Carla Signoris: “Non si può scherzare su tutto perché ci stiamo ancora evolvendo, i tabù finiranno”
Riassumere in poche righe la carriera di Carla Signoris significherebbe farle un torto, perché tanti sono i film a cui ha preso parte, insieme ai programmi tv, le fiction, le serie e di fatti, su Prime Video, è protagonista insieme a Luca Zingaretti, Rocco Papaleo ed Emanuela Fanelli di No Activity – Nulla da segnalare. Partendo dalla noia, analizzando lo stato di salute della comicità in Italia e riconoscendole anche un valore educativo, per poi attraversare i momenti formativi di un percorso artistico ricco di sfaccettature, l'attrice genovese si è raccontata in questa chiacchierata che in un salto tra presente e passato, traccia un fil rouge tra chi eravamo e chi siamo oggi.
Carla, che momento è della sua vita?
È un buon momento in generale. Insomma, non mi posso assolutamente lamentare, sto facendo delle cose che mi piacciono. È tutto in continuo mutamento, non smetto mai di guardarmi intorno, direi che va più che bene.
Entriamo nel vivo di No Activity – Nulla da segnalare. È una serie costruita su un paradosso, tutti i protagonisti attendono che accada qualcosa, ma invece non succede niente. Si vuole raccontare un po' la noia, in fin dei conti.
La sfida è esattamente questa, è una sorta di Aspettando Godot dei giorni nostri. Siamo sempre in attesa di qualcosa di eclatante che deve succedere, ma non succede mai. Questo tempo, alla fine, è dedicato a conoscere l'altro. Siamo personaggi che hanno le proprie fragilità, le proprie ambizioni, che si trovano accanto ad un altro da sé che a volte li corrisponde, altre volte no. Ma è qui che nascono i rapporti, in fin dei conti la cosa più interessante da vedere.
Parliamo del suo personaggio. Katia, dovrebbe essere colei ha tutto sotto controllo, anche se in realtà non è propriamente così. Lo si vede anche nel rapporto con la sua nemesi, Palmira.
Katia sente davvero di essere nel cuore dell'azione, è convinta che senza il suo lavoro non si muova niente, ritiene che il suo compito sia quello di far capire a Palmira, che considera quasi una stagista, quando in realtà è una poliziotta formata, l'importanza di quello che fa. È una che comanda, con tutti, che dà al proprio lavoro un'importanza pazzesca e non sopporta che questo non le venga riconosciuto. Non abbandona il suo posto nemmeno quando il figlio va in coma etilico, manda la vicina all'ospedale.
C'è un dialogo tra Katia e Palmira, incentrato sulla raccomandazione: una bella ragazza ha ottenuto il lavoro cedendo alle lusinghe del capo, che qui appare come un'evidente esagerazione, ma nella realtà non è un pensiero così poco frequente.
C'è ancora molta gente che pensa in questo modo, ma tocca anche a noi provare a modificarlo. Il fatto che esista un pensiero di questo tipo, implica che le donne si ritrovino a lavorare il doppio. Hanno bisogno di essere più brave del "bravo" per veder riconosciuto il proprio talento e la propria competenza. Queste cose, poco per volta, cambieranno.
Lei crede che la risata possa in qualche modo essere educativa?
Credo sia il compito principale della comicità. Attraverso una risata si veicolano messaggi molto più incisivi, perché sono esempi diretti e dovremmo usarli sempre. Qualcosa che fa ridere può aiutare a vedere le cose da un punto di vista che, magari, non si era preso in considerazione e che può aprire dei mondi. La funzione educativa della risata credo sia fondamentale.
Volendo toccare un tema forse anche inflazionato, secondo lei è vero che non si può dire più niente o semplicemente si è ridotto il bacino delle cose sulle quali si può scherzare?
La sensibilità rispetto a certi argomenti è cresciuta. Perché? Perché siamo in una fase evolutiva, ma saremo sempre in evoluzione. Siccome alcune cose prima venivano date per scontate, adesso siamo più attenti a non offendere e a non urtare certe sensibilità. Quando tanti argomenti non avranno più il peso dell'essere riconosciuti, sarà il giorno in cui avremo fatto davvero un salto evolutivo, in cui si potrà scherzare su tematiche che adesso sembrano tabù.
Piccoli passi verso una comicità con meno paletti.
Sì, pian piano ci saremo sdoganati, avremo sdoganato anche parole sbagliate. Però avremo fatto un passo in avanti. Poi è importante la sensibilità di chi ascolta, capire quando c'è l'offesa, la cattiveria, quando è sarcasmo o ironia. E c'è differenza.
A questo proposito, allora, qual è lo stato di salute della comicità italiana?
Sta abbastanza bene. Perché ci sarà sempre gente che avrà voglia di analizzare le cose da un altro punto di vista. Ci sono tanti comici, tante donne mi vengono in mente, che stanno usando la comicità come veicolo per mandare un messaggio che vada oltre l'intrattenimento. La comicità è una cosa seria. Intanto è matematica, basta spostare un respiro o una virgola nello scrivere e la stessa frase non fa più ridere.
Lei è sei sempre stata ironica, o l'ironia è stata uno strumento per affrontare la timidezza che ha sempre individuato come sua caratteristica?
Sì, io sono una timida. La mia vena ironica nasce un po' con i miei genitori, ho imparato a vedere le cose da un punto di vista più leggero. Mi ha sempre aiutata a non prendermi troppo sul serio, che è una cosa fondamentale, ci pensa già la vita ad appesantirci.
I suoi inizi in tv sono stati con il gruppo dei Broncovitz, cosa vi aveva uniti?
Venivamo tutti dal Teatro Stabile di Genova, quindi dal teatro classico, e volevamo provare a fare cose nostre, un po' diverse. La condivisione è la forza di qualsiasi lavoro. Lo dico sempre anche ai miei figli, mettetevi in gruppo, perché lì viene incanalata tutta l'energia per uno stesso progetto e lo si porta avanti. Poi i gruppi cambiano. Ad esempio adesso ho fatto gruppo con Emanuela (Fanelli ndr.), abbiamo riso fino all'inverosimile.
Un gruppo come quello dei Broncoviz, ad esempio, crede che al giorno d'oggi sia ancora possibile oppure il fatto che ci sia una sola donna potrebbe non essere visto di buon occhio?
Per la questione delle quote rosa? Lo detesto, è un concetto orribile. Vuol dire che siamo ancora indietro, arriveremo mai al punto in cui nessuno se ne sorprenda più? Poi in realtà nel gruppo c'era un'altra quota rosa, la faceva Marcello Cesena (ride ndr.)
La sua è stata una carriera ricca di esperienze, tra teatro, televisione, cinema. Se dovesse individuare una figura che per lei è stata formativa, chi sarebbe?
La prima in assoluto è stata Lina Volonghi. Avevo 18 anni e le stavo sempre dietro, aveva dei tempi comici strepitosi, grande attrice anche drammatica, ha fatto del cinema, ma lavorava principalmente a teatro. Poi penso ad Elio Petri, ho fatto un solo spettacolo con lui, L'Orologio Americano di Miller, il suo unico spettacolo teatrale, era un personaggio curioso, interessante, il fatto stesso che lui non sapesse niente di teatro è stato formativo. E poi formativo per me è stato il gruppo, erano tutte personalità molto forti, mi hanno aiutato a capire cosa mi piacesse e cosa no. E ancora La Tv delle Ragazze, Avanzi.
Sembra un'affermazione nostalgica, ma è una televisione che non esiste più.
È una televisione che non esiste più perché era una televisione scritta. Era pensata. Adesso la televisione spesso e volentieri è solo chiacchiera, con le chiacchiere inviti l'ospite e così si occupa uno spazio. Non c'è nulla di ragionato un attimo prima, c'è gente che dà fiato alla bocca. Per fare comicità c'è uno che si mette a tavolino e pensa a cosa si deve dire.
Una fast television, se vogliamo paragonarla ai fast food in fatto di velocità.
Beh, sì. Ci si affida al personaggio, più che al contenuto, ci sono persone che hanno contenuto e diventano personaggi per questo motivo, ma spesso e volentieri è chi urla, chi più forte degli altri o ha caratteristiche più spiccate, che diventa il fenomeno del momento.
Parlando di Lina Volonghi ha sottolineato che fosse sia un'attrice comica che drammatica. Si percepisce secondo lei questo pregiudizio per cui un attore, che magari ha iniziato perseguendo un registro comico, non possa fare dell'altro?
No, non è tanto pregiudizio quanto una pigrizia che deriva dalle cose che ci vedono fare. Nel mio caso ho fatto più ruoli brillanti che drammatici, pur avendone fatto qualcuno. Poi, sicuramente, ognuno di noi ha le sue caratteristiche. Ad esempio, Luca Zingaretti in questa serie fa un personaggio comico, che mai aveva fatto prima, e gli riesce benissimo. Ma se una cosa è scritta bene, problemi non ce ne sono, un attore è un attore.
Tra i vari ruoli che ha interpretato ci sono due accezioni diverse, quella più perfettina, come potrebbe essere la Katia di No Activity e quella più svagata. Se dovesse descriversi per quale protenderebbe?
Sono sicuramente quella più svagata. Katia, mi diverto perché è una str**a, è cattiva, vuole schiacciare gli altri in tutti i modi e mi diverto da matti. Ma non sono affatto così, sono l'esatto opposto. Katia, poi, è didattica, vessa la povera Palmira, interpreta una persona cinica, però nasconde una fragilità rispetto alla sua vita privata, che è quasi nulla, per cui c'è un doppio sadismo. Poveretta.
In una recente intervista ha dichiarato che ruoli da protagonista, per donne mature, non ce ne sono. Da cosa dipende secondo lei?
Chi scrive guarda alla propria generazione, anche perché scrivi per quello che sai, quindi ci vorrebbero scrittori e registi parecchio maturi, che però proprio perché maturi preferiscono avere davanti facce giovani. Devo dire però, che io sto lavorando come una pazza, ma sì non ci sono proprio ruoli da protagonista.
Parlando di cinema, il film di Paola Cortellesi ha sbancato al botteghino. È la storia ad aver animato il pubblico o forse il cinema sta vivendo una nuova rinascita?
Credo che la storia in sé e quello che c'è dietro alla storia abbiano generato il passaparola. Paola è molto amata, quindi le persone sono andate a vedere in primis la Cortellesi, ma vedendo il film hanno capito che c'era un significato importante. Una storia ambientata in un altro momento storico che sembra parlasse di questi giorni. Mi sono commossa moltissimo nella scena finale, quella del voto, e pensare che le donne hanno iniziato a votare praticamente l'altro ieri.
Non abbiamo ancora parlato di suo marito, Maurizio Crozza. Il vostro primo incontro, ormai, è leggenda.
Adesso se ne parla anche sulla Treccani.
Esattamente, però, vi siete incontrati alla fermata dell'autobus. Adesso ci si incontra in chat, non si stava meglio prima?
Forse, non lo so, stiamo diversi. Sicuramente non credo che ci si incontri solo in chat, si continua a cercare la fermata dell'autobus. Se io e Maurizio ci fossimo incontrati in chat, quasi sicuramente non ci saremmo frequentati, considerando che la prima volta che mi ha vista pare non gli stessi simpatica e io non mi ero nemmeno accorta che ci fosse.
Però, state insieme da oltre trent'anni.
Forse oggi mancano un po' di stimoli, la velocità con cui si fanno le cose consuma tutto, lo consuma anche prima e questo non aiuta a conoscersi. Si deteriorano i rapporti prima di aver conosciuto l'altro, ed è un peccato, perché il tempo aiuta ad apprezzare più sfaccettature di quella persona.
Il tempo è il nostro maestro. Torniamo quindi al punto di partenza, lei come lo occupa il tempo della noia?
Sono una persona molto paziente, se devo aspettare aspetto. Certo, aspettare per lavoro mi scoccia da morire. Aspettare la telefonata, in questo lavoro comporta l'attesa del giudizio, dell'auto-giudizio, tutte riflessioni sull'accettazione, è molto doloroso. Il mio rapporto con la noia? Mi piace leggere, mi piace dipingere, mi piace fare torte, che sono pessime, ma le faccio uguale, ho sempre tante cose da fare, ma difficilmente mi annoio.