Eduardo Scarpetta: “Ricordo mio padre dalle parole degli altri. Non ho perso occasioni, ho fatto delle scelte”

Eduardo Scarpetta interpreta Fausto nella serie Storia della mia famiglia, dal 19 febbraio su Netflix. L’attore napoletano si racconta, dicendosi soddisfatto delle scelte fatte finora, parlando di suo padre, scomparso vent’anni fa e dell’amore per il suo lavoro.
A cura di Ilaria Costabile
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Se si pensa ad Eduardo Scarpetta, non si può far a meno di collocarlo in quella cerchia di volti giovani, volitivi e talentuosi, che in questi anni sono riusciti a ritagliarsi uno spazio, importante, sulla scena italiana (e non solo). L'abbiamo visto di recente, in autunno, nella serie Netflix in costume, Lidia Poet, in cui interpretava un impavido giornalista; ora invece è protagonista di Storia della mia famiglia, serie in cui il tema della perdita si intreccia in maniera nient'affatto banale con l'idea di amore familiare. Un ruolo intenso, nel quale scopriamo anche un lato comico, un po' guascone, che raramente l'attore napoletano, finora, aveva mostrato. E che, a dire il vero, pare proprio calzargli a pennello.

Sul palcoscenico da quando aveva 9 anni, non ha mai avuto grandi dubbi su quella che sarebbe stata la sua strada. Circondato da teatranti, la recitazione è stata fin da subito pane quotidiano, che ha saputo assaporare senza fretta, con i giusti tempi e, soprattutto, senza quell'ingordigia che gli avrebbe fatto bruciare le tappe. "Siamo le scelte che facciamo" racconta, dicendosi soddisfatto di dove si trova ora: "E lo sarò anche di dove sarò domani".

Della sua di famiglia, piuttosto nota, Scarpetta parla ricordando il padre Mario, scomparso nel 2004, ribadendo il suo desiderio di rielaborare tutta la tradizione teatrale eduardiana e poi, parlando di Napoli, ci consegna un racconto franco della sua città, come sempre avvolta da luci e ombre.

La serie si chiama Storia della mia famiglia e racconta di una famiglia non convenzionale. Si parla spesso del voler ridefinire l'idea di nucleo familiare, pensi che una serie come questa possa aiutare nell'intento?

No, non credo che un prodotto possa cambiare le cose, ci vuole tempo. Durante la conferenza stampa venivano usati tanti aggettivi, una famiglia diversa, una famiglia perfetta, credo sia un po' pericoloso parlare in questi termini. La famiglia perfetta cos'è? La serie ti insegna che ogni personaggio, quindi ogni persona, è fallibile, l'unione di due persone non può portare ad una perfezione. Si chiama Storia della mia famiglia, che poi qualcuno possa rivedersi è un conto, quella è la storia della famiglia di Fausto. Non una famiglia tradizionale, secondo quella che è la tradizione, madre, padre, figli, ma non significa che sia una famiglia diversa, non perfetta.

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Nella serie il tuo personaggio prova a costruire dei ricordi in vista della sua assenza, tu che rapporto hai con i ricordi?

È un rapporto strano, perché io dimentico le cose. Alcuni ricordi ci sono, altri no. Mi capita che persone, amici, mi dicano "Ti ricordi quando siamo andati lì?", ma io no. Quindi, quando succede è una vittoria per me.

In questa storia c'è una parallelismo con la tua storia personale, avendo perso tuo padre quando eri un bambino. Fausto nella serie prova ad essere una guida per le persone che ama. Ci sono delle cose in cui tuo padre è ancora una guida per te?

Ho perso papà a 11 anni e mezzo, ho dei ricordi che sono le figurine Panini, io dietro le quinte che vedevo gli spettacoli con mamma, o quando c'era anche lei in scena, visto che era in compagnia con lui. Quello che so dagli altri di mio padre, su mio padre, che rivedo nel mio atteggiamento, nella mia attitudine sul lavoro è che non c'è persona che non mi dica "Tuo padre, che risate che ci siamo fatti". Tutti mi parlano di una persona divertentissima, piacevolissima. Mi dicono anche, soprattutto mia madre, che sul posto di lavoro lui era rigido, c'era, aveva le idee chiare, sapeva tutto e sapeva come chiedertelo. Era molto sensibile.

Hai detto di aver lavorato molto sul corpo e sulla resa della malattia, credi che questa attenzione derivi dal tuo retaggio teatrale dove il corpo ha una sua centralità?

No, nella misura in cui è una malattia, mi preoccupavo di fare questo respiro pesante solo dei campi su di me, parlavo con i fonici, ci sono dei problemi diversi al cinema. C'era un esperto il giorno delle riprese in ospedale, a cui io chiedevo dove fosse il respiro, se fosse basso, alto, il suono, immaginando che sul letto di morte, tu hai un groviera al posto dei polmoni. Avevo chiesto del sangue, nella scena della tosse, poco prima, perché mia madre mi diceva al tempo che papà aveva il sangue nei muchi, pur avendo un tumore alla gola. Mi è stato detto di no, però, forse era troppo forte.

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Ed è stato in qualche modo catartico, per te?

Riesco a ragionare molto a compartimenti stagni, una cosa è la vita, un'altra è il lavoro. Come quando si girano le scene di sesso, stai lavorando, non puoi distrarti e pensare che si sta girando una scena di sesso. Riesco sempre a definire realtà e finzione, non si mischiano mai.

