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Alberto Angela: “Non faccio questo lavoro per compiacere il pubblico, miro al suo cuore con il piacere della scoperta”

Alberto Angela torna su Rai1 con Ulisse – il piacere della scoperta da lunedì 7 aprile. In questa intervista a Fanpage.it: “Non faccio questo mestiere per compiacere le persone, seguo la rotta della scoperta, dell’emozionarsi davanti all’ignoto, per poi riportarlo alla gente”. Per coniugare la divulgazione con l’intrattenimento del pubblico “devi entrare nel loro cuore. Conta l’emotività con cui trasmetti un’informazione, altrimenti sono solo righe su un libro”.
A cura di Eleonora D'Amore
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Alberto Angela torna su Rai1 con la nuova serie di Ulisse – il piacere della scoperta da lunedì 7 aprile in prima serata. Rai Cultura propone quattro nuovi episodi, primo dei quali dedicato alla vita di Vincent van Gogh, il pittore che ha incantato il mondo con la luce e i colori delle sue opere.

Raggiunto da Fanpage.it, il noto conduttore e divulgatore scientifico ha raccontato cosa lo spinge a fare questo lavoro con la stessa passione e dedizione: "Non lo faccio per compiacere le persone, lo faccio seguendo come un navigatore sul suo veliero una rotta che è la rotta della scoperta, dell'emozionarsi davanti all'ignoto, per poi riportarlo alla gente". Coniugare la divulgazione con l'intrattenimento del pubblico, avvalendosi di linguaggi accessibili a tutti,  è il segreto del suo successo da tanti anni: "Devi entrare nel loro cuore. Il cuore della divulgazione sono le parole e il modo in cui trasmetti un'informazione. L'emotività, i ricordi, entrare in empatia con un personaggio, sono elementi fondamentali".

Torna Ulisse e la prima puntata è su Vincent Van Gogh. Ci spieghi con quali colori dipingerai i contorni di questo grandissimo pittore?

Partiamo dai suoi colori, che non sono i colori per descrivere il mondo attorno a sé, ma il mondo dentro di sé. Sembra una persona fragile, geniale, con dei difetti, beveva, era uno scostante, ma in realtà era anche una persona molto colta, un uomo che conosceva più lingue, i classici e la teologia. La sua vita potrebbe essere contraddistinta da un termine: abnegazione. A un certo punto impara a disegnare e a dipingere e si immerge totalmente nel suo talento. Se in dieci anni ha prodotto 900 opere, di sicuro stiamo parlando di una persona molto motivata.

Cos'altro scopriremo?

Un lato della sua storia che conosciamo poco. Era figlio di un pastore protestante ma odiava la borghesia, è diventato una sorta di San Francesco protestante, che si è spogliato di tutti i suoi beni. Nel farlo, non è stato compreso e da lì ha preso poi la via per la pittura. Penso che lui avesse forti difficoltà relazionali, è stato internato più volte, aveva delle allucinazioni e sentiva voci. Ma tutto questo non aveva a che fare con la demenza o la follia, era più la caratteristica borderline di una persona assolutamente intrigante.

Cosa lo muoveva in questo tortuoso viaggio dentro se stesso e verso il mondo?

Detto tra noi, gli mancava l'abbraccio. Si è trovato da solo a dover combattere il bullismo, a volte è rimasto vittima della sua stessa natura iraconda. La cosa più interessante è che a lui non importava di essere acclamato, non gli importava del presente, lui voleva il futuro. E come se ci avesse regalato i suoi capolavori per guadagnare l'immortalità della sua arte.

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La puntata successiva, quella del 14 aprile, sarà un puntata diversa dalle altre, perché?

In questa edizione ci sarà un viaggio particolare nella musica. Voleremo a Londra e la racconteremo attraverso grandi nomi della musica, dai Beatles a David Bowie a Freddie Mercury e Amy Winehouse. Mi vedi sempre esplorare dei luoghi raccontando le storie dei loro monumenti. Stavolta invece lo faremo attraverso le sue canzoni più belle, un patrimonio immateriale. Ma i monumenti ci saranno.

Dove ci porterai?

A Camden Town con Amy Winehouse; allo stadio di Wembley con il concerto di Live Aid dei Queen, che hanno fatto la storia; ad Abbey Road con i Beatles e il pianoforte su cui suonava John Lennon, dove ci sono le bruciature delle sue sigarette sul bordo; alla Royal Albert Hall in cui si sono esibiti tutti, da Pavarotti ad Adele; e tanto altro. Passeggiamo per Londra un po' come nel video dei Verve e mostriamo i luoghi iconici con l'accompagnamento di un tappeto musicale sempre diverso. In realtà questa puntata è un diario della vita di ognuno di noi, ogni canzone sbloccherà un ricordo.

Scienza e storia accessibili a tutti. La bellezza dei tuoi programmi è anche la facilità di accesso dei loro linguaggi. Come si bilancia la divulgazione con la capacità di intrattenere un pubblico generalista?

Devi entrare nel loro cuore. Il cuore della divulgazione sono le parole e il modo in cui trasmetti un'informazione. Se quest'ultima è secca, non prende, perché è come se fossero solo delle righe su un libro, quindi bisogna trasformare quelle righe in parole che affascinano. L'emotività, i ricordi, entrare in empatia con un personaggio, sono elementi fondamentali.

