Claudia Ruffo: “Non mi sono mai sentita intrappolata dal ruolo di Angela, con lei ho raccontato storie vere”
Raggiungo Claudia Ruffo a telefono in una mattinata iniziata come tante che, in due battute, diventa una full immersion nella soap italiana più amata di sempre. Si parla, ovviamente, di Un Posto al Sole. L'attrice napoletana, classe 1980, era presente sin dal primo ciak, nell'ormai lontano 21 ottobre 1996, interpretando il ruolo di Angela Poggi, uno dei personaggi più amati e anche sfaccettati della fiction. Tante le storie raccontate, le emozioni e i messaggi che ha provato a veicolare vestendo i panni di una donna che non ha mai rinunciato alla sua indipendenza, anche a costo di vivere situazioni paradossali. In più di vent'anni di carriera è stata sia davanti che dietro la macchina da presa: "Sono Gemelli ascendente gemelli, la creatività fa parte di me" racconta ridendo e, in effetti, è un aspetto che emerge chiaramente in questa chiacchierata in cui si scoprono anche le vulnerabilità di Claudia, prima ancora che dell'attrice, nota al pubblico.
Partiamo dal presente. Ho letto che stai lavorando a una sceneggiatura per una storia che avevi in mente già da un po', a che punto sei?
Sono ancora agli inizi, sto gettando le basi dei personaggi, degli argomenti di cui vorrei parlare. Man mano che mi vengono le idee inizio a buttarle giù, avendo già scritto un libro in passato sono abituata a lavorare in questo modo, anche se scrivere una sceneggiatura ha una sua complessità, bisogna seguire una struttura precisa. Ho tutto ben chiaro, so perfettamente che storia voglio raccontare.
Anche se hai già lavorato dietro la macchina da presa, nella produzione, che è effetto fa stavolta stare dalla parte di chi la storia la scrive?
Ho iniziato molto giovane e posso dire di aver toccato tutti i settori del mio lavoro. Conosco la struttura del reparto trucco, del reparto costumi, scrittura, produzione. Lavorare in un progetto come Un posto al sole consente di avere una conoscenza del back molto più approfondita di chi, invece, ha un tempo di riprese più concentrato. Ho acquisito anche delle conoscenze di fotografia, qualche piccola nozione di regia. Quindi per me non è stato così strano, è stato il mio quotidiano in questi lunghissimi anni.
Uno dei tuoi colleghi, Francesco Vitiello (Diego in Upas ndr.) ha anche diretto alcune puntate della soap, ti piacerebbe o pensi di poterne essere in grado?
Non vorrei fare la spavalda, però volendo potrei provarci. Rispetto a qualcuno che arriva senza conoscere il prodotto, ad esempio, saprei come mettere le camere, come valorizzare certi aspetti del girato. Poi, tecnicamente parlando, non sono così preparata, infatti non mi azzarderei senza avere una conoscenza più completa della materia regia. Sono attratta da tutto ciò che ha a che fare con l'arte, il processo creativo è un qualcosa che mi appartiene da sempre.
Ci sarà qualcosa nel mare magnum dell'arte a cui ti senti particolarmente affine.
Pittura, canto, recitazione, non c'è nulla che non mi piaccia. Anche se, forse, il mio sogno era diventare stilista, tanto è vero che continuo a creare abiti per me. Spesso mi è capitato di declinare proposte di stilisti, perché preferisco farmi realizzare l'abito che mi sono figurata nella mia mente, consegnando il disegno alla mia sarta. Per un momento ho anche pensato di far combaciare questa passione con il lavoro di attrice, però sarebbe stato troppo difficile. Al momento, quindi, è una cosa che faccio solo per me.
Hai detto tu stessa di aver iniziato giovanissima, per cui: come è arrivato Un Posto al Sole?
Un posto al sole nella mia vita non è arrivato subito. Prima del 1996 un'amica di famiglia propose a mia madre di iscrivermi in un'agenzia, piuttosto forte ai tempi, quella di Rosaria Caracciolo, e ricordo che c'era tutta la generazione ottantina, Scamarcio, Capotondi, Laura Chiatti. Eravamo un po' tutti iscritti lì. All'epoca, però, non è che avessi chissà quale desiderio, inoltre i miei genitori volevano accompagnarmi ai provini, quando non potevano essere presenti non li facevo. Prima era tutto Roma centrico.
