Danilo Bertazzi, Tonio Cartonio della Melevisione: “Ho conosciuto mio marito sui social. Dopo due interventi al cuore avevo paura”
Quando si nomina Danilo Bertazzi, l'associazione più immediata è quella con il personaggio di Tonio Cartonio, volto della Melevisione, storico programma per bambini di Rai3, indimenticabile per la generazione dei Millennials. Un addio, quello alla trasmissione, di cui l'attore ha voluto parlare in un video, pubblicato sui social, in cui ha spiegato che, come sempre, dietro ogni decisione ci sono fattori che spesso non sono visibili. E sono quelli più importanti. Facendo un viaggio a ritroso nel tempo, partendo dall'oggi, dall'unione civile con il compagno Roberto, passando per i nuovi progetti in cantiere: "Oltre al programma su Rai Yoyo, arriverà un podcast per bambini, dedicato alle favole della buona notte", Bertazzi ci apre le porte del suo mondo, svelandoci dettagli che, dietro lo schermo di una tv, non sempre è dato vedere.
Partiamo dall'oggi. Poche settimane fa, il matrimonio col tuo compagno Roberto Nozza. Dodici anni insieme, perché proprio ora?
Perché poi tra un po' le avremmo celebrate in una RSA, soprattutto io eh (ride ndr.) Ci siamo detti o ci sbrighiamo, o non se ne fa niente. Non c'è nulla di romantico, semplicemente la consapevolezza che vogliamo stare per il resto della nostra vita insieme, che potrà essere molto lunga, o almeno lo spero per noi. Non possiamo saperlo. Questo progetto di vivere insieme ci è piaciuto, però, specifichiamo ci siamo uniti civilmente. Già hanno scritto che non siamo sposati.
Una puntualizzazione superflua, per quanto è vero che ci sia una differenza tra le due cose. A questo proposito, pensi che in Italia possano esserci dei passi avanti significativi in tema di diritti?
Facendo parte della Comunità Lgbtq+ di passi avanti ne vedo pochi, anzi, vedo la volontà di non farne. Penso alla discriminazione per i bambini delle famiglie Arcobaleno, penso a una legge contro l'omotransfobia che non è passata, a episodi di violenza omofobica che sentiamo tutti i giorni, anzi, sembra ci sia stato un incremento di violenza, come se nessuno si ponesse il problema. Spero non si torni troppo indietro, perché il rischio c'è, si avverte questo vento contro la comunità. Ho una certa età (64 ndr.) e mi sarei aspettato molto di più, rispetto a quando avevo 18 anni e ho iniziato a prendere coscienza del fatto che ci fosse bisogno di avere dei diritti, delle tutele.
Hai mai temuto potesse succederti qualcosa e non avessi a chi rivolgerti?
Quando sono andato a vivere a Torino, da solo, nella sede del Partito Radicale che era lì, c'era anche la sede del Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, il primo movimento gay italiano ndr.), che è stato il primo e più importante riferimento per la comunità gay, all'epoca non si usavano gli approcci di oggi, quindi era una definizione più generica. Per un ragazzo, entrare e sentirsi accolto, protetto, in uno spazio piccolo, dove si parlava di politica, di diritti, è stata una cosa che mi ha aiutato, devo essere sincero. Però non mi è mai capitato di essere vittima di bullismo o violenza, anche verbale, forse sono stato fortunato. Come sono stato fortunato a superare un periodo terribile come quello dell'Aids, tra gli Anni 80-90.
Sono stati anni di paura, ma anche di disinformazione.
Decisamente. Ho perso molti dei miei amici. In quel periodo è iniziata una discriminazione nei confronti della comunità gay, dicevano "i portatori di morte". Nonostante tutto, non ho mai vissuto sulla mia pelle episodi gravi, come ne accadono adesso. Il punto è che si verificano da parte di una generazione giovanissima, perché sono loro ad essere i più violenti, e questo mi fa pensare che l'astio possa essergli arrivato dalle loro famiglie, che fanno parte però della mia generazione.
Ritornando al punto di partenza: tu e Roberto come vi siete conosciuti?
Non l'avevo mai raccontato prima. Ci siamo conosciuti sui social, c'è stata prima una conoscenza virtuale, poi a gennaio 2012, ci siamo incontrati a Milano. Da lì abbiamo capito che il tempo passato virtualmente a conoscerci, le impressioni che avevamo avuto nel chiacchierare, erano poi state confermate. Non è sempre facile, dietro una tastiera magari puoi inventarti una personalità diversa, qualcuno che ti piacerebbe essere nella vita ma non sei, spesso è una delusione.
