Davide Calgaro da Cisco nella serie sugli 883 alla stand up: “La mia generazione dipende dai social, ormai è un problema”
Davide Calgaro ha appena 24 anni, ma può vantare già una bella gavetta, fatta di spettacoli, cabaret, set cinematografici e anche televisivi, che lo hanno portato ad essere uno di quei giovani talenti che è bene tenere d'occhio. Da ottobre in tour con il suo spettacolo teatrale Millenium Bug, ha prestato il suo volto al personaggio di Cisco, uno dei migliori amici di Max Pezzali, nella serie Hanno ucciso l'Uomo Ragno, grande successo di Sky. La stand up è diventata il suo regno, da quando aveva 15 anni, attraverso la risata è riuscito a raccontare qualcosa di sé, del suo privato, parlando anche di temi che toccano tutti e non solo la Gen Z di cui fa parte, dimostrando che ridere, spesso, è il miglior modo per farci riflettere.
Partiamo dal tuo spettacolo teatrale, Millenium Bug, ci stai implicitamente dicendo che abbiamo un problema in questa generazione?
In un certo senso sì, poi mi ricollego a quello che sarebbe dovuto succedere nel 2000, il famoso bug digitale che doveva far impazzire i server. Nello spettacolo, tra le tante cose, parlo di iperconnessione, dipendenza dai social e mi piaceva suggerire il fatto che la mia generazione, quella del 2000, abbia in sé un po' di quel bug di cui si è tanto parlo e che racconto anche io.
Com'è cambiata la tua percezione dei social da quando sei diventato un personaggio piuttosto conosciuto?
Già prima di iniziare a fare stand up e ad avere persone che mi conoscessero e mi seguissero, avevo un rapporto un po' conflittuale con i social. Essere costantemente connesso, l'ansia di dover pubblicare per essere considerato l'ho sempre avuta, però è aumentata quando sono diventato un po' più conosciuto. Però il continuo pensare all'immagine che do e a come viene percepita, mi ha creato non poca ansia, oltre ad una grande perdita di tempo.
In che termini "perdita di tempo?"
Ho scoperto di aver perso tantissimo tempo al cellulare. Sono arrivato ad impiegare sette pre e mezza di utilizzo al giorno, quindi ho scaricato un'app che mi blocca Whatsapp, YouTube e Instagram ogni 15 minuti. Pago 99 euro per farmi bloccare delle App gratuite e non riesco a spiegare quanto mi senta un cogl**one per questa cosa.
Quindi quest'app non è stata poi così utile.
Adesso il mio utilizzo è di 7 ore e 45 minuti perché ci vuole almeno un quarto d'ora per andare sull'app a sbloccare le app. (ride ndr)
L'iperconnessione, la mancanza di contatto con la realtà credi sia davvero un problema per la tua generazione?
Nello spettacolo parlo di varie dipendenze, anche quella dal porno, parlo della musica trap e del gran parlare che si è fatto attorno ai trapper visti come sessisti e misogini. La dipendenza dai social, però, è davvero un tema ed è un malessere generale così diffuso che penso non si possa più ignorare.
Sembra quasi come se ci fosse un paradosso: o si è ossessionati da una cosa oppure non se ne fa parte. Non trovi?
Parto sempre da una percezione che è prima di tutto personale, sono temi che sento possano riguardare anche i miei coetanei. Per quanto riguarda il porno credo sia sbagliato dipingerlo come il male assoluto, ma è certamente qualcosa che può creare dipendenza. Come tutte le cose ha bisogno di un'educazione, di una consapevolezza, penso che la mia generazione forse anche più di quelle precedenti, non abbia ricevuto queste indicazioni. Nello spettacolo parlo dell'utilizzo dell'immaginazione nell'autoerotismo per poi passare alla scoperta di internet che rende impossibile il ritorno alla sola immaginazione.
I tuoi sketch solo frutto di una ispirazione momentanea o di un lavoro più lungo, ragionato?
Non c'è una vera e propria regola, magari anche da un discorso che faccio con un amico può venir fuori qualche spunto che mi appunto, poi vado a riprenderlo. A volte è ancora efficace, altre volte perde la comicità. Spesso vado a scavare nel privato o tocco temi dolorosi che mi facciano riflettere seriamente e cerco di trovarne la chiave comica.
È un falso mito quello secondo cui si può scherzare su tutto?
Penso che il limite oltre al quale non si possa andare sia strettamente personale, però ovviamente laddove si trattino temi più delicati sta al comico prendersi la responsabilità di quanto ha detto. Più il tema è scottante più magari è un argomento doloroso per qualcuno, o per te in prima persona, e più sarà difficile renderlo comico. Diventa una sfida.
L'ironia è sempre stata la tua cifra?
Mi è sempre piaciuta molto la comicità da spettatore. Fin da bambino guardavo programmi comici, con i miei genitori vedevo Zelig, mi piaceva moltissimo, adoravo vedere gli altri ridere, ma anche i comici. Poi ho iniziato a farlo, anche perché non sono mai stato quello particolarmente simpatico del gruppo, nella vita sono parecchio serio, ma salire sul palco con dei brevi testi, in cui raccontavo le mie esperienze scolastiche o familiari, mi serviva per raccontare alcuni aspetti della mia vita.