Quindi al provino per Un posto al sole, il problema della lontananza non si poneva.
Quando mi hanno proposto di fare film o altre cose, prima di Un posto al sole, mio padre me l'ha sempre negato, proprio perché la nostra era una famiglia molto unita, io ero minorenne e l'idea di dividerci non gli è mai andata troppo a genio. In più, c'è da dire, che i tempi delle riprese erano molto più lunghi prima, quindi significava dover stare fuori casa oltre un mese. Un Posto al sole, invece, non solo si girava a Napoli, ma la Rai era vicina all'Istituto d'arte di moda e costumi che frequentavo. Era tutto nelle vicinanze, così è iniziata questa avventura.
E se tua figlia Ginevra, che pra ha dieci anni, ti chiedesse di entrare in questo modo, come faresti?
Mah se adesso dovessi inserirla in questo mondo, so che comunque il sacrificio per girare un film o una serie, non andrebbe oltre le cinque, sei settimane di lavoro. Sarebbe un sacrificio che potrei fare per lei, ma al momento non c'è questo pericolo (ride ndr.)
Hai definito Upas un'avventura, che va avanti da 28 anni. Nella prima puntata del 1996 c'eri, vi aspettavate che avrebbe avuto questo seguito?
No, nessuno lo poteva immaginare, anche perché nessuno sapeva cosa fosse. Era il primo format in Italia di una lunga serialità, non si era mai sperimentato prima il digitale e non c'era mai stata una struttura produttiva di questo genere. Gli australiani hanno portato un format preciso che ha modificato anche il modo di girare, accorciando i tempi e cambiando i piani giornalieri con degli incastri ben precisi. Avevamo firmato per sei mesi, con un'ulteriore proroga di altri sei mesi. Quando arrivammo a firmare la seconda volta eravamo increduli.
Una scommessa vinta, quindi.
Ormai lo diamo quasi per scontato, ma come si può immaginare l'Italia senza Un posto al sole? Sarebbe quasi da farci uno slogan. È entrato talmente nelle case degli italiani che durante il lockdown erano disperati.
Perché girando giorno per giorno, ad un certo punto si erano esaurite anche le puntate nuove.
Sì, ma visto che i commenti di chi lamentava la nostra mancanza erano ormai tantissimi, gli autori inventarono delle "pillole" girate da noi, nelle nostre case, da mettere in onda su RaiPlay.
Veniamo a ottobre dello scorso anno. Il tuo personaggio, insieme a quello di Franco Boschi escono di scena e Peppe Zarbo ha parlato della necessità di staccare. La scelta di abbandonare la soap, in questo caso, è stata subita da te, oppure hai appoggiato l'idea di prendere una pausa?
C'è da premettere che anche io, per cinque anni, ho lasciato Un Posto al Sole. Dopo tanto tempo entri in un meccanismo dove ogni tanto, sia per noi attori che per esigenze di produzione, è normale fermarsi. È giusto anche il volersi tenere liberi, per poter mettere in pratica qualcosa che sia solo tuo. È un'esigenza che non tutti hanno, a me è successo e l'uscita di scena di ottobre risponde sia ad una mia scelta che ad un ragionamento fatto con la produzione. Un tacito accordo.
Quanti ti hanno chiesto se tornerai?
Tanti, ma anche quelle sono delle valutazioni che valgono caso per caso. Io penso che finché Un posto al sole avrà vita, finché quei personaggi esisteranno, non si può escludere un ritorno.
Come tutti i personaggi di Un Posto al Sole, Angela Poggi ha vissuto mille vite, ma c'è una caratteristica che da sempre la contraddistingue: la ricerca dell'indipendenza. Anche nell'affrontare la maternità, si è fatta portatrice di un messaggio importante, quello di una madre che continua ad affermare se stessa, senza dover scegliere cosa essere.
Non perché sono stata io ad interpretarla, ma credo che quello di Angela sia uno dei personaggi più belli e mi ha dato modo di sperimentare, raccontare storie bellissime, ma soprattutto vere. È un personaggio che con la scrittura si è arricchito tantissimo, che ha portato in scena valori da cui poter apprendere. Ho sempre ammirato la sua umanità. Quando le ho dato voce per la prima volta avevo 16 anni, siamo cresciute insieme.
Angela ragazzina era simile alla Claudia adolescente?
