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Anna Ammirati da Malinconico 2 a Napoli-New York: “Ho la fortuna di interpretare donne libere. Mare Fuori? Non l’avrei lasciato”

Intervista ad Anna Ammirati, al cinema con Napoli-New York insieme a Pierfrancesco Favino e dal 1 dicembre anche in tv, nella nuova stagione di Vincenzo Malinconico. L’attrice napoletana si racconta, parlando del suo percorso dentro e fuori dal set.
A cura di Ilaria Costabile
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La voce di Anna Ammirati al telefono è calma, avvolgente, tra una domanda e l'altra si prende il suo tempo per pensare, per calibrare le parole e restituirle pregne di significato. Napoletana, ma ormai romana d'azione da più di vent'anni, ha iniziato giovanissima la carriera di attrice, che l'ha portata a spaziare tra cinema, teatro e televisione, interpretando ruoli sempre diversi, ma a loro modo legate da un fil rouge: donne libere di essere sé stesse. In queste settimane è al cinema, da co-protagonista, con il film di Gabriele Salvatores, Napoli-New York: "È stato un set felice, gentile, ognuno di noi ha dato davvero l'anima" ci racconta. E, intanto, da domenica 1 dicembre è anche in prima serata su Rai1 nella seconda stagione di Vincenzo Malinconico-Avvocato di insuccesso.

Napoli-New York è stato definito una favola, quali sono gli elementi che lo caratterizzano in questo modo?

Una cosa molto semplice: la purezza dei sentimenti. Questo film parla dell'amore, della generosità, dell'empatia, della condivisione, del coraggio che sono sentimenti apparentemente banali, ma in realtà stanno scomparendo dalla sfera umana. Parla di cose semplici che purtroppo, spesso, non frequentiamo. È questo a fare di questo film una favola.

Hai descritto il tuo personaggio, Anna Garofalo, come una donna libera, sebbene compia una scelta che ad oggi sembrerebbe limitante seguendo suo marito. In che modo lo è?

È una donna libera perché ha scelto di fare quella vita. Chi sceglie è una persona libera, ed è una cosa che ho scoperto interpretandola. Siamo nel 2024, questa è una storia del 1949, in cui una donna aspetta a casa suo marito, l'unico suo sogno è quello di avere un figlio, ci sembra orripilante, possiamo pensare ma che vita è? Invece non è così, mi sono trovata comoda nei panni di Anna Garofalo, perché nessuno l'ha costretta a compiere la scelta di seguire l'uomo che amava, lei accetta di essere incompleta, perché non riesce ad avere figli, ma allo stesso tempo è rivoluzionaria perché decide di adottare.

L'adozione è un tema importante, possiamo dire che rappresenti una forma d'amore incondizionato.

La maternità non passa necessariamente per una gravidanza, nasce dalla volontà e dal desiderio di occuparsi di un altro. Sono madre, ho una figlia di 23 anni che ho avuto appena ventenne e senza deciderlo, amavo il papà di mia figlia, ma è successo tutto molto presto. Da chi ha vissuto l'esperienza di portare in grembo un figlio, posso dire che l'amore e quel desiderio di accudimento non si lega all'idea di avere lo stesso sangue.

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Tornando al tema della libertà, quali sono state le scelte che ti hanno resa una donna libera?

Anna Garofalo è libera nel pensiero, la mia libertà è diversa da quella di una donna del 1949. Ad oggi, credo che la principale fonte di libertà sia quella economica, perché è quella che ti permette di andar via, quando una situazione non va più bene, senza necessariamente sfociare in situazioni estreme. Quante volte abbiamo sentito "come faccio ad andare via? Ho dei figli, non ho un lavoro". È questo concetto che bisognerebbe insegnare alle bambine.

Credi di aver trasmesso questo pensiero anche a tua figlia?

Assolutamente. Mia figlia mi ha visto agire in questo modo, non c'è stato bisogno di dirglielo, ha avuto l'esempio di una madre che ha fatto questa scelta, ho lasciato il mio compagno e l'ho potuto fare perché lavoravo, quando l'amore è finito abbiamo deciso di comune accordo di prendere strade diverse. Ma il punto è che io ho potuto scegliere.

Ho letto che con Pierfrancesco Favino avete costruito una back story dei vostri personaggi. Quanto il vissuto, anche se non è presente in sceneggiatura, rende credibili i vostri ruoli?

Ci siamo raccontati la nostra storia. Quando ci siamo incontrati per la prima volta abbiamo parlato per ore, abbiamo costruito i nostri personaggi, chi sono, da dove vengono, chi erano i loro genitori, che vita hanno vissuto è fondamentale ricreare tutto quello che non c'è scritto in sceneggiatura. Anche nella vita sono domande importanti da porsi. Lui ha deciso che la prima ad arrivare in America dovevo essere io, che il mio ceto sociale fosse più agiato del suo e che i miei genitori non sapevano se darmi in sposa. È stato un bel momento, anche divertente.

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Pensi di aver trovato la risposta alla domanda chi è e da dove viene Anna Ammirati?

In questo momento sì. Poco tempo fa sono stata dai miei genitori, per più di una settimana, era da tanto che non stavo con loro così a lungo e quando sono tornata a Roma, parlando con un'amica, ho detto "sono proprio figlia di gente onesta". Non che prima non lo sapessi, o perché non li conoscessi, ma ne ho avuta piena consapevolezza. I miei genitori hanno sempre lavorato e se la genetica non è un'opinione, il sangue che mi scorre nelle vene è di persone leali, oneste. In un mondo in cui esserlo può essere scambiato per una debolezza, lo affermo con fierezza.

Cinema, tv, teatro, ma anche progetti come il podcast Fluid che trattano di temi politici e sociali. Oltre alla finzione, quindi, senti la necessità di raccontare l'attualità, la realtà?

La necessità di sapere come funziona il mondo, sono molto legata alla sfera dei giovanissimi, nutro una grande empatia nei loro confronti, un po' perché sono stata una ragazzina complicata, ho vissuto quello che adesso si chiama bullismo, ho avuto un'adolescenza particolare. Molte cose le faccio per capire e soprattutto per non giudicare, una volta che conosci le cose il giudizio si ferma, giudichiamo quando non conosciamo. La questione della fluidità, della transizione non riuscivo a seguirla come avrei voluto, anche perché è cambiato anche il linguaggio. Quindi mi sono messa in viaggio e sono andata a chiedere la loro, così è nato il podcast.

Hai fatto un lavoro quasi documentaristico.

Sono andata nelle loro case per farmi raccontare la loro esperienza. Quando hanno avvertito di non sentirsi a loro agio, se si sono mai sentiti esclusi, volevo sentire le loro storie, indagare nel privato. Sono andata a Carpi a parlare con un bambino Niccolò che poi si chiama Niki e a 6 anni ha detto ai genitori "Io sono vostra figlia, non sono vostro figlio", e loro lo hanno accompagnato piano piano, anche perché non è facile. Ho trovato genitori con una capacità di accoglienza, di apertura, incredibile.

Hai raccontato di essere stata una ragazza ribelle, avendo avuto un'infanzia complicata, la ribellione è stata una risposta alla sofferenza?

Beh sì molte cose che ho fatto in adolescenza, le ho fatte solo per contrapposizione alle regole ferree di mio padre, anche ad una scuola bigotta. Ho frequentato i Salesiani, e poi uno si chiede perché ha fatto Monella (film d'esordio con Tinto Brass) perché sono stata da esempio. È stato un atto di ribellione secondo me.

Monella ti ha lanciato sul grande schermo, ed è stato un film che ha riscosso un grande successo, c'è stato un momento in cui hai temuto che non saresti riuscita a staccarti da quella tipologia?