Nonostante siano passati 12 anni è una storia molto attuale, le app di incontri proliferano e l'amore oggi nasce così.
Chiaramente la possibilità di connetterti con tantissime persone, fa sì che non si abbia più la pazienza di voler approfondire una conoscenza. Allora capita che tu possa dire "vediamo se mi scrive qualcuno che magari è alto 10 cm in più", c'è sempre una ricerca spasmodica di qualcosa di meglio, di più, e così facendo si perde l'opportunità di dare e di darsi. Anche nei rapporti, si tende a costruire poco e si finisce per essere delle anime in pena, dicendo che l'amore non arriva. Ma all'amore bisogna anche dargli l'opportunità di farsi riconoscere.
Allora rettifico, possiamo dire che tu e Roberto, vi siete ri-conosciuti.
Direi proprio di sì.
Qualche settimana fa hai pubblicato un video su TikTok, nel quale volevi chiarire i motivi per cui avevi deciso di lasciare la Melevisione, abbandonando il personaggio di Tonio Cartonio. Davvero avevi ancora il senso di colpa?
Un po' sì, ma sai perché? Ho avuto modo di conoscerli, negli anni, quei bambini che quando ho lasciato la Melevisione erano un'entità dietro la telecamera. Li ho incontrati per strada, agli eventi, sul mio canale, sui social tramite messaggi e sono persone reali. Ho capito di essere stato la loro prima grande delusione, molti me l'hanno detto. Mi dicevano "quando sei andato via, non ho più guardato la Melevisione". Quando sei un bambino le tue emozioni sono maggiorate, anche le tue reazioni, ma sono sincere e quindi ho percepito che davvero, quei bambini a cui mi rivolgevo, avevano subito una ferita, seppur piccola.
Da qui, la necessità di chiarire.
Volevo rassicurarli, far capire che non era stato un colpo di testa, un disinteresse nei confronti del programma. Anzi, per me è stato molto difficile. È stato un po' come quando finisce una storia d'amore, non c'è mai un unico motivo, ma un insieme di fattori che fanno chiudere una storia, poi, magari provi ad analizzarli uno per uno. Prima di arrivare ad una lacerazione, però, è sempre giusto capire cosa sia meglio fare.
La Melevisione, un mondo fatato, ma immagino che i ritmi fossero serratissimi.
Con la Melevisione altro che storia d'amore, era proprio un matrimonio. Stavo più tempo in studio con la Strega, il Lupo, l'Orco che non a casa. Per registrare tornavo la sera alle 8, sempre così dal lunedì al venerdì, mentre sabato e domenica ero in giro per l'Italia con la tournée.
Ma secondo te, come è possibile che Tonio Cartonio sia stato così amato dal pubblico?
Intanto ero l'unico che si rivolgeva ai bambini, gli parlava, creava una sorta di confidenza, raccontava cosa stesse accadendo. Il bambino non era solo spettatore di quello che succedeva in puntata, ma partecipava e questo era un meccanismo che creava un rapporto. Ero l'unico, poi, a far comprendere gli accadimenti, perché magari c'era qualcosa di poco chiaro. Forse sono riuscito a trovare un modo convincente di comunicare con i piccoli e loro mi hanno dato fiducia.
Dopo la Melevisione hai fatto altri programmi per bambini, sia davanti la telecamera, che come autore. La tv per i più piccoli, quindi, è quella in cui ti senti a casa, ti è più congeniale o stata una scelta un po' obbligata?
È un tipo di comunicazione che mi viene naturale, sono così anche con i figli degli amici. Se mi dicono che c'è da fare un programma per bambini, sicuramente mi viene più facile che fare Sanremo. Ma non per la difficoltà di Sanremo in sé, ma perché non sarebbe nelle mie corde, come d'altra parte un conduttore di Sanremo potrebbe avere più difficoltà nel comunicare con un bambino. Anche perché il pubblico dei piccoli è difficile, puoi fare i salti mortali, il giocoliere, ma non è detto che ti seguano. Ora, poi, hanno una scelta vastissima, passano da un'app all'altra, devi essere bravo a tenerli per almeno cinque minuti. Dopodiché la soglia dell'attenzione se ne va.