Hai iniziato giovanissimo, chi è stata la prima persona che ha riconosciuto in te la scintilla del talento?
Direi uno degli autori storici di Zelig, Teo Guadalupi, che ha visto la mia esibizione in 5 minuti netti, in un ristorante, quando avevo 15 anni. Pensai che fosse andata malissimo, perché lì per lì non mi disse nulla. Il giorno dopo mi scrisse e mi disse che gli ero piaciuto e avremmo potuto iniziare a scrivere delle cose. È stato il primo a darmi fiducia.
Qual è la sensazione che ti porti dietro ogni volta che sali sul palco?
L'ansia e la tensione prima di esibirmi ci sono sempre, non credo passeranno mai, ma non saprei a cosa è legato. Forse al pensiero che qualcosa che a te diverte molto e stai portando sul palco, potrebbe non funzionare, da un lato è spaventoso dall'altro fantastico. È eccitante quando succede, quando realizzi che una cosa pensata nella tua cameretta funziona anche per chi ti guarda.
Comico sì, ma anche attore. Ti abbiamo visto in vari film, fiction, ma ti piacerebbe provare anche un registro più drammatico del solito?
Quando me lo proporranno, è una cosa che mi piacerebbe molto fare, mi è capitato di farlo in un paio di fiction Rai in cui avevo ruolo dove il registro non era comico. Mi piacerebbe cimentarmi, anche solo per capire se ne sarei effettivamente in grado.
Parlando di personaggi e serie tv, sei stato Cisco in Hanno ucciso l'uomo ragno. L'emblema del migliore amico, una persona schietta, sincera, c'è qualcosa che condividi con lui?
Alcune caratteristiche sicuramente le condivido con Cisco. È un tipo abbastanza ironico e molto sincero, cose che rivedo abbastanza anche in me stesso. Non ho quella componente, ecco quel suo essere monotematico in fatto di argomenti e consigli non richiesti nei confronti di Max, per riuscire a conquistare Silvia. Ecco quella cosa lì, proprio non ce l'ho, però mi ha divertito molto interpretarlo. Anche se uno così, per quello che dice, oggi potrebbe essere arrestato (ride ndr.)
Un aneddoto dal set che ricordi.
C'è stata una giornata di riprese in cui eravamo io e Max (Elia Nuzzolo) sul ponte di Pavia, appoggiati, seduti sul bordo del ponte e io soffro tantissimo di vertigini. Non c'era nessun rischio perché era tutto messo in sicurezza, ma le vertigini mi impedivano di concentrarmi, ero agitato, quindi sono stato legato dai ragazzi della troupe ad un carrello che era montato per terra. Ci sono delle foto di me legato con la corda, tipo quella del bungee jumping, e la cosa mi metteva ancora più ansia perché ero tutto bardato.
Hai 24 anni e sei stato uno dei conduttori più giovani a cui è stato affidato un programma. Che esperienza è stata?
Per me è stata assolutamente una sfida perché non avevo mai condotto un programma ed è un lavoro diverso, insieme a quello di fare le interviste. Ho imparato moltissimo in cui in quei tre mesi di ripresa. Adesso sono passati due, tre anni e so che se lo facessi ora lo farai completamente diverso.
Quindi torneresti a fare il presentatore e, nel caso, ci sarebbe un format che ti piacerebbe condurre?
L'ho fatto, quindi lo rifarei, ma ho capito che il contesto, il format è tutto. Mi piacerebbe, magari, scriverlo da zero. Una cosa a cui penso spesso ultimamente, è unire la stand up con il mondo hip hop il mondo rap, trovo che siano campi che hanno moltissime somiglianze, analogie. Vedrei volentieri un programma in cui i comici si sfidano in battle di freestyle.
La stand up comedy può essere considerata ancora un genere di nicchia o si sta finalmente affermando?
Sta esplodendo come genere, ma non è ancora del tutto mainstream, forse perché siamo abituati ad immaginarci il mainstream come qualcosa che passa per la tv e la stand up comedy non ha ancora dei programmi veri e propri in prima serata. Ma la strada è spianata perché possa diventare il principale genere comico in Italia, anche se allo stesso tempo, potrebbe essere un'opinione impopolare, però mi dispiacerebbe se si perdesse un po' la nostra tradizione comica, anche con il ritorno ai personaggi che hanno fatto la comicità. Sono cresciuto con Bisio, Albanese, che portavano personaggi stupendi.
C'è stato qualche comico italiano che magari ti ha ispirato, che seguivi in maniera compulsiva?
Ho avuto una fase compulsiva con quasi tutti i comici italiani. Quando andavo alle medie guardavo ore e ore di video, qualsiasi cosa, ero ossessionato da Aldo, Giovanni e Giacomo, ma anche Bisio, poi ho scoperto Gaber.
Hai anche girato un film con i tuoi idoli Aldo, Giovanni e Giacomo. Bella soddisfazione, no?
Non mi sono mai e poi mai abituato all'idea che lo stessi facendo, mentre giravamo arrivare sul set e trovarli era pazzesco. Per me erano delle divinità, non li ho mai umanizzati e ancora adesso restano dei grandissimi della mia infanzia.