Qual è la cosa che ti senti dire più spesso dalla gente che ti ferma per strada?

Ti dirò è il complimento più bello che ho ricevuto. Giravamo proprio a Londra e ad un certo punto si è avvicinato un gruppo di italiani. Tra loro c'era una persona che aveva una difficoltà, era un non vedente. Mi ha ringraziato spiegandomi che riuscivo a fargli vedere le cose, è stato uno dei momenti più belli della mia vita.

A proposito di interazioni con il pubblico, credi che i social siano un'opportunità per la corretta diffusione della conoscenza?

I social sono come il fuoco, un fiammifero, puoi preparare del cibo nutriente oppure dar fuoco a una foresta. Dipende come li usi, in generale li vedo come una grande opportunità ma hanno un lato oscuro, che si manifesta quando si cavalca l'emotività delle persone. In quel caso possono essere molto pericolosi. Per esempio, se scrivo qualcosa di insultante, so di dovermi confrontare con conseguenze legali, ma sui social non è sempre così.

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Le nuove generazioni quanto sono avvantaggiate, o lese, da tutto questo?

Trovo che in generale il web sia una una grande risorsa, che in passato non esisteva. Negli anni 80 c'era l'enciclopedia britannica, oggi c'è un mondo da scoprire in internet, ma, come dei moderni Pinocchio, bisogna stare attenti al gatto e la volpe che possiamo incontrare sul nostro cammino. C'è chi pensa che quello che trova su internet sia giusto solo perché è in linea con quello che pensa, ed è riduttivo. Bisogna verificare, risalire alla fonte e valutarne l'affidabilità.

Tu sei padre, quando i tuoi figli erano adolescenti, a cosa li hai visti particolarmente esposti?

Le nuove generazioni hanno grande conoscenza tecnologica ma poca esperienza di vita. Non tanto perché sono giovani quanto perché, rispetto agli anni 80, c'è poca vita vissuta, l'interazione ce l'hai attraverso uno schermo, non con gli incontri al muretto o per strada. Manca una specie di vaccinazione della vita quotidiana. Anche a livello di relazioni, se sei abituato a stare sul web, quando ti trovi faccia a faccia con una persona sei intimidito perché non sei abituato.

E allora come si gestiscono le insidie?

Bisognerebbe essere un po' scugnizzi e con questo termine intendo l'arte di capire le cose, noi italiani ne abbiamo tanta. Sono molto fiducioso nei confronti dei ragazzi e anche di anche degli italiani, che hanno una mentalità smart, però bisogna stare attenti perché l'eccessiva ingenuità può farti cadere in errore.

I tuoi figli li hai cresciuti con questo approccio orientato alla vita all'esterno più che all'interno di un cellulare?

Certo e con cose molto semplici, dai viaggi al parlare, a raccontare quello che hai visto, a mostrare che esiste qualcosa al di là dello schermo, che è vita vissuta. Io ho vissuto gran parte della mia vita senza i social, ma ritengo sia una possibilità per nutrirsi se lo si fa bene.

Da tuo padre, Piero Angela, sei stato a tua volta cresciuto in questo modo?

Mio padre non mi ha mai detto quello che non bisognava fare, semmai mi ha consigliato su ciò che era meglio non fare. È l'esempio che conta e credo che con i miei figli forse ho cercato di fare la stessa cosa. I figli, guardando i genitori, vedono i loro comportamenti e capiscono tutto, anche a livello valoriale.

E tu su quali valori hai puntato per essere un esempio per loro?

A sani principi legati sicuramente all'altruismo, all'immedesimarsi, a prendere su di sé il dolore degli altri per capirli invece di bullizzarli, al rispetto delle donne. È importante avere una mentalità socialmente connessa a chi è attorno a te non dal punto di vista virtuale, bensì dal punto di vista umano.

Si dice che il successo porti con sé, come consacrazione, anche delle esilaranti imitazioni. La tua è stata affidata a Neri Marcorè, un genio della comicità. Ti ha divertito?

Con Neri siamo molto amici, ci conosciamo e ci stimiamo molto. Se ci incrociamo in qualche albergo, ci diamo appuntamento per un caffè. Quello che ha fatto è stato esilarante, io scoppiavo puntualmente a ridere perché c'erano delle cose che neanche immaginavo, ma lui aveva colto con la sua raffinatezza e il suo acume. Mi ha sempre fatto molto ridere. Nella vita l'umorismo è come i tasti di un pianoforte, se non hai le note alte rimani sempre nelle canzoni più lugubri.

Come ti vedi oggi, nella vita e nel lavoro, e invece come pensi di essere visto?

Quello che faccio, sono, è visibile, non ho due facce. Il mio mestiere è basato sulla curiosità e sulla ricerca delle cose che che mi piacciono. L'ho fatto sempre, da quando sono nato e da quando ero ragazzino. Per più di dieci anni ho fatto scavi, cercavo di scoprire l'origine dell'uomo. Non faccio questo mestiere per compiacere le persone, lo faccio seguendo come un navigatore sul suo veliero una rotta che è la rotta della scoperta, dell'emozionarsi davanti all'ignoto, alle cose belle e brutte, e di riportarle alla gente.

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