È vero che se i registi vedono che un attore funziona in un certo ruolo, tendono a chiamarlo per ruoli simili, nel mio caso l'unica cosa che mi è successa è dover dimostrate di avere talento, saper recitare e non avere solo un bel culo. Ruoli simili non mi sono mai arrivati, perché Tinto Brass è l'unico che fa quel genere, quindi chi avrebbe dovuto chiamarmi? Però, posso dire una cosa con certezza.

Cosa?

Solo Tinto mi ha raccontata così, non sono così provocante, sono una bella donna, ma quella roba erotica che Tinto è riuscito a costruire con quel personaggio non mi appartiene. Qualcuno mi ha voluto incontrare per qualche ruolo da sex symbol, poi avrà cambiato idea, perché vista dal vivo sono piccolina, ho un corpo normale, un viso che in alcune scene di Napoli New York può sembrare anche strano. Se mi stacchi da Monella, quindi da Lolita, perché di fatto io raccontavo quella storia, non so quella roba là. Poi, posso dire che un culo così non ce l'avrò mai più. Rimarrà nella storia, e ne sono felicissima (ride ndr.)

Parlando di ruoli che sono rimasti impressi. Sei stata Liz in Mare Fuori, un personaggio amatissimo dal pubblico. È stata una tua scelta quella di andare via?

Non è stata per niente una mia scelta, anzi, devo essere sincera ero anche molto basita, quando ho letto l'ultima puntata in cui mi facevano consegnare il tesserino e lasciare il carcere. Non so sinceramente perché abbiano preso quella decisione, se sia stata presa dalla Rai, dalla produzione, non si è mai capito da dove sia arrivata. È stata un'esperienza bellissima con i registi, soprattutto con Ivan. Non l'avrei lasciata Mare Fuori, almeno non nella quarta stagione, Liz avrebbe avuto ancora molto da raccontare.

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Insomma, i fan non l'hanno presa così bene. 

Ho avuto una risposta d'amore infinita, è stato bellissimo. Anche per questo, per me è stata una stretta al cuore lasciare la serie, mi dicevo "tutta Italia mi ama, si è affezionata a questo personaggio, ma che scelta hanno fatto?".

Torni in tv con Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso. Il tuo è un personaggio descritto come borderline, ce lo racconti?

Interpreto Laura Carbone, una ragazza che non ha una famiglia, è sempre vissuta un po' al limite della società e subisce anche dei maltrattamenti dal suo datore di lavoro. Alla fine arriva a commettere un gesto abbastanza estremo e viene rinchiusa in una clinica. È una matta vera, ed è stato meraviglioso. Quando Luca Miniero mi ha chiamata per il ruolo, pensavo già di dover fare una donna, non so, magari col compito di far innamorare qualcuno, e invece quando mi ha detto che sarei stata una matta da rinchiudere, ho accettato subito.

A teatro porti uno spettacolo, già da qualche anno, Nap Sound, che affianca Eduardo De Filippo alla musica elettronica. Cosa ti dà emotivamente salire sul palco?

È bello il cinema, bella la tv, ti dà la popolarità, economicamente sono più remunerativi, però il teatro per me è sempre al primo posto. Quello che mi dà il teatro è irripetibile, ti mette continuamente a contatto con quello che vali, ogni sera. Quando sto a teatro mi dimentico del mondo reale che in realtà è la motivazione per cui faccio questo lavoro.

Chiudiamo il cerchio e ritorniamo al punto di partenza: Napoli. Senti la lontananza con nostalgia?

Mi manca, sì, mi mancano alcuni modi di dire che abbiamo, modi di fare. Anche se poi, in realtà, me la porto tanto dentro. Sono molto napoletana, anche se vivo da 27 anni a Roma. Mi manca la città, girarla in motorino, però l'essere napoletana, no perché lo sono.

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