Per niente. Angela era figlia di una famiglia borghese, una ragazzina un po' viziata, scontrosa e io non sono mai stata così. Ricordo di aver avuto non poche difficoltà all'inizio, perché dovevo tirar fuori un lato di me che non esisteva. Poi, man mano, si è umanizzata, ha acquisito contenuti, ha attraversato varie fasi e ne ha fatte di tutti i colori. Poi l'Angela più attuale, quella degli ultimi dieci anni, che lavora come assistente sociale ha messo in luce altri aspetti e ha raccontato storie vere. Per raccontarle ho avuto a che fare con le vittime della camorra, abbiamo battuto territori difficili della città, per descriverli al meglio.
Ecco, a questo proposito, Napoli sta vivendo ormai da anni una rinascita dal punto di vista cinematografico e televisivo anche se a volte c'è il rischio di voler raccontare solo un lato della città. Un Posto al Sole in cosa si differenzia?
Realtà come Gomorra e Mare Fuori, il cui successo è innegabile, potrebbero far pensare che se non racconti "il brutto" allora quello che fai non ha successo, ma Un Posto al Sole è la prova del contrario. Siamo entrati nelle case di tutta Italia raccontando l'aspetto bello, anche familiare. Gli inquilini di Palazzo Palladini sono tutti, più o meno, famiglie borghesi, con problemi economici o meno, quindi abbiamo toccato anche vari aspetti sociali. Abbiamo raccontato anche la camorra, ma abbiamo mostrato una Napoli che molti non pensavano esistesse.
E tu, che rapporto hai con la tua città?
Non la lascerei, per niente al mondo. Farei delle esperienze, certo, però le mie radici sono qui e trovo che questa città abbia degli aspetti meravigliosi, ai quali so di non voler rinunciare.
Il mestiere dell'attore, si sa, ti permette di lavorare anche su se stessi. Cosa hai imparato di te, in questi anni, che non sapevi?
Stare davanti alle telecamere mette inevitabilmente a nudo la tua emotività, ma ti insegna anche a gestirla, anche se ad oggi penso di essere ancora molto istintiva. Il paradosso di questo mestiere è il dover entrare nelle emozioni di altri per interpretarle, però ad esempio non ho mai dovuto fare ricorso a degli avvenimenti della mia vita, per interpretare scene drammatiche. Grazie a questo lavoro ho vinto un po' la timidezza che avevo da ragazzina, ma non sono diventata un'accentratrice.
Come vivi la notorietà?
Credo sia una grande fortuna. Facebook non lo apro quasi mai, Instagram lo uso più spesso e mi accorgo che le persone che mi seguono lo fanno perché davvero ne hanno piacere. Nessun commento brutto, una nota stonata qualche volta può capire, ma non ho mai ricevuto insulti, mai che siano emerse frasi brutte, fastidiose. Anche la gente che mi ferma per strada, è sempre stata gentile, affettuosa e io cerco di ricambiare con altrettanto affetto. Anche se a volte ancora avverto qualcosa di strano.
Cosa?
Quando qualcuno mi guarda, il primo pensiero che faccio è "oddio perché mi sta guardando?", è come se non associassi lo sguardo al fatto che io sia un personaggio conosciuto. È un aspetto della mia persona che non sottolineo mai, anche perché fa parte della mia normalità. Ho 44 anni e ho iniziato a 16, ho avuto la fortuna di lavorare in un progetto di successo e la notorietà di questi anni non ha mai subito un vero calo.
E c'è mai stato un momento in cui hai temuto di poter essere "intrappolata" nel ruolo di Angela?
Il limite è di chi lo pensa. Un attore è un attore, se pensi possa funzionare in un altro ruolo sarà in grado di fare Angela, ma anche di essere Maria e Giuseppina. Abbiamo esempi di grandissimi registi che non si fermano a questi stereotipi, se funziona un personaggio puoi aver fatto il Grande Fratello o la lunga serialità, se ti vogliono ti vogliono, punto.
Attrice sì, ma anche imprenditrice. Come mai hai fatto questa scelta?
Sono diventata socia di alcuni locali in una zona di Napoli e il mio intento è sempre stato quello di creare dei posti dove io stessa sarei potuta andare e divertirmi. Che sia un locale di musica dal vivo, un ristorante di sushi o ancora, un posto dove bere un buon drink ho sempre sperato che si creasse un'atmosfera leggera, d'amicizia. E, stando alla risposta dei napoletani, credo proprio di esserci riuscita.