Poi ora è cambiata anche la fruizione. Gli idoli dei bambini sono i Me Contro Te, nati su Youtube, dove i contenuti escono con velocità ed è possibile guardarli in qualsiasi momento, quasi come se non ci fosse più il tempo da dedicare a quell'unica cosa.
Questo succede anche a noi, magari di una serie decidiamo di guardare quattro episodi piuttosto che uno, ma abbiamo il telefono vicino e se arriva un messaggio lo leggiamo. Non c'è grande attenzione nemmeno da parte nostra, perché sappiamo che, male che vada, si può tornare indietro. I bambini di oggi hanno perso un po' quello che era un rito (di chi guardava Melevisione ndr.), c'era il senso dell'attesa. Si doveva aspettare il giorno dopo per vedere una nuova puntata e fino al giorno successivo non ce n'era un'altra. Vero che, all'epoca, non c'era chissà quale scelta, ma era un momento in cui la televisione si dedicava ai bambini. Posso farti un esempio?
Certo, dimmi pure.
Se fosse accaduta oggi, la tragedia delle Torri Gemelle che ha sconvolto il mondo, i bambini di oggi da adulti avrebbero ognuno un suo ricordo. Quelli che allora erano bambini, invece, hanno un ricordo comune. Chi stava guardando la Melevisione, ricorda che è stata interrotta.
Prima hai citato velocemente il tuo canale YouTube, in cui hai parlato spesso di ansia, stress. Come mai hai deciso di affrontare queste tematiche di cui ora si parla abbastanza, ma fino a qualche anno fa, quando ne hai parlato nei tuoi video, c'era ancora una certa reticenza?
Ho sempre pensato che non bisogna mai vergognarsi di chiedere aiuto e poi le cose vanno chiamate con il loro nome. Quindi, anche depressione, attacchi di panico, sono un qualcosa di cui bisogna parlare, ma senza vergogna. Anzi, una delle cose più immediate che si possa fare quando si ha un attacco è chiamare un amico, qualcuno che in quel momento ti può distrarre parlando, ti riporta alla realtà. Lo dico per esperienza personale.
Ne hai sofferto?
Ho iniziato a soffrire di attacchi di panico quando avevo 16 anni, facevo il liceo. È successo di colpo, ero in classe e ho scoperto l'esistenza di una cosa che non era mai successa prima, poi all'epoca non c'era nemmeno tutta questa attenzione, magari ti davano dei farmaci. A 30 anni ho sentito il bisogno di andare in analisi, quella profonda, partendo dalla mia infanzia. L'ho fatta per nove anni, mi ha aiutato a comprendere perché tendevo a reiterare gli stessi dolori, le stesse modalità di comportamento. Recentemente, poi, ho ripreso un percorso di psicoterapia.
Come mai?
Dopo il mio ultimo intervento al cuore nel 2021. È stato molto pesante rispetto al primo, si trattava di due valvole e un bypass mi hanno di nuovo aperto come un pollo, ha avuto qualche complicazione, sono stato un mese in ospedale. Ero spaventato, non volevo più tornare a casa. Mi hanno affidato un appoggio di terapia psicologica, forse perché avranno avuto bisogno del letto per qualche altro paziente. Arrivavamo anche dal lockdown, quindi ho sentito questo bisogno. Chi dice, parlane con un amico, non capisce che non è la stesso approccio. Alcune cose hai bisogno di analizzarle con una persona che è estranea alla tua vita.
Restando in tema di emozioni, qual è la cosa di cui ad oggi pensi di avere più paura?
Mi fa paura la vecchiaia in termini di mancanza di forze, la demenza senile mi fa paura. Mi sono occupato di una zia malata di Alzheimer ed è una cosa terribile, non solo per chi ha questa malattia, ma anche per chi gli sta accanto. Mia nonna, con la quale ho vissuto, non è stata più autosufficiente. È qualcosa che davvero temo senza riserve, cerco di combatterla facendo tremila cose.
E c'è qualcosa di cui invece, ad oggi, vai davvero fiero?
Forse l'essere sempre stato coerente con me stesso. Poi, ritengo di essere una persona buona, ed è un aspetto che mi è sempre piaciuto, non riesco ad essere cattivo, non ho mai fatto del male e se è successo, non è mai stato fatto intenzionalmente, mi sono sempre preoccupato dell'altro. In un mondo violento come quello in cui viviamo, credo sia una cosa di cui essere fieri.