Hai portato sullo schermo diverse sfaccettature del dolore: penso alla sofferenza amorosa di Jacopo in Lidia Poet, la frustrazione della lotta di classe in Pasquale dell'Amica Geniale, il dolore dell'assenza in Michele delle Fate Ignoranti, Vas in cui racconti l'ansia sociale. Come si può lenire il dolore?

Non saprei, ognuno lo fa in modo diverso. Ci si può svagare, pensare ad altro, vedere gli amici, ascoltare musica, appassionarsi ad uno sport, un'attività totalizzante, come può essere l'arrampicata, giocare a calcio, ai giochi da tavolo. Tante cose.

Eduardo Scarpetta ne Le Fate Ignoranti su Disney Plus
Eduardo Scarpetta ne Le Fate Ignoranti su Disney Plus

Sei severo con te stesso, lavorativamente parlando?

Sì, anche in maniera frustrante. Quando mi dico di fare una cosa in una scena e non la faccio abbastanza, mi incazzo. Quando stiamo facendo memoria e non mi ricordo una battuta mi incazzo. Credo molto nella memoria, anche a teatro, in cui ci sono varie storie di pensiero. Io lavoro in modo da arrivare con la base e poi posso decidere che colori mettere a questo palazzo, però devo avere le fondamenta.

Da napoletano e con ruoli da napoletano alle spalle, cosa ti attrae e cosa ti respinge della tua città?

Partendo dal presupposto che io vivo a Napoli e vivrò per sempre a Napoli, la amo, è fantastica, la lontananza dal mare la soffro, vivo sulla Riviera di Chiaia col mare di fronte, ma resta una città invivibile. Sono scappato da Roma, caotica, per ritrovare il caos di casa mia, ma sono simili. I parcheggi in sesta fila, il comportamento alla guida, l'incomunicabilità della città. Ma ci sto poco, la vivo un po' come una vacanza, giro con la bicicletta elettrica, perché in macchina non puoi girare a Napoli, alle volte è pericolosa, in alcuni punti ci sono delle riunioni, fuori ai locali del centro, questo chiaramente è triste. Ricordo una frase che mi disse mia sorella, "vogliamo tutti vivere in questi grandi centri, ma poi siamo inabili a vivere con gli altri". Se a te non frega niente di mettere la macchina in terza fila, vai a vivere nella giungla, dove non ci sono regole. Quando ho provato a dire qualcosa mi rispondono dicendo "Non rompermi le scatole", in maniera molto più colorita. Che, poi, significa: "Se nessuno mi rompe le scatole, ma perché devi rompermele tu"?

La narrazione cinematografica, televisiva, di Napoli che è stata fatta in questi anni credi sia ancora stigmatizzata o ci stiamo liberando da certi paletti?

Napoli quando viene riportata è sempre bellissima, colorita, il mare, i paesaggi, i colori, i napoletani che sono queste persone colorite e colorate. Ma nessuno ti riporta il fatto che si ha paura, io ho paura nella mia città che è una cosa imbarazzante alle volte. I napoletani non cambieranno mai, Napoli non cambierà mai, non vuole cambiare. Questa leggerezza nella legalità a Napoli va benissimo, perché permette tante cose. A Napoli c'è l'anarchia totale.

Eduardo Scarpetta ne L'Amica Geniale nel ruolo di Pasquale Peluso
Eduardo Scarpetta ne L'Amica Geniale nel ruolo di Pasquale Peluso

Cosa pensi di aver imparato di te stesso, che ancora non sapevi, facendo l'attore?

Forse una buona capacità di adattamento, non ai personaggi, al fatto che sto due mesi qua, poi si parte, pausa due settimane, poi si parte. Altre persone, altro lavoro, altri problemi, perché magari qua faceva caldissimo e là freddissimo.

C'è qualche occasione che senti di aver perso?

No.

Hai sempre colto tutto al volo? 

Ho fatto le mie scelte nella vita, sono soddisfatto di quelle che ho fatto, considerato che noi siamo le scelte che facciamo. C'è una frase di Robert De Niro, che è "il talento forse è nelle scelte". Mi sento bene dove sono oggi e sicuramente anche dove sarò domani.

Sei appagato, quindi. 

Mi sento bene.

C'è qualcosa che ad oggi vorresti fare e non hai ancora fatto?

Io voglio fare tutto quello che accetto di fare, perché significa che è il mio prossimo obiettivo, significa che lo voglio fare. Per essere a teatro a Milano ho rifiutato delle altre proposte, perché volevo tornare a buttarmi a terra, a fare riscaldamento, a portarmi l'acqua da casa, le schiscette a pranzo, stare otto ore a fare le prove. Quindi l'ho scelto, ed era il mio obiettivo.

C'è qualcosa della tradizione Eduardiana (De Filippo ndr.) che vorresti rifare a modo tuo?

Sì, però ci vuole tempo, perché per essere Domenico Soriano di Filomena Marturano, per essere Michele Murri di Ditegli sempre di sì, Antonio Barracano nel Sindaco del Rione Sanità devo avere quarantacinque, cinquant'anni, devo avere l'età per farlo. È tutto un lavoro per quello, la mia luna è lì.

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