Circeo, Guglielmo Poggi: “Angelo Izzo è il male in purezza, ma è con ruoli così che possiamo arginarlo”
Guglielmo Poggi ha 32 anni e quando nel 1975 si è consumato il massacro del Circeo, probabilmente, non era nemmeno nei piani dei suoi genitori, gli attori Paola Rinaldi e Pierfrancesco Poggi. Eppure quegli anni ha dovuto riviverli in maniera intensa, a tratti anche dolorosa, per riportarli sul piccolo schermo nella maniera più credibile e rispettosa possibile. Lo ha fatto interpretando Angelo Izzo in Circeo, la serie trasmessa su Paramount ora in prima serata su Rai1, che racconta uno dei casi di cronaca più cruenti del nostro Paese, terribile emblema della violenza sulle donne di cui gli uomini continuano a macchiarsi.
Se la più grande capacità di un attore è quella di immedesimarsi nella vite degli altri, Guglielmo Poggi si è dovuto calare nei panni di quello che, tutt'oggi, è considerato un mostro: "È stato uno dei periodi più complicati della mia vita", ammette raccontandoci le sue emozioni e la tensione vissuta sul set. A distanza di un anno, però, c'è spazio per nuove sfide, dal teatro al cinema, pronto a dare tutto se stesso, senza sconti, perché per fare questo mestiere non bisogna risparmiarsi: "Provo a sognare un mondo dove noi facciamo del nostro meglio per raccontare la realtà, anche quella terribile".
Circeo arriva in un momento preciso, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin che ha fortemente segnato la cronaca. Può una storia così terribile come questa sensibilizzare ad un tema come la violenza di genere?
Sì, ovviamente. Anzi, è stato proprio quello l’intento primario. La strage del Circeo parla, innanzitutto, dell’introduzione del reato di stupro in Italia contro la persona e non più contro la morale. Nonostante sia cambiata la legge dal 76, si ha comunque l’impressione che alcune cose siano quanto mai attuali. Il fatto che si parli di questi temi e si facciano anche produzioni che aiutino a conoscerli, è importante.
A distanza di cinquant'anni significa che qualcosa a livello sociale e culturale ancora non è cambiato.
Decisamente. La difesa degli avvocati di Izzo, Guido e Ghira racconta perfettamente che cos'è il patriarcato. Quello che la sorella di Giulia Cecchettin ha chiesto a noi tutti di fare è spostare la responsabilità dal piano individuale al piano collettivo. Questo perché esiste una matrice che affonda le radici in tutti i sistemi culturali, dal cattolicesimo al modo in cui si esercitava la patria potestà in questo Paese. Una vicenda come quella del Circeo ci appare così attuale perché è intrisa della stessa cultura che respiriamo anche oggi. La sensazione è che adesso si stiano accelerando i tempi di una rivoluzione che si sarebbe dovuta verificare già molto tempo fa e che gli uomini hanno impedito il più possibile.
Dopo aver interpretato un ruolo come quello di Angelo Izzo, hai adottato dei comportamenti più consapevoli nei confronti delle donne?
Certo, ma avevo iniziato a lavorarci da prima. Mi sono nutrito delle parole delle donne con le quali ho parlato nel tempo e ho preferito che fossero loro a spiegarmi i miei potenziali errori. Da lì, inizi a guardarti dentro e capisci che magari cose fatte in passato non sono state solo leggerezze, ma atteggiamenti sbagliati. Questa è la chiamata alla responsabilità, dirselo e farlo capire anche alle altre persone che abbiamo intorno.
Non hai temuto che entrare a contatto con una mente così contorta ti portasse anche a giustificare i suoi atti osceni?
Non giustifichi e non condanni perché ci sei dentro. Donatella Colasanti ha sempre parlato di premeditazione e di volontà di sterminare, uccidere, eliminare la dignità della persona. Allora, più che da giustificare ti viene da indagare. Al di là della mostruosità, che ti fa male e anche schifo, a livello attoriale avevo il dovere di comprendere cosa lo avesse spinto ad agire in quel modo. Svestiti i panni di Izzo, non c'è alcuna forma di assoluzione possibile.
Hai dichiarato che Izzo fosse soggetto di tuo studio già da molto tempo. Da dove nasce questa attenzione nei suoi confronti?
Ho sempre pensato che quello di Angelo Izzo fosse un male espresso in purezza. È uno che dopo aver convinto tutti di essersi redento, torna ad uccidere con le stesse modalità. Quando ho visto le prime testimonianze del processo Palaia ho capito che questa fosse una forma di male da dover guardare negli occhi.
Come avrebbero potuto farlo al tempo?
Se una volta negata l’infermità mentale, fosse stato dato almeno un supporto psicologico, essendo un omicida sano di mente, forse oggi avremmo salvato due persone. Evitarlo non ha senso, bisogna capire quali siano le origini di questi mali e come arginarli, o ce lo ritroveremo per sempre. Per questo, per capirlo nel profondo, ho cercato di somigliargli più possibile anche fisicamente.
Un supporto psicologico che era stato richiesto, ma solo per lo shock del carcere. Un'assurdità.
Sì, era già stato in carcere per stupro e la madre si preoccupava dello shock delle detenzione. Questo è l’emblema del fatto che si interviene sempre dopo, a conti fatti. La punizione ci restituisce un senso di giustizia, ma Izzo è uscito e ha ucciso di nuovo.
