che ti è accaduto, che ha visto protagonisti i tuoi ammiratori?
Stavo facendo una passeggiata a Roma e mi sono trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato (ride, ndr). C'era una scolaresca di Napoli. Ricordo perfettamente quel giorno, la prima di loro disse: ”È Alberto di Un medico in famiglia", accendendo una reazione di gruppo eclatante. Mi strapparono addirittura la maglietta. Nella fretta, nell'eccitazione del momento, le mani si sono un po' allungate per dirmi: "Ti prego non scappare" e c'è stato questo piccolo contrattempo. Nulla di serio, però.
Le tue figlie Aurora e Maria Sole hanno mai visto gli episodi di Un medico in famiglia?
Sì, si chiedevano: "Perché papà sta dentro la televisione? Come mai? Cosa succede? Se sta qui vicino a me, come faccio a vederlo lì dentro?" (ride, ndr). Sono dinamiche che poi acquisisci crescendo. Aurora ho avuto modo di portarla anche su qualche set. La piccolina ancora no, quindi adesso si accontenta di uno spot per cui ho lavorato recentemente.
Ancora oggi circolano sui social le foto che ritraggono il personaggio di Alberto con Maria, Reby o Nonno Libero. È rimasto un legame tra te e gli attori Margot Sikabonyi, Carlotta Aggravi e Lino Banfi?
Certo, abbiamo trascorso ore e ore insieme, per tutta la settimana, per anni. Impossibile non instaurare un rapporto di affetto, diretto e personale. Si è creata una dinamica familiare, che siamo riusciti a mantenere per tanti anni, fuori dal lavoro. C'era affetto e piacere nello stare insieme.
Com'è, invece, il tuo attuale rapporto con Clizia Fornasier, che interpretava il personaggio di Albina, di cui Alberto si innamorava, lasciando Reby?
Nella vita reale subentrano impegni, fidanzati, la quotidianità. Mantieni un rapporto finché è possibile. Ma pian piano, non frequentandosi, senza ipocrisia, il rapporto un po' si raffredda. Questo lavoro crea grandi amori, ma c'è anche un sostituire gli affetti piano piano.
Per chiarezza, avevate una relazione fuori dal set?
No, c'è stata una grande amicizia. Avere un bel feeling con un'attrice con cui devi interpretare una storia d'amore, porta i suoi frutti. Abbiamo avuto una simpatia, un piacevole stare insieme ma non siamo andati oltre.
La decisione di lasciare la serie è stata tua?
L'assenza nella sesta stagione è avvenuta perché sono diventato padre. Nella mia vita privata è arrivata Aurora. Magari non si è pronti a questo cambiamento e ho preferito concentrarmi di più sugli affetti. Avevo un'ansia motivata dal desiderio di essere un padre presente. Ho preferito fermarmi, mi sembrava di togliere spazio a una parte troppo importante della mia vita. Ho preso coraggio, ho chiamato la mia agente e le ho comunicato la mia decisione: volevo stare un po' lontano dai riflettori.
Sei rientrato nel cast per la settima stagione e poi hai lasciato Un medico in famiglia definitivamente. Dopo sei apparso in altri progetti come Il bello delle donne, L’ultimo Rigore, Il sangue e La Rosa e, infine, ti abbiamo visto sempre meno. Cosa è successo?
Questa pausa, legata a questo motivo fondamentale – dedicarmi di più alla famiglia – è stata in qualche modo non compresa dagli addetti ai lavori. Registi, produttori e casting l'hanno vista come una mancanza di rispetto. Vieni guardato di traverso, perché è pieno di attori che si fanno una famiglia, ma continuano a fare il loro lavoro. Vedere che Manuele, perché diventa padre, si ritira da questo mondo, ha destato un po' di sospetti. È stato sempre più difficile avere dei colloqui di un certo tipo, dei provini abbinati al protagonista o al coprotagonista. Si è ridotta l'attenzione su di me.
Il fatto di avere interpretato un ruolo così di successo, come quello di Alberto, può essersi rivelata un’arma a doppio taglio? Magari sei stato troppo identificato con quel personaggio.
In effetti, il riscontro più semplice era: "Uh guarda, Alberto di Un medico in famiglia", qualcuno un po' più distratto addirittura mi definiva "Quello di Un medico in famiglia". Ma ho incontrato anche persone che mi hanno detto: "Sai Manuele, ti ho adorato in Beautiful thing”, uno spettacolo teatrale. E lì ti si riempie il cuore di gioia, perché vieni riconosciuto per qualcosa che hai fatto, non perché sei stato un personaggio amato. Quei complimenti mi resteranno sempre nel cuore. Fu una gratificazione enorme.
Tra le tue esperienze televisive c’è anche un reality, Il ristorante. Oggi ti piacerebbe fare il GFVip o l’Isola dei famosi?
Qui mi trovi un po’ contrario, ma non per un ideale. Ho provato sia uno che l’altro. Se si tratta di recitare, di interpretare un ruolo, di creare un personaggio, mi piace farlo. Se parliamo di Manuele seduto in una trasmissione televisiva che dice la sua, non fa per me, anche per la timidezza che mi appartiene. Non è nelle mie corde. Anziché: “E adesso sentiamo Manuele” preferisco ”E adesso emozioniamoci con il personaggio interpretato da Manuele”.
Negli anni hai abbracciato un’altra forma artistica, quella della street art. Gli artisti di strada salvano dal degrado gli spazi comuni presenti in città, ridandogli nuova vita attraverso l’arte.
Ho sviluppato questa passione da ben prima di iniziare a recitare. È come dire che il primo amore non si scorda mai. Le strade della street art sono diverse. Quando si parla di recupero urbano, devi avere un’autorizzazione. Presenti il progetto e aspetti una risposta positiva. La seconda strada è quella di muoversi in maniera autonoma e, passami il termine, illegale, però riconoscendo sempre un aspetto estetico. Non fai una cosa frettolosa, colorata male per il puro gusto di sfogarti. La street art è una parte molto importante della mia vita e ho la fortuna di condividere questa passione con Aurora.
Quindi tua figlia sta seguendo le tue orme?
Non la sto instradando sul discorso street, ma sul disegno. Quando siamo a casa dipingiamo insieme. C’è una ragazza che adoriamo seguire su YouTube, si chiama Fraffrog. Lei vive di disegno, recensisce matite, colori, pennelli, fa vedere diversi stili. Passiamo ore in armonia, guardando lei che disegna.
È vero che sei anche un tatuatore?
Sì, mi sono detto: dipingo su legno, muro, carta, cosa mi manca? La pelle umana! (ride, ndr). È stata un’evoluzione spontanea. Mi sono preparato, ho fatto pratica, ho seguito un corso di studi e ho passato l’esame finale. È qualcosa che continuo a coltivare, ma non è la mia principale professione adesso.
Come mai hai deciso di accantonarla?
È un lavoro talmente tecnico che hai bisogno di praticarlo tutti i giorni, per un grande numero di ore, ciò significa che la famiglia e gli altri interessi potrebbero risentirne. Allora ho ridotto questo aspetto, anche se comunque me lo tengo. I miei amici possono beneficiarne e mi sono anche fatto dei tatuaggi da solo, anche se mia madre spesso mi dice: “Ma ti ho fatto così bello e ora ti rovini con questi tatuaggi”.
Qual è la tua professione adesso?
Da sei mesi a questa parte ho messo sotto contratto questo mio aspetto artistico. Collaboro con un'azienda che crea illuminazione di design, insegne luminose, quadri, tramite un connubio di decorazione e illuminazione. Si parte da un disegno, poi lo si arricchisce con dei componenti neon o con dei led, è tanta roba. Io collaboro alla creazione di queste opere, occupandomi principalmente della colorazione, della pittura. Mi definisco un artigiano moderno.
Dunque, ricapitolando, sei un artista di strada, un artigiano, un tatuatore e un attore.
Aggiungiamo ballerino. Ho frequentato dei corsi di danza, che mi hanno portato ad avere dimestichezza con il ballo latino americano, il valzer, il jive. È una cosa che ho coltivato con mia sorella per qualche anno, poi l’ho sostituito con lo sport. Ma se hai il ritmo e il piacere di ballare, quello te lo porterai sempre.
La recitazione che ruolo ha oggi nella tua vita?
Un ruolo ridotto, fa parte di me perché in un modo o nell’altro, trovi il tempo di realizzare il tuo talento recitativo, non per forza a livelli altissimi, quindi nazionali, come Rai1 o il cinema, ma in piccolo. Dove possibile, non disdegno il teatro, anzi. Poi qualche spot pubblicitario, uno dei quali è attualmente in onda.
Sorprende il fatto che tu stia alla larga dai social. Non sei su Instagram, né su Facebook. Come mai hai preso questa decisione?
La mia passione per il disegno, ha fatto sì che rimanessi ancorato a un aspetto manuale, concreto, pratico. I social mi appaiono come l'opposto: artificiali, poco reali, molto virtuali. Non vedo il senso di aspettare il momento giusto per scattare una foto, metterci un filtro, creare un aspetto finto di me e pubblicarla. Adoro Whatsapp, le telefonate e il viversi realmente. Il mio social rimane ancora il ristorante, il pub, la partita di padel e di calcetto.
A febbraio hai compiuto 39 anni, professionalmente parlando, se tornassi indietro faresti qualcosa in modo diverso?
Credo di no, il risultato del mio percorso fino a qui è una buona convivenza con me stesso, quindi non posso dire che le mie scelte del passato, andrebbero riviste. Adesso sono felice.