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Black Out2, Aurora Ruffino: “Come Lidia ho accolto le mie fragilità. Da ragazza reprimevo le emozioni, ne avevo vergogna”

Aurora Ruffino torna in prima serata su Rai1 con Black Out 2, la serie in cui interpreta il ruolo di Lidia Ercoli, che in questi nuovi episodi affronta un cambiamento significativo. L’attrice piemontese si racconta in questa intervista, parlando delle sue fragilità ma anche di una nuova e più matura fase della sua vita.
A cura di Ilaria Costabile
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Aurora Ruffino è tornata in tv con la seconda stagione di Black Out, la serie di Rai1 in cui interpreta il personaggio di Lidia Ercoli, una donna nell'arma dei Carabinieri che compie un passaggio significativo da un'iniziale fragilità a una nuova scoperta di sé e della sua forza d'animo. L'attrice piemontese, reduce dal successo di Volevo salvare i colori, il suo primo romanzo edito da Rizzoli, si racconta scendendo in profondità, parlando dei momenti di buio come di quelli di luce, della capacità di ascoltarsi per scoprire che, in fin dei conti, si ha sempre la possibilità di scegliere quale direzione prendere, se quella della paura o quella dell'amore.

Black Out torna con una seconda stagione dopo due anni d'attesa, cambiando il sottotitolo della serie e con "verità nascoste" ci si aspetta che i protagonisti debbano fare i conti con i loro irrisolti.

Sì, l'attesa è stata lunga, ma i spettatori non ne hanno risentito perché siamo ripartiti dal punto in cui era finita la prima stagione. C'era stato l'omicidio di un personaggio all'interno dell'hotel e dal momento in cui viene trovato il corpo, i sopravvissuti alla valanga cercano di capire come uscire da questa situazione e fare i conti con queste morti. Ognuno di loro dovrà fare i conti con le proprie ombre e le verità che episodio dopo episodio vengono a galla per ogni personaggio. Tutti nascondono qualcosa e dovranno fare i conti con queste ombre che verranno allo scoperto.

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Il tuo personaggio, Lidia, la vediamo più matura, centrata. È come se avesse preso finalmente coscienza di sé. 

È un processo iniziato nella prima stagione, Lidia ha già svelato le sue verità nascoste. L'abbiamo lasciata sofferente per la morte dell'uomo che amava, nel pieno di una crisi esistenziale, indecisa sul portare avanti la gravidanza, è l'unica rappresentante delle forze dell'ordine a gestire il disastro naturale che li ha colpiti, oltre che l'omicidio avvenuto. Il rapporto che si crea con Hamid, bambino di cui si sente responsabile, le consentirà di riappropriarsi di una sua consapevolezza. La troveremo più determinata e matura.

In questa stagione Lidia deve fare i conti con il tema della fiducia. Deve infonderla a sé stessa, ma anche a chi la circonda. 

Il suo problema con la fiducia ha radici antiche, è una ragazza che cresce senza strutture affettive, senza la presenza, l'affetto di un padre che fisicamente c'è, ma è come se non ci fosse. Inconsciamente cerca nelle relazioni un tipo di amore non disponibile. Fa fatica a fidarsi degli altri, ma in questa seconda stagione vuole diventare quella persona di cui ci si può fidare. Proverà a farsi guidare dal suo istinto.

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Quella che vivono i protagonisti di Black Out è una situazione estrema, tu come ti comporti in momenti di difficoltà?

Di fronte alle difficoltà divento una guerriera, un carro armato, come se diventassi impermeabile. Non mi faccio toccare dalle emozioni, fin quando la difficoltà non è superata. Mi riempio di coraggio, di forza, agisco senza paura, poi mi capita di crollare dopo. Quando so che le difficoltà si sono stemperate allora emotivamente e fisicamente mi rilasso. Sono sempre stata così.

È un qualcosa di cui parli anche nel tuo primo libro, Volevo salvare i colori (Rizzoli ndr.), che però hai più volte sottolineato non è un'autobiografia. 

Non è un'autobiografia, ma è un libro dove si racconta l'elaborazione di un lutto materno e non l'avrei mai potuto scrivere se non avessi vissuto questo dolore. La prima pagina l'ho scritta senza sapere che si sarebbe trasformata nell'inizio del romanzo, era il 2015 e stavo girando Braccialetti Rossi. La scrissi di getto, immaginando un monologo. Quando mi viene l'impulso di scrivere è un'urgenza, mi siedo di fronte al computer e mi lascio attraversare da un flusso che arriva mentre scrivo. È un processo strano.

I colori del titolo che vorresti salvare, quali sono?

È l'ossessione di una bambina che cerca di fare i conti con il lutto. I bambini hanno un modo meravigliosamente creativo di fare i conti con cose che sono troppo grandi rispetto a loro. Vanessa aveva inventato questo metodo, mentre colorava si dava dieci secondi per finire di disegnare il cielo, un prato, in quel tempo se fosse riuscita a fare quello che si era prefissata avrebbe salvato il colore, che non sarebbe morto.

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Tra l'altro è in ristampa, significa che ha avuto un ottimo riscontro. 

È una notizia bellissima. I messaggi che ricevo dalle persone che hanno letto il romanzo mi commuovono fino alla gioia, sapere che le mie parole siano state si sostegno per qualcuno è la cosa più bella che potesse accadere.

Hai raccontato più volte di aver vissuto circondata dai tuoi nonni, le tue zie, per cui che rapporto hai con la solitudine?

Ho un rapporto meraviglioso con la solitudine, all'inizio però è stata molto dura. La prima volta in cui mi sono trovata da sola a casa ero a Roma, avevo 20 anni. È stato uno shock, non mi era mai successo e ho dovuto fare esperienza del mio vuoto, delle mie ombre. Il silenzio mi ha portato a galla una serie di dolori, sofferenze che avevo messo da parte, nascosto con la presenza di altri. Cercavo di scappare da questa sensazione, poi negli anni ho imparato a starci, la sofferenza si trasforma e la solitudine non è più esperienza di vuoto, ma compagnia di te stesso. È un processo lungo, che va in profondità.

Fare un mestiere che ti porta a scavare nelle personalità degli altri, nella loro psicologia, ti ha aiutato a farti da specchio?

Mi ha salvato. Sono sempre stata una bambina emotivamente repressa, non riuscivo a piangere, ad esternare emozioni di tristezza, sofferenza. Ricordo che quando guardavo i film e stavo per commuovermi, mi trattenevo, mi vergognavo per quelle emozioni, quasi provavo una repulsione nel mostrarle, mi sentivo a disagio. I miei primi vent'anni li ho vissuti in una repressione emotiva totale. Poi con la maschera del personaggio, liberavo tutte quelle emozioni che non ero riuscita ad esternare prima, per questo si dice che il teatro sia terapeutico, perché tu fai esperienza di certe sensazioni in un modo sicuro, ti senti meno vulnerabile.

E sei riuscita ad accogliere la tua vulnerabilità?

Sì, adesso sento di aver esaurito tutta l'emotività di cui disponevo (ride ndr.) Non è un caso che tutti i personaggi che ho fatto siano sempre stati complessi, intensi. Ora sono in una fase diversa, mi faccio altri tipi di domande. Il mio lavoro mi dà la possibilità di interpretare personaggi, raccontare storie di donne incredibile, però poi mi chiedo "e io cosa ho fatto nelle mia vita?". Sono fasi in cui si è alla ricerca di sé stessi e oggi mi cerco in maniera differente. Forse anche per questo ho scritto il libro.

Senti di aver risposto ad una tua esigenza precisa?

Il desiderio di comunicare qualcosa che viene da me. Gli attori sono degli esecutori, fanno quello che gli viene detto, devono dire battute scritte da altri, seguire le direzioni del regista. Il lavoro dello scrittore è di libertà creativa, di autenticità ed è la forma più autentica, più vera, più intima di espressione che ci sia e mi dà una grande gioia, sento che la mia anima è piena.

Ognuno di noi è anche il risultato di quello che ha vissuto. Che rapporto hai con i ricordi?

Sono una persona particolare, al mio passato non ci penso mai. Non so da dove venga questa libertà, forse ho maturato quello che dovevo, ma sono molto focalizzata sul presente, la proiezione del futuro è più una trappola per me, rispetto ai ricordi del passato.

E dal punto di vista della recitazione, ora che sei in questa nuova fase, che ruolo di sentiresti pronta ad affrontare?

Adesso mi sento pronta ad affrontare qualsiasi sfida la punto di vista non mi spaventa alcun tipo di personaggio. Desidero solo scegliere progetti sulla base di ciò che mo entusiasma, partendo dalla storia da raccontare. Ora ho meno paura, devo solo fare attenzione a quella voce interiore, quella intuizione che tutti abbiamo e che a suo modo prova a guidarci.

Invece quella voce non la vogliamo proprio ascoltare. 

È quello l'amore per sé stessi, anche se adesso questo concetto viene venduto con superficialità, pubblicare una foto con la cellulite con scritto "io mi amo" non significa amarsi, sono ca**ate. Bisogna chiedersi "come sto?" e già è un passo enorme, poi chiedersi cosa ci fa stare male, cosa ci fa paura. Ci sono sempre due scelte da poter prendere, quelle fatte per paura che ci accada qualcosa e sono quelle ragionate e poi ci sono le scelte guidate dall'amore, che si fa fatica a razionalizzare, ma senti che qualcosa dentro di te sta chiedendo attenzione, ti mostra una direzione.

Quindi cosa significa, per te, amarsi?

Amare se stessi significa affrontare questo processo di analisi, di ascolto e di coraggio, fidarci di noi, lasciarsi guidare. Per la nostra società è ancora i tabù, ma se c'è una cosa che ci accomuna tutti è la morte. Michela Murgia prima di morire, in un'intervista disse "Cavolo, ho aspettato di sapere di dover morire, prima di riuscire a vivere veramente". Dovremmo ricordarcelo, per poter essere liberi dalle paure dai dubbi e provare a vivere davvero.

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