Ha avuto delle ripercussioni, anche psicologiche, interpretare Angelo Izzo?
Mi sono occupato prima della trasformazione fisica, sono stato sei mesi in quelle vesti. È stata dura. Non sono seguace del metodo americano, in cui una volta entrato nel personaggio non stacchi mai, sei lui, sempre, di solito preferisco occuparmi di altro, perché altrimenti c'è davvero il rischio che tu possa impazzire. Se si è fragili, questo metodo non aiuta. Purtroppo, in questo caso, non sempre sono riuscito a staccare.
C'è stato qualcosa che ti ha reso il lavoro ancora più difficile?
A fine lavorazione ero stanco, ho perso molti chili, ero affamato. Ci siamo ritrovati al Circeo a pochi metri dalla casa in cui è stato davvero compiuto il delitto. Sapendolo, inizi a guardare una siepe, pensi che sia in comune con la villa del massacro, che sei ad un passo dall'orrore, poi tirano fuori le armi da usare sul set, ma l’attrice ne ha la fobia e trema come una foglia. È facile suggestionarsi, inizi a lavorare in una dimensione in cui è l’inconscio che viene a bussarti e dirti “ehi questa cosa che stai facendo non è vera”.
Quanto era nero questo inconscio?
Ero perfettamente consapevole di non essere Angelo Izzo, ma quando sei dentro al personaggio, senza la possibilità di staccarti da quella realtà, si fa largo il dolore. Eravamo ancora sotto protocolli Covid, rientravo in stanza, da solo, in quei giorni stava scoppiando la guerra in Ucraina, al mio patimento si sommava quello della vicenda che stavo raccontando, quello che vedevo nel mondo. Lo ricordo come uno dei periodi più complicati della mia vita, lo dico adesso, con distacco, con quel peso che se n’è andato.
Ho letto che avresti voluto scrivere qualcosa solamente su Izzo. È vero?
Avevo la fantasia di farci un film, poi dopo aver attraversato momenti così dolorosi, perché è un male che ti serpeggia dentro, ho accantonato l’idea. Ho puntato su altro.
Devo dedurre che ci saranno nuovi progetti in cui ti vedremo?
Sì, uno spettacolo con la regia di mio padre (Pierfrancesco Poggi ndr.), che è molto divertente e in cui ci sarà anche Giulia Bevilacqua. Sarò in scena con Romeo e Giulietta di Proietti, un ritorno alle origini, è lì che è iniziata davvero la mia vita professionale.
Qualcosa al cinema o in tv?
Si vedrà. Aver fatto Circeo è stata davvero una ciliegina per la mia carriera, una cosa importante, ma ora è tempo di occuparsi di progetti un po’ più luminosi. Ho imparato a guardare la mia professione in modo più grato, spensierato, molto più di quanto non abbia fatto in passato, così posso accettare le sfide che mi propongono senza ossessioni.
Teatro, cinema, televisione, hai fatto un po' tutto. In Italia c'è ancora la tendenza a sezionare le aree, come se non fossero mai davvero collegate, è stato limitante per te?
Ho sempre trovato assurdo che un attore non avesse mai provato l’esperienza teatrale e lo dico da chi ha avuto più fortuna al cinema che sul palco. Però è lì che trovo la misura del mio lavoro, la forza. È un sistema che si è categorizzato e nel quale le categorie diventano gelose dei propri spazi. Posso farti un esempio?
Certo, dimmi pure.
Da ragazzino ho fatto tantissimo doppiaggio, tant’è che il lavoro sulla voce mi è sempre venuto più facile che quello sul corpo. Ricordo che quando sono tornato a doppiare, dopo anni di stop, il fatto che ci fossero cose a cui avevo preso parte su Netflix, o su Rai1, non era visto di buon occhio. Nonostante ciò ho continuato a non tralasciare nulla, soprattutto il teatro.
Quindi è il teatro la vera miccia per un attore?
Se sei riuscito a convincere due-trecento persone in sala recitando i versi di Shakespeare, portati in scena dopo giorni di prove, quello che si fa al cinema non può essere più difficile. Bisogna riconoscere che sono modi di fare l'attore completamente diversi. Vedo che ragazzi e ragazze che stanno avendo grande successo ora, decidono di non studiare, di non misurarsi col teatro e lo dico con un certo dispiacere. Li senti dire che gli piacerebbe, ma non sempre dipende da loro e non saprebbero come fare, ma è una cosa a cui credo poco.
E tu cosa pensi di poter dare a questo lavoro?
Proietti ci ha insegnato che il lavoro dell’attore va al di là dei minuti che precedono la messa in scena, continua anche dopo. Chi, come me, ha un po' di difficoltà a stare nel mondo, in cui si è costantemente in balia dell'incertezza, e ha la possibilità di vivere delle vite di cui sa già tutto, diventa un modo per stemperare l'angoscia, la tendenza a vedere tutto nero. È qualcosa di talmente vitale che da me non puoi aspettarti il 10%, a prescindere dal ruolo che interpreto.
Significa che lo fai con onestà.
È una cosa che dico sempre, a chiunque me lo chieda. Come si fa questo lavoro? Rispondo sempre così: con onestà. E non sempre ci si riesce.