Potevamo rimanere spaventati. Parafrasando uno storico tormentone anni Novanta di Aldo Giovanni e Giacomo, questo è il primo commento che si potrebbe fare a The Nun 2, sedicente horror a piede libero nelle sale italiane. E che, attualmente, si gioca la vetta del box office nostrano con Oppenheimer di Nolan. Il film è sequel dello spin-off The Nun (2018) ed entrambe le pellicole sono figlie della saga The Conjuring (tre capitoli in totale, più uno in uscita a data da destinarsi). Siamo davanti a un successo straordinario per Warner Bros. Basti pensare, per esempio, che il primo lungometraggio con protagonista la demoniaca suora interpretata da Bonnie Aarons abbia totalizzato 365 milioni di dollari su scala mondiale. In tutta onestà, tali roboanti cifre sono e saranno le uniche note positive legate a questo titolo e al suo fratellastro che furoreggia oggi nei cinema italiani (con già 2,5 milioni in saccoccia dopo il primo weekend di programmazione). Capita spesso che film “brutti” piacciano. Come mai, però, proprio The Nun 2 è riuscito a generare così tanto hype? