Aurora Leone: “Scrivo i miei spettacoli con mio padre, è un rischio che li rende più autentici”
Si chiama Tutto Scontato lo spettacolo che Aurora Leone ha portato in teatro, ma di scontato c'è poco. Nuovo monologo nei teatri italiani per la comica casertana (non è napoletana e lei ci tiene a precisarlo), un notevole passo in avanti in termini di maturità artistica. Sta sul palco per quasi due ore, ha visibilmente il polso della situazione. Il suo spettacolo è a dimensione familiare e il volto dei The Jackal precisa proprio alla fine della performance di avere scritto ancora una volta a quattro mani con il padre, cosa di cui ci parla in questa intervista.
La prima cosa che mi viene da chiederti è sulla durata di questo spettacolo, che è ampio e sfiora le due ore. È già qualcosa fuori dagli schemi.
Sulla durata c'è un pensiero legato all'idea che quando una persona viene a vederti a teatro devi dedicargli tempo. In un ambiente lavorativo che riconduce costantemente alla velocità, la cosa condensata, il bello del teatro è poter spaziare, seminare cose da poter raccogliere in due ore senza la pressione del tempo. Il complimento più bello che possano farmi è che quelle due ore non le abbiano percepite, non che se fosse durato mezz'ora in meno sarebbe stato meglio.
Non è il primo show della tua carriera. Vedendoti sul palco ho l’impressione che tu sia più “adulta” rispetto ai 25 anni recitati dall’anagrafe. Lo consideri pregio?
In senso artistico è assolutamente un complimento, se dai l'impressione di avere più esperienza di quella che hai. Io ho iniziato molto presto, il primo monologo della mia vita l'ho fatto a 17 anni, aveva una struttura molto simile a questo, nato anche quello insieme a mio padre. Insomma, sono arrivata a questo show con un minimo di esperienza da palco, ma ormai faccio anche i conti con il fatto che tutti, nella vita reale, mi diano già 30 anni.
A chi vuole parlare il tuo spettacolo?
Mi fa piacere pensare che quello che dico sia trasversale, che possa toccare i genitori e i figli. Dopo lo spettacolo a Napoli qualcuno mi ha ringraziato per essere stata l'amica, la sorella, la figlia del pubblico. La mia ambizione è questa, far sì che ognuno possa rivedere qualcosa in quello che dico.
Senti di aver bruciato delle tappe?
Sì, dico sempre che spero di non fare la fine delle star di Disney Channel e buttarmi sulla droga. A parte gli scherzi, è chiaro che quando inizi presto sai di dover rinunciare a qualcosa della tua vita. Nel mio caso sapere di poter lavorare con i The Jackal a Napoli, non lontana da casa mia, facendo qualcosa di creativo che mi stimola, è stata una fortuna.
A cosa hai rinunciato?
Beh, sicuramente ad oggi credo che non andrò mai in Erasmus.
In effetti tu porti avanti i tuoi studi in Lettere, che sono parte dello spettacolo. Ma quello che studi è qualcosa che contempli ancora come una possibilità di lavoro? Per esempio: fare l'insegnante è una roba che ancora abita nel tuo essere studentessa di Lettere?
Fare l'insegnante è una cosa che mi sembra sempre più dura, per una serie di competenze che avrei dovuto acquisire. Più che altro gli studi in questo momento, ad essere onesta, li vedo come qualcosa per poter arricchire il mio percorso, anziché il cosiddetto piano b, quello che avevo considerato come soluzione quando ho iniziato l'università e non avevo certezze sul mio percorso. Ottimisticamente mi piace pensare che il mio esame di Latino 2 sia una cosa che può finire in un mio spettacolo, non che diventi materia di insegnamento.
Punti alla laurea a breve?
Forse nel 2025 dovrei riuscirci, ma ogni volta che rispondo a questa domanda mi pento, si troveranno molte interviste degli anni precedenti in cui dico la stessa cosa.
Lo studio facilita o ostacola la scrittura?
La favorisce. Ci tengo a dire che oltre al contenuto c'è un'altra cosa che mi dà lo studio, ovvero l'approccio: mi avvicino a uno spettacolo come faccio con un esame all'università. Non c'è niente di più simile.
Anche per quel che riguarda la tensione prima di un esame?
Assolutamente sì, forse un po' di più a teatro, ma solo perché le persone hanno pagato e i professori no.
Lo spettacolo si intitola "Tutto scontato", ma mi pare che molte cose scontate non siano. Ho notato che parli, ad esempio, di come è stato costruito il tuo primo special per una piattaforma. Non ne parli come un’esperienza esaltante, ma anzi sintetica e poco vera.
L'interpretazione di quella parte di spettacolo non fa riferimento a una brutta esperienza, perché quello show mi ha inorgoglito molto, in senso assoluto. È più che altro un discorso sul mondo dell'intrattenimento e le leggi che lo regolano.
Parli anche di una riunione abbastanza surreale avvenuta prima delle registrazioni, in cui dalla piattaforma suggerivano gli spettatori tipo per suggerire l'idea di diversity. A proposito dell’opportunità di dire cose, non hai riflettuto all’idea che potesse essere penalizzante parlare di questa cosa?
Mi sono certamente posta il problema, ma come si sentirà nello spettacolo, oltre a non esserci mai una citazione diretta della piattaforma, le mie sono sempre storie che entrano ed escono dal testo, senza voler dare risposte ma suscitare domande. Mi interessava raccontare la genesi che c'è dietro un progetto che le persone vedono solo in Tv, di come esistano riunioni e passaggi che possono risultare invisibili, ma che ci sono. Però voglio ripeterlo, l'esperienza dello special non è stata affatto brutta, ma anzi molto istruttiva, mi ha messo davanti a delle considerazioni
Poi parli dei meme e, ti confesso, è il territorio in cui mi sembri più a tuo agio. In fondo è la materia di cui ti occupi nel quotidiano con i The Jackal. Lo spettacolo è pieno, non ci dedichi solo un pezzo ma i passaggi sono intervallati da reference che sono anche dei messaggi in codice per capire che pubblico hai davanti.
Sì, inserire meme e riferimenti all'attualità è un termometro per capire il pubblico che hai davanti, comprendere chi ci sia in sala e per immaginare come reagiranno al prossimo meme citato. I riferimenti sono sparsi, da Giovanni Trapattoni al macellaio di Tik Tok. Ma anche per l'attualità funziona così, se la sera prima succede il caso Mammucari da Fagnani inseriscilo, non farti scappare quell'occasione. Mi pare una cosa che il pubblico apprezza.
Citi anche il celebre video del telecronista che inciampa sulla parola "effettuare", un classico.
La cosa di cui sono più felice è che tutte le storie che mi arrivano dopo lo spettacolo sono tag a questo video, cui spero di far fare più visualizzazioni possibili.
Hai detto tu stessa che scrivi con tuo padre gli spettacoli. Mi racconti come si articola il processo creativo?
C'è prima una fase di scrittura in solitaria, se mi succede una cosa in Nepal me la appunto, così allo stesso tempo mio padre è una persona che colleziona spunti. Si arriva a un confronto sul materiale scritto separatamente, per poi costruire i vari pezzi. La parte più affascinante di questo lavoro è che si tratta del frutto di un'operazione di taglio e cucito, non ci si siede e si scrive dall'inizio alla fine.
Scrivi con lui da quando hai iniziato a fare spettacoli?
Sì, mi piace pensare che sia l'unica persona in grado di guidarmi in questa cosa agli inizi e continuare a farlo adesso, un tempo in cui sono più consapevole della mia scrittura. Conservo questo elemento di autenticità nello spettacolo, credo che risuoni diversamente proprio perché dall'altra parte, anziché un autore, c'è lui.
Non pensi che il rapporto di parentela, allo stesso tempo, possa influire in senso limitante?
Certo, è un rischio, infatti si tratta di un equilibrio che richiede lo sforzo di ragionare in modo professionale per evitare che influiscano dinamiche di forza maggiore.
È molto singolare, un equilibrio precario che quasi prescinde dalla vostra volontà.
Esatto, ma come si sentirà nello spettacolo vado da uno psicologo bello che mi supporta in questa cosa.
Nello spettacolo ci sono anche chiari riferimenti a temi di attualità come quello di Gaza. Nella scelta di inserirli hai temuto l’effetto retorico?
È una questione che mi sono posta e in qualche modo la mia risposta alla paura di apparire retorica è stata inserire certe tematiche all'interno di aneddoti, cercando di evitare del puro populismo. Se il tema Gaza emerge nell'ambito della gestione degli spazi domestici tra me e il mio compagno può offrire uno spunto di riflessione senza che la cosa diventi un comizio. Diciamo che il teatro deve rimanere un luogo in cui parlare liberamente di ciò che si ritiene necessario, ho voluto approfittare di questa occasione facendolo con il mio stile. Non dovevo farlo, ma ho dovuto farlo.
Parli anche di giornalisti. Ci sono domande in questa intervista che ti sono sembrate un po’ quelle dell’incipit che fai nello spettacolo?
No, nessuna, anche perché non ci sono domande su Napoli e su uno spettacolo al femminile. Potevi fare di più.