Alice Arcuri: “Mi davano della vipera bionda, antipatica e cessa. Agli uomini non si rivolgono così”
"Vipera bionda", "antipatica", "cessa". Sono questi i commenti che Alice Arcuri leggeva su Internet quando indossava i panni di Cecilia Tedeschi, personaggio che interpretava nella seconda stagione della fiction Rai Doc. L’attrice spiega a Fanpage.it di non dare peso al giudizio degli sconosciuti online e di vedere negli attacchi ricevuti, paradossalmente, la testimonianza di un’interpretazione credibile. Alice Arcuri, classe 1984, ha recitato accanto ad Edoardo Leo nella serie Il Clandestino e dal 3 maggio è su Canale 5 con Viola come il mare 2. Prima del mondo dello spettacolo, però, era nell'universo dello sport, con una promettente carriera da schermitrice. "È stato difficile ricevere la diagnosi di displasia e chiudere con la scherma. Però posso dire di non essermi mai sentita una vittima" ammette l’attrice. Nell’intervista ripercorre la sua carriera, parla del rapporto con con il suo corpo e delle decisioni che ha dovuto prendere: "La scelta di non fare più teatro ha avuto a che fare con la maternità. Non riuscivo a sopportare l’idea di stare tanto tempo lontana da mio figlio".
Il pubblico ti ha conosciuta in Doc 2 come Cecilia, la "cattiva" della storia, e sul web qualcuno ti ha definita "vipera bionda". Che peso hai dato a quei commenti negativi?
Quando ho bisogno di un parere sono io a chiederlo e solitamente mi rivolgo al "parlamento" di persone che mi circondano, come amici o familiari. Il giudizio, positivo o negativo che sia, se viene da estranei o se non è richiesto, non mi tocca. Penso sempre a una poesia di Kipling che dice di trattare il successo e la sconfitta allo stesso modo, come due impostori. La prima persona che deve essere convita del proprio lavoro sono io, mi sento abbastanza solida su questo aspetto. Quando giravo Doc leggevo cose molto brutte legate alla mia estetica. Non voglio fare polemica o politica, ma è un dato di fatto che questo tipo di commenti è rivolto alle donne e quasi mai agli uomini. C’era chi scriveva: "Ma perché non l’avvelenate?", "Ma che vuole sta cessa?" Però credo anche che se sono riuscita a rendere così tanto antipatico il mio personaggio, vuol dire che la mia interpretazione era credibile.
Cosa ti fa arrabbiare del tuo lavoro?
Sono un animale molto pacifico ma non devo essere provocata altrimenti mi parte la brocca. Non mi dà fastidio chi non è puntuale ma non transigo sulla mancanza di studio degli altri. Sapere che io ho passato delle ore del mio tempo a studiare e a prepararmi sul copione e scoprire che invece qualcuno non l’ha fatto mi fa impazzire. Significa che questo mestiere non ti appassiona e la trovo una mancanza di rispetto nei confronti della troupe. Mi è capitato molto raramente che si verificasse questa situazione ma anche in quesi casi non ho mai alzato il dito contro nessuno. La regola numero uno che ho imparato facendo teatro è che ognuno ha i propri problemi e deve essere il capo, in questo caso il regista, a occuparsene.
Nella serie Il Clandestino, Carolina è un personaggio che non ha paura di mostrare le proprie debolezze. Fuori dal set, tendi a nascondere le tue vulnerabilità?
Ho sempre messo sul tavolo le mie fragilità come quella della salute fisica. Non faccio mistero delle "ielle" che mi sono capitate e non fingo di essere ciò che non sono. La mia parte delicata e dolce, però, la mostro con il tempo solo alle persone di cui so di potermi fidare. Sono cresciuta con un fratello e vivo da sempre in mezzo ai maschi. Non c’è niente che un uomo possa dirmi che mi metterebbe in imbarazzo, so difendermi molto bene.
Nel tuo ambito sono tanti i giudizio sulle donne.
Il problema per le donne nel nostro mestiere è che, oltre alla mancanza di parità salariale, il nostro invecchiamento incide sulla riduzione delle possibilità di lavorare. Ci sono pochissimi ruoli per le donne over 60 rispetto agli uomini della stessa età.
Un momento di fragilità della tua vita è stato scoprire di avere la displasia femoro-patellare, diagnosi che ti ha portato a lasciare la scherma. Come hai vissuto quel momento durante l’adolescenza?
È stato molto difficile, c’è voluto tempo per metabolizzare. Di quel periodo conservo ricordi confusi legati al dolore e alla sensazione di sentirmi persa senza un’attività che praticavo costantemente. Sono grata per aver avuto i mezzi e le possibilità per affrontare la situazione, non mi sono mai sentita una vittima, so benissimo che le cose sarebbero potute andare anche molto peggio. Ora che sono diventata mamma capisco quello che hanno dovuto sopportare i miei genitori. Provo grande tenerezza e affetto nei confronti della me del passato, non sono stata fortunata con la salute ma non mi sono mai autocommiserata. Le difficoltà mi hanno aiutato a capire qualcosa di più di me.
Come è cambiato il rapporto con il tuo corpo?
Ricordo che un medico mi disse: "Le donne con le gambe storte piacciono, quale è il problema?" Non avevo mai fatto caso alle mie gambe, quando poi mi sono guardata allo specchio, le ho viste anche io così. Per anni non ho più messo gonne, ho avuto un rapporto pessimo con questa parte del mio corpo. Tutte le notti sognavo di subire interventi alle gambe. Negli ultimi dieci anni, soprattutto dopo che ho ripreso a fare sport, è iniziato un processo di accettazione. Ora amo il mio corpo perché è un corpo sano. Arrivata a 40 anni non mi interessa se le mie gambe siano storte o no, non mi domando neanche più se sia davvero così. A 17-18 anni la situazione era molto diversa.
Molti personaggi del mondo dello spettacolo, da Eleonora Giorgi a Fedez, hanno parlato pubblicamente della propria malattia e tu stessa hai condiviso la tua esperienza. Credi che sia d’aiuto per chi sta affrontando un momento difficile?
Secondo me, sì. C’è la tendenza a idealizzare la vita delle persone che hanno fama e successo, invece rendere pubblica la propria imperfezione e fragilità è importante, soprattutto per i giovani. Fedez, per esempio, ha detto che la sua malattia non lo ha reso migliore. Anche quello è un modo di affrontare le cose.
Prima della carriera da attrice praticavi scherma a livello agonistico. Hai trovato punti di contatto tra questo sport e la recitazione?
Sono due attività molto connesse tra loro, entrambe hanno a che fare con il corpo e con il mettersi in mostra. Sia quando fai una gara che quando entri in scena hai la sensazione che il tempo si dilati. C’è poi l’aspetto delle emozioni forti, quelle che provi prima di un match o prima di recitare. Hai la sensazione di non avere più saliva in bocca. Nella preparazione per un ruolo ci metto tutta me stessa, di notte prendo appunti e giro sempre con il copione sotto il braccio. I momenti di pausa li vivo benissimo perché stacco completamente dalla mia meticolosità e dal mio rigore.
Sei madre e attrice, ruoli che nella nostra società sono spesso inconciliabili. Hai mai dovuto rinunciare a qualcosa o qualcuno ti ha mai detto di farlo?
No, nessuno mi ha mai messo i bastoni tra le ruote. Ammetto di aver dovuto prendere delle decisioni. Il più grande cambiamento della mia vita è stato abbandonare il teatro, una scelta che ha avuto a che fare con la maternità. Non riuscivo a sopportare l’idea di stare senza vedere mio figlio per tanto tempo, così mi sono orientata verso la televisione. Quando mio figlio era molto piccolo mi arrivò una proposta di lavoro in Normandia, avrei dovuto fare l'assistente alla regia per tre settimane. Il mio primo pensiero era stato di rifiutare l'offerta. Mia madre e il padre di mio figlio insistettero per farmi accettare, sono stata fortunata perché c'erano loro a darmi una mano. A volte mi sono sentita in difetto come mamma perché devo stare via per molto tempo poi, però, penso che se un giorno mio figlio mi dovesse dire che vuole fare l’astronauta o l’astrofisico gli direi di farlo, di provarci.
Quali sono le motivazioni che ti hanno spinta a intraprendere la carriera di attrice?
Mi sono innamorata di questo lavoro perché è una forma di linguaggio che permette di esprimermi senza parlare direttamente di me, espormi nascondendomi sotto i vestiti d’altri. Recitare significa mettere qualcosa di me dentro a chi mi guarda, fermare il tempo, raccontare una storia.