Adriano Giannini: “A 17 anni obbligato a spogliarmi per sospetto di droga, in ACAB la solitudine delle forze dell’ordine”
Adriano Giannini interpreta Michele Nobili in ACAB, la serie in 6 episodi disponibile su Netflix dal 15 gennaio. Ispirata all'omonimo film del 2012 diretto da Stefano Sollima, accende una luce sulle difficoltà – fisiche, emotive e psicologiche – che vive chi lavora per garantire sicurezza alla comunità: la Polizia. Dal caso di Ramy Elgaml, il ragazzo morto dopo un inseguimento dei carabinieri, alla proposta di uno scudo penale per le forze dell'ordine, l'uscita della serie sembra cadere a pennello in un contesto in cui il dibattito pubblico è acceso sul confine labile tra l'abuso di potere e l'esercizio della professione. A Fanpage Giannini, che nella sua carriera ha dato voce a personaggi come Joker o Venom, racconta anche "un episodio spiacevole" che ha vissuto in prima persona: "A 17 anni fui perquisito. Pensavano avessi della droga, ma non era vero. Mi puntarono una pistola e mi dissero di spogliarmi". E sul significato di ACAB: "Descrive la mediocrità, la solitudine che c'è dietro questi poliziotti che vivono una vita estrema. Questo li porta ad agire seguendo istinti primordiali, quasi animaleschi, fino a perdere il senso stesso della realtà".
Michele Nobili incarna una Polizia democratica, che segue leggi senza abbandonarsi alla violenza. Cosa ha significato, per te, interpretare questo personaggio?
Michele ha una visione diversa da quella dei suoi colleghi sulla gestione dell'ordine pubblico, crede che non bisogni usare la violenza finché non diventa inevitabile e viene emarginato per questo. Tuttavia, la difficoltà più grande che vive è legata a un episodio grave che accade a sua figlia. Entrare nei suoi panni è stato un percorso stimolante, perché è uno dei personaggi che più incarna il conflitto nella serie.
Il tuo personaggio tradisce i suoi ideali per aderire a quelli della squadra in cui presta servizio. Qual è il significato dietro questo tipo di evoluzione?
Il senso era quello di raccontare la mediocrità, la solitudine che c'è dietro questi poliziotti, che vivono una vita estrema e che si trovano costantemente in una zona di battaglia, rischiando la vita ogni giorno. Ciò li porta a seguire l'istinto di sopravvivenza e, in alcuni casi, a commettere azioni sbagliate, fino a perdere il senso della realtà stessa.
La sensazione è che l'uscita di questa serie cada a pennello visti i recenti fatti di cronaca, come il caso di Ramy Elgaml o la proposta di uno scudo penale per le forze dell'ordine. Avete percepito questa coincidenza come una cosa positiva?
No, non riesco a pensare che sia stata una fortuna. In questi giorni mi è stato chiesto molte volte di esprimere un'opinione su questi temi, ma è una cosa che mi mette a disagio. Non voglio sottrarmi al dibattito, ma credo che per parlarne siano necessarie competenze. Discutere di gravi fatti di cronaca o di politica, parlando di ACAB, mi sembra che tolga valore ai temi stessi. Cosa abbiamo da aggiungere noi, che facciamo gli attori, a tutto questo?
Credi che in Italia il pubblico sia pronto ad assistere a una narrazione più coraggiosa e meno idealizzata delle forze dell’ordine?
Ritengo sia giusto che esista una prodotto che descriva, e non giustifichi, la situazione in cui vivono questi poliziotti, senza doverli per forza santificare. Poi, che questo tipo di approccio generi rabbia, discussioni sui social e ostilità verso questa categoria, è un fatto che non dipende dalla serie. Personalmente, mi tengo sempre lontano da queste polemiche.
Una scena che ti è rimasta impressa?
Una delle ultime, quando Michele e Mazinga, che interpreta Marco Giallini, tornano in auto verso casa. Michele è ubriaco e dice al collega: "Sono diventato come voi, qui c'è il caos. Non è fratellanza, questa è vendetta". Anche se cerca di mantenere una posizione, in quel momento il mio personaggio diventa consapevole di essersi perso, perché lui stesso ha usato la violenza che tanto condannava. Quella scena mi piace particolarmente, anche se è stata girata con molte difficoltà tecniche.
Quali?
Era notte fonda e la macchina sulla quale viaggiavamo si è rotta, c'erano continui rumori dalla strada, abbiamo dovuto fermarci più volte. Non riuscivo mai a finire la mia parte perché venivo sempre interrotto da qualcosa. È stato divertente vedere come, nonostante gli imprevisti, siamo comunque riusciti a restituire la drammaticità del momento.
Tu e Marco Giallini interpretate le due frange opposte della Polizia, una più tradizionale una più riformista. Siete tanto diversi caratterialmente anche nella realtà?
Tra noi si è creato feeling fin da subito, ci siamo scoperti molti affini. Mentre recitavamo, non riuscivamo a guardarci negli occhi, perché altrimenti scoppiavamo a ridere. Il nostro rapporto può sintetizzarsi in questo tipo di complicità, il nostro lavoro richiede una concentrazione massima, ma è anche bello riuscire ad avere momenti di leggerezza.
Vi è stato chiesto di prendere ispirazione dal film o la volontà era quella di creare un prodotto chiaramente distinguibile?
Quello dell'esistenza del film non è un problema che mi sono posto, lo avevo visto anni fa e non l'ho rivisto per prepararmi alla serie. Non ci hanno mai detto di doverci rifare stilisticamente a quel lavoro, l'unico ponte è il personaggio di Marco, Mazinga, che comunque appare diverso.
Stefano Sollima, che il film l'aveva diretto, è stato il produttore esecutivo della serie. Quanto è stato incisivo il suo contributo?
Sul piano tecnico, ACAB può competere con serie di alto livello. L'intervento di Stefano Sollima ha contribuito a dare al prodotto questa garanzia di qualità. Stessa cosa per il regista Michele Alhaique. Il loro modo di lavorare restituisce un aspetto quasi cinematografico alla serie, questo non si vede spesso in Italia.
Se non ne fossi stato interprete ma semplice spettatore, quale sarebbe stato il tuo personaggio preferito?
Sicuramente quello di Michele. Lui è l'outsider, subisce un'evoluzione dolorosa, ama sua figlia e quello che le accade lo porta a soffrire. È sicuramente quello a cui mi sarei sentito più vicino, a prescindere dal fatto di averlo interpretato.
ACAB 2 è già in programma?
Ancora non lo sappiamo, ma se andrà bene proveranno a fare un seguito. Io lo spero, ad essere onesto, perché per me è stata una bella esperienza.
Hai doppiato personaggi come Joker o Venom. Ti piace fare la parte dei cattivi?
Quelli dei cattivi sono personaggi divertenti, danno la possibilità all'attore di giocare di più. Nel doppiaggio è difficile perché spesso sono interpretati da attori incredibili, quindi devi cercare di restituire quello che hanno fatto loro, però è molto stimolante.
Hai mai vissuto esperienze che hanno cambiato il tuo modo di percepire le forze dell'ordine?
Sì, tanti anni fa mi è successo un episodio spiacevole. Avevo 17 anni, ero partito da solo per imbarcarmi per la Sardegna. Viaggiavo su un motorino e avevo con me solo uno zaino da campeggio. Arrivai al porto e venni fermato dalle forze dell'ordine. Erano tre uomini, mi portarono in un commissariato che era chiuso, visto che era notte. Dentro non c'era nessuno a parte me e loro tre. Cominciarono a perquisirmi in due, mentre il terzo restò fuori a controllare il motorino, per verificare se stessi trasportando droghe. Pensai che avrebbero potuto farmi qualsiasi cosa in quel momento, non avrei avuto difese. Successe che l'agente che era fuori rientrò e mi puntò contro la pistola, urlando: "Cos'è tutta quella droga che hai nel motorino?". Non era vero, non avevo niente. Mi disse di alzarmi e mi portò in bagno: "Adesso spogliati", mi ordinò, per perquisirmi meglio. Ricordo ancora la paura che provai.
Poi cos'è successo?
Mi lasciarono andare, ma non l'ho mai dimenticato. La cosa più assurda è che quasi trent'anni dopo ripassai per quel porto e, avendo perso uno zaino che conteneva un computer di valore, andai in commissariato a sporgere denuncia. Lì notai un anziano e mi resi conto fosse uno dei tre agenti che avevo incontrato anni prima. Mi spiegò che ogni tanto facevano quelle cose per capire se davanti avessero un furfante o una persona per bene. Gli risposi: "Ti rendi conto che non potevate farlo?".
Alla fine lo zaino l'hai trovato?
Mai più.