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Carlo Lucarelli torna con La Nave dei folli: “Ero ‘quello di Blu Notte’, ma non volevo etichette”

Carlo Lucarelli, in onda dal 20 gennaio su Sky Arte, si racconta in un’intervista a Fanpage. Da Blu Notte a Almost True, fino all’Ispettore Coliandro: “Detective diverso da tutti, perché era un perdente”. Il primo esponente del true crime in Tv spiega la popolarità di questo genere: “Prima si considerava serie B della letteratura. Piace perché racconta la nostra metà oscura che ci fa paura”.
A cura di Andrea Parrella
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"È possibile che i grandi personaggi che la storia ci ha tramandato come eccentrici, diversi o addirittura pazzi, siano stati troppo moderni per il loro tempo, vittime di giochi di potere o semplicemente affetti da malattie all’epoca sconosciute?". È la domanda con cui si apre La nave dei folli, nuova docuserie Sky Exclusive dal 20 gennaio alle 21.15 su Sky Arte, con protagonista Carlo Lucarelli nel ruolo di narratore. Da Nerone a Camille Claudel, Tolstoj e tanti altri, si osserva da un punto di vista diverso la vita di coloro che la storia ha relegato al ruolo di pazzi. Un documentario ipotetico che Lucarelli raconta in questa intervista, spiegando il senso dell'operazione

Con questa Nave dei Folli lei ripercorre vicende di personaggi eccentrici che la storia ha relegato a condizione di marginalità. Da dove nasce il proposito?

Volevamo fare qualcosa di diverso, che ho accettato all'istante quando me l'hanno proposto. Sono storie in linea con quelle che racconto io. L'idea di considerare quelli che sono stati storicizzati come folli, guardarli da un altro punto di vista e dire "fermi tutti". Molti di loro erano visionari, non ce lo siamo inventati noi, e magari i folli erano quelli che ancora si attaccavano a radici del passato, convenzioni ormai superate, per condannarli.

Il tema dei matti ha un fascino letterario intramontabile.

Assolutamente. Abbiamo un'epica della normalità, è molto bello raccontare l'uomo senza qualità e va benissimo, però è chiaro che ci sono personaggi che attirano proprio per storie eccezionali, che dovrebbero essere normali.

Che intende?

Nel senso che dovrebbe essere normale per una donna fare la psichiatra (Giovanna di Castiglia, ndr), solo che in quel contesto diventa così eccezionale che lei finisce in manicomio. Ci attraggono sempre storie che ci fanno scoprire qualcosa di diverso, nascosto.

La puntata su Nerone vuole dirci che non era come sembra. È un lavoro di redenzione su certi personaggi che abbiamo bistrattato?

Beh sì, oddio non è che siamo noi a redimerli, sono personaggi che sono già stati redenti e noi arriviamo a raccontare la storia da un altro punto di vista. Personaggi come Nerone e Giovanna la pazza risentono del giudizio degli storici che ha spesso a che fare con i giochi di potere. Questo non significa che Nerone non fosse un sanguinario come viene descritto, ma relegarlo solo all'immagine di quello che suona la cetra mentre Roma brucia, con gli occhi da folle, è volutamente riduttivo. Nerone è stato tanto altro, di peggio e di meglio.

Carlo Lucarelli a "La nave dei folli".
Carlo Lucarelli a "La nave dei folli".

Quando pensiamo alla documentaristica immaginiamo prodotti che dicono allo spettatore come siano andate le cose, o al massimo come non siano andate. Vedendo La Nave dei Folli spunta invece l'elemento dell'ipotesi, come sarebbero potute andare se. Questo che genere è?

Non so se si possa racchiudere in una definizione. Il nostro obiettivo era anche proporre delle suggestioni, fare in un certo senso narrativa e questo lo si capisce da come le abbiamo raccontate le storie, con l'uso di grafiche e animazioni. Non era solo perché non possiamo avere un'intervista con Nerone ripresa dalle teche Rai, ma perché a un certo punto abbiamo capito di avere la possibilità di mostrare le cose in un modo fiabesco, calando la verità assodata e la reinterpretazione della storia in un mondo fantastico, che è quello della follia, della nave dei folli appunto. Non sai dove ti porterà questo viaggio ed è bello scoprirlo.

D'altronde niente è reale fino a che non lo crediamo tale. Non è la prima volta che lei fa operazioni simili. Penso a Almost True di qualche anno fa, indagava leggende metropolitane creandoci su finti documentari.

Mi sono divertito tantissimo a fare quel programma, c'era alla base l'idea di prendere una balla, palese, e costruirla come un mockumentary (finto documentario, ndr). Spariamola sempre più grossa, ci dicevamo. Una cosa così, se si costruisce bene a un certo punto diventa più credibile della realtà perché ti piace di più. È più divertente pensare che a sparare a Kennedy fosse stato Elvis e non Oswald, o la mafia.

Oppure che David Bowie fosse un amico di Amadeus, che era uno dei voli pindarici di quelle puntate.

Era bello giocare sui meccanismi, sulla costruzione di questo tipo di realtà parallele. Il fatto che metti insieme due coincidenze, poi spari una pseudo verità con sufficiente convinzione e da quel momento diventa tutto vero.

Questo è un tempo storico in cui il concetto di verità è costantemente messo in crisi da una bulimia di verità presunte o tali. Si confondono i piani?

Sì, non a caso una cosa come Almost True non si può più fare. A me sarebbe piaciuto continuare quel programma, ma adesso non sarebbero più finti documentari, ma verità alternative. Sarebbe un materiale pericolosissimo, significherebbe mettersi a raccontare una cosa che è già stata raccontata su almeno dieci siti internet, con qualche migliaio di persona che ci credono ciecamente. Questo è un limite, dovremmo recuperare una certa criticità, non saremmo più pronti ad accettare che alla fine di un programma del genere arriviamo noi a dire chiaramente che quella era una balla costruita.

Anche perché negli stessi anni lei faceva Blu Notte, che invece scavava nella verità storica.

Sì, infatti per me era un piccolo guaio. Quando ho fatto Almost True avevo molte persone che venivano a chiedermi perché lo facessi, come potessi credere in quelle balle che gli raccontavo. E io gli dicevo che infatti non ci avevo creduto. Mi chiedevano, allora, perché mi permettessi di raccontare cose non vere.

Lucarelli negli studi di "Blu notte".
Lucarelli negli studi di "Blu notte".

E qual era la risposta?

Che io sono uno scrittore di romanzi e nei romanzi tutto è non vero. "Sì ma tu sei quello di Blu notte", mi dicevano. In effetti c'è una sovrapposizione di piani complessa.

C'è stato un momento della sua carriera in cui rischiava di essere associato al solo genere giallo. È fuggito dall'etichetta di "quello di Blu Notte"? 

Indubbiamente. Un narratore è un narratore, racconta la storia più bella che gli è venuta in mente senza dover dire che non può farlo perché è diversa dal suo genere. Se mi è venuto in mente sono anche quella cosa lì, poi se sbaglio è un altro discorso.

Ancorarsi a un genere, però, è anche una scelta strategica, per certi versi più redditizia.

Sì, ci sono tanti autori che giustamente scrivono sempre la stessa cosa. Ma va bene, ognuno fa quello che gli pare, io devo dire che mi diverto ogni volta a esplorare qualche mondo diverso.

Da Blu Notte a Dee Giallo, lei è stato prima espressione in Italia del concetto di true crime, genere che oggi sembra imperante. Come giudica questa tendenza?

Io ho sempre l'idea che le cose o le fai bene e sono belle, o le fai male e sono brutte, indipendentemente dall'essere di moda. Sicuramente il true crime funziona, la gente segue il genere, ma credo che sia naturale. È sempre stato così, in certi momenti forse era diverso perché veniva considerata la serie b della letteratura, ma la gente si è sempre appassionata al giallo, perché si basa su due cose fondamentali: primo il modo di raccontare di questo genere, accattivante di natura perché se inizi una storia misteriosa senza raccontare tutto subito, chi ti ascolta ti segue; in più il true crime racconta metà della realtà che ci circonda, la metà oscura, che ci fa paura. Se io racconto bene quella metà oscura bene, è facile pensare che la gente se ne interessi.

Quindi non c'è stata una mutazione del pubblico? 

Si potrebbe fare una riflessione che credo riguardi il sentimento comune della gente. C'è stato il periodo in cui avevamo grande interesse per la criminalità organizzata. Era un momento in cui la mafia ci faceva paura, dovevamo fare i conti con la storia, uscivamo dalle stragi ed erano proprio gli anni in cui ce ne interessavamo con Blu Notte. Poi sono arrivate altre paure, non che questo corrisponda alla realtà perché la mafia c'è ancora, è che magari i nostri timori si sono rivolti altrove, o sono stati indirizzati altrove. Ne deriva che oggi guardiamo più facilmente Quarto Grado che parla di delitti, anziché i talk di Santoro che un tempo riscuotevano enorme successo.

Lei era in controtendenza anche al tempo dei polizieschi. L'Ispettore Coliandro non aveva nulla in comune con gli altri detective.

Nei libri Coliandro era molto più cattivo, disperato, diceva due tre cose che non potevano rendercelo così simpatico, anche se funzionava lo stesso, faceva ridere e ci piaceva perché piacciono i perdenti, quale lui era. In Tv è diventato tridimensionale, più complesso e io sono felicissimo di quel che è venuto fuori. Dico tutte le volte che Montalbano ha dei fan e io sono tra quelli, Don Matteo ha dei fan e io potrei essere tra quelli, ma Coliandro ha degli ultrà.

Giampaolo Morelli sul set de L'ispettore Coliandro.
Giampaolo Morelli sul set de L'ispettore Coliandro.

A proposito de La Nave dei Folli, ci sono dei folli che avevate preso in considerazione e sono stati esclusi?

Ne avevamo tanti, la logica era quella di personaggi considerati diversi, in svariate discipline, dal campo politico a quello artistico. Non ce ne sono alcuni lasciati andare perché troppo complessi, ma perché abbiamo scelto questi. Gli altri hanno diritto di cittadinanza sulla nave dei folli e se Sky avrà intenzione di continuare, lo farò con piacere. Penso a pittori, artisti vari come Munch, la cui vicenda meriterebbe di essere raccontata.

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