Enrico Vanzina: “Temptation Island divide come i nostri film. Un sogno? Lavorare con Carlo Verdone”
Il cinema dei Vanzina e Temptation Island, quali associazioni inaspettate possono nascere da un'intervista. Se si pensa alla commedia italiana, Enrico Vanzina è un nome ineludibile. Sceneggiatore, regista, intellettuale, scrittore, è difficile accostargli titoli e definizioni se non per abbondanza. La sua dinastia ha raccontato l'Italia in commedia sin dal dopoguerra, dal padre Steno ai figli, Enrico e Carlo, che hanno diviso l'Italia con film popolarissimi, amati e disprezzati, di certo non invisibili, che hanno fatto dell'osservazione degli italiani una ragion d'essere.
"È stata considerata sempre un genere minore", racconta della commedia Enrico Vanzina, in questa lunga intervista a Fanpage.it in cui ripercorre la sua carriera e traccia una linea che arriva sino ad oggi, trovando nella televisione il contenitore dei "nuovi mostri", che cita senza pregiudizio, ma con il suo proverbiale spirito di osservazione: "Se il mio amico Dino Risi fosse tra noi, farebbe un film molto simile a quello di un tempo". Lo raggiungiamo al telefono alla vigilia del Conero Film Festival, manifestazione di cui è direttore artistico, che per la prima edizione del 30 giugno e 1 luglio è stata incentrata tutta sul cinema degli anni Ottanta.
Vanzina, questo progetto sembra essere dedicato a lei, negli anni Ottanta ha scritto alcuni dei suoi film più iconici.
Non è una manifestazione dedicata a me, quest’anno è solo un’apertura tematica ma dall’anno prossimo sarà un festival vero e proprio. Ho accettato la direzione artistica per spirito di servizio, in un momento difficile per il cinema. Ricorderemo anche Francesco Nuti, che in quegli anni è stato fondamentale.
Non tutti concordano sulla magia degli anni Ottanta. Per lei cosa hanno aggiunto più di quelli che stiamo vivendo?
Sono stati un periodo fantastico per tanti motivi, dalle dinamiche politiche a quelle musicali, un epocale cambio di stili di vita, fino al cinema. Anche quello italiano vive un momento di grande salute con talenti che passano dall’essere attori a registi. Ne deriva un cinema nuovo, che racconta l’Italia in un modo diverso, tra i quali forse ci siamo io e mio fratello. Si possono criticare moltissimo, ma furono per molti una boccata di ossigeno.
La nostalgia è stata architrave del cinema che ha fatto con suo fratello Carlo.
Proprio così, certe volte ci è riuscito molto bene, altre no. In Sapore di Mare c’era uno specchio di anni Sessanta molto felici, quasi autobiografici, che finiscono con la maturazione della perdita dell’illusione degli anni Ottanta, il finale la dice lunga. Inoltre avevamo l'urgenza di ritrovare una commedia che negli anni aveva preso una strada diversa, col surrealismo dei film di Celentano, efficaci ma distanti dalla realtà. Ritornare ad inquadrare gli stili di vita, il modo di essere, quello che stava succedendo, era il nostro obiettivo.
Sapore di Mare si chiude con quel "sei sempre la più bella" che Luca (Jerry Calà) scrive su un foglietto a Marina (Marina Suma). Quella scena sembra essere un manifesto del cinema dei Vanzina.
È il rimpianto per quello che non è stato, riguarda qualsiasi generazione, chiunque la ascolta la capisce. C'è una bellissima poesia di Baudelaire che si chiama A une passante, in cui il poeta vede passare una donna e le dice "Ô toi que j'eusse aimée, ô toi qui le savais" ("Oh tu che avrei amato, oh tu che lo sapevi!"). Il senso di quella scena, di quel gioco di primi piani, di sguardi tristi, voleva far capire che in fondo tu da giovane sprechi e giochi con l'amore, con i sentimenti, con la tua vita e dopo, a distanza di addirittura vent'anni, puoi pensare che forse bisognava restare attaccati a quella cosa.
Oltre ai Sapore di Mare e i Vacanze di Natale, in quali film pensa che siate riusciti a mettere a fuoco la realtà?
Io e Carlo siamo stati molto precisi in alcuni dei film fatti in quegli anni. Penso anche a Via Montenapoleone, oppure a Yuppies, dove c’è una fotografia della ricerca del successo all’italiana, se vogliamo anche un po’ miserabile.
Quest’anno compie 40 anni anche Al Bar dello Sport con Lino Banfi e Jerry Calà. La schedina come speranza, l’emigrazione dal sud al nord.
Non è stata la sola volta in cui abbiamo parlato di emigrazione. L’abbiamo trattata, credo anche meglio, in altri film come Ecceziunale… veramente con Abatantuono, dove c’era la codificazione di un personaggio più giovane di quello interpretato da Banfi. Questi giovani pugliesi che nascono a Milano e si sentono milanesi "a cento pe’ cento”. Lì c’era un’osservazione, credo abbastanza acuta, di quello che era successo nel grande nord italiano con questa infusione benefica da parte del sud del Paese.
Resta che quando Banfi vince al Totocalcio, c’è l’impressione di vedere davvero qualcuno a cui cambia la vita in un istante.
Sono d'accordo. C’è quel momento in cui, dopo il Tredici, davanti allo specchio parla come l’avvocato Agnelli. La ritengo un'eccezionale prova di attore.
A proposito di nostalgia, ha toccato quella di tre generazioni. Nel ’95 arriva Selvaggi che oggi è un cult per i millennials.
Concordo, ma non è il solo. Ci sono film dalla vita inaspettata. Sognando la California, S.P.Q.R., A Spasso nel tempo, lo stesso Vacanze di Natale 2000 che per molti giovani è più famoso del primo.
Buona parte dei film realizzati con suo fratello Carlo si sono dimostrati perfetti per la frammentazione e l’effetto meme. Se lo aspettava?
È un risvolto interessante che ho scoperto di recente. Un film come Le Barzellette negli anni 2000 era inconsapevolmente concepito per questo scopo. Questo effetto riguarda anche i film precedenti, da Febbre da Cavallo a Un’Estate al mare. I social hanno ripensato in questo senso la vita dei miei film, non solo i nostri.
Ha capito perché ci fosse un pregiudizio nei confronti del suo cinema?
Diciamo che questa del pregiudizio nei miei confronti è una specie di favola, perché in fondo io in Italia ho vinto tutti i premi possibili, non è che l’establishment culturale non ci abbia riconosciuti. Esiste però un pregiudizio di fondo nei confronti del genere commedia. E io lo so, ho visto in scena mio padre con Totò. In Italia usciva "Guardie e ladri", scritto da Flaiano, Brancati e Monicelli, accolto qui come un film qualunque, per poi andare a Cannes e vincere per la miglior sceneggiatura.
A chi risultava indigesto il vostro cinema?
È stato un dibattito molto complesso all'interno della critica di sinistra, che semplificherò molto. Abbiamo sempre avuto una parte della critica di sinistra, militante, convinta che il cinema servisse a cambiare il mondo. Per come la vedo io, non ha capito che raccontarlo è forse meglio che cambiarlo. La commedia all'italiana è stato un genere molto sottovalutato, Pietro Germi non ha mai vinto niente ed era un democratico. Oggi la storia d'Italia attraverso la commedia andrebbe portata nelle scuole, perché ha raccontato meglio di romanzi e teatro chi siamo, come siamo fatti e da dove veniamo.
Perché oggi la commedia in Italia è in sofferenza?
Perché nelle scuole e nel mondo specializzato dell'insegnamento del cinema, è sempre stata trattata come un genere minore. Noi oggi abbiamo un neo-neorealismo che si dedica ai problemi dei giovani delle periferie e i disagi sociali, mentre manca qualcuno che inquadri i giovani in chiave di commedia.
Non trova nessun esempio?
Naturalmente Checco Zalone, che ormai è affermato e non può più essere considerato giovane. Si è ritagliato il ruolo del re degli ignoranti per cui dice la verità smontando l'ipocrisia del mondo intorno a sé.
Nel vostro cinema c'era questa capacità di immortalare stereotipi culturali e tic comportamentali. Chi sono "i mostri" di oggi che popolano la sua scrittura?
Io credo che l'Italia non sia cambiata così tanto, esiste ancora il paese di Totò, la mentalità è quella, c'è ancora un maschilismo dilagante e ridicolo, un campanilismo di base dialettale e regionale che non è cambiato. I mostri di oggi sono molto simili a quelli di una volta, tra scorciatoie e impicci, basta andare in ospedale per un posto letto per capire cosa succede. Se Dino Risi fosse tra noi credo girerebbe un I Nuovi Mostri molto somigliante a quello di un tempo.
Però oggi l'elemento dei social è dilagante, gli influencer sono una nuova figura sociale da fotografare raccontare.
Chiaro, i social hanno rivoluzionato tutto, c'è questa frenesia dell'apparire che ha sconvolto tutto, è un'amplificarsi di quanto era già iniziato con la cultura del reality. Io ieri sera guardavo Temptation Island e mi sembrava di vedere un film di Dino Risi, non ci potevo credere. Resta tuttavia una realtà parallela, virtuale, in cui si prova ad emergere con delle scorciatoie. In relazione al carattere degli italiani non mi sembra un cambio di paradigma netto.
Lo cita lei e mi fa pensare che Temptation Island è un fenomeno simile ai vostri film, per quella capacità di entrare in ogni discussione, dividere e spaccare il dibattito.
Sì, mi pare di vedere una similitudine, fatte le dovute differenze. Del programma mi è rimasta impressa un'immagine, c'era un ragazzo che, vedendo la fidanzata fare la stupida con uno dei tentatori, non si capacitava e diceva agli altri: "Ma come è possibile? ci siamo fatti anche un giuramento con un tatuaggio". Certamente molti dei mostri di oggi sono in televisione.
È anche "colpa" dell'equivoco sulla Tv, quella finzione che lo spettatore di cinema dà per scontata entrando in sala, per la televisione è inaccettabile.
Esatto, in Tv non si capisce il confine tra il vero e finto, forse è tutto scritto e già previsto, oppure no.
Qual è l'interprete dei suoi film che ricorda di più?
Come donna Virna Lisi, la bellezza del suo viso si univa a quella del cuore. Un talento straordinario, rimasta bella ad ogni età.
A Virna Lisi fa dire una delle sue battute più significative, quel "forse ci batteva il cuore" in Sapore di Mare che incarna la nostalgia di cui parlavamo.
Proprio così, quella frase è l'emblema di questo concetto. Tra gli attori uomini, invece, ce ne sono molti, anche se tenderei a dire Gigi Proietti. Mi è rimasto nel cuore perché è il volto del primo film fatto con mio padre, Febbre da cavallo.
Ha lavorato con alcuni dei più grandi attori comici, non solo romani.
Sì, parlando con te penso agli attori napoletani, perché sono cresciuto con mio padre che era pazzo di Peppino De Filippo. Quando ho lavorato per la prima volta con Carlo Buccirosso ho rivisto le stesse caratteristiche rare dell'attore comico che non ride mai. Sono stato contento anche di aver lavorato molto con Vincenzo Salemme, che è erede di una tradizione scarpettiana ed eduardiana. E ricordo anche il rapporto di amicizia che ho avuto con Luciano De Crescenzo. Chi fa il cinema popolare entra un po' nei dialetti e nel modo di essere degli altri.
E quanto alla romanità non c'è stato solo Proietti…
Beh certo, io ho conosciuto da ragazzino Alberto Sordi, sintesi di un umorismo romano che è a tratti inarrivabile. Secondo me molti degli ultimi grandi attori comici romani sono artisti forse un po' sottovalutati, penso a Maurizio Mattioli e Max Tortora. Poi io ho un debole personale per Ricky Memphis, un altro romano che non ride. Quella è la scuola di Buster Keaton, l'attore che è sempre serio ma che fa ridere più degli altri. Lo faceva anche Fabrizi, che era un genio. Inutile dire che anche in Christian De Sica, con cui ho lavorato spessissimo, ho trovato un grande attore.
La sua battuta che avrebbe potuto recitare solo un romano?
"Anche questo Natale se lo semo levati dalle palle", detta da Riccardo Garrone in Vacanze di Natale '83. Non l'avrebbe potuta dire nessun altro attore, se non un romano. Ricordo che ridevo da solo mentre scrivevo la battuta.
C'è qualcuno con cui avrebbe voluto lavorare e non ci è riuscito?
Un amico che sento spesso, non dico tutti i giorni ma quasi, che è Carlo Verdone. Anche lui ha questo gusto di riuscire a fulminare con battute secche la realtà e lavorare con lui è un mio sogno, spero anche il suo. Ci siamo ripromessi di farlo, d'altronde siamo cresciuti insieme.
È piuttosto anomalo che non vi siate mai incontrati.
Non così anomalo, perché Verdone fa i film con Verdone. È un regista che ha lavorato con l'attore Verdone, per cui è chiuso in quel mondo lì. Forse mettendoci insieme potremmo immaginare di fare qualcosa di molto carino, magari arrivati a un certa età anche di riflessione. Un film su come diventare veramente Benjamin Button, come rimanere giovani quando le cose non sono apparentemente tali. Chissà, magari vederlo in Un Sorpasso di oggi, con un attore più giovane.
Lei ha scritto tantissime sceneggiature. Continua a scrivere frequentemente?
Scrivo anche romanzi, faccio il giornalista a tempo pieno, scrivo tutti i giorni almeno 4-5 ore. È una questione di allenamento, è come suonare il pianoforte, se smetti le dita non si muovono più allo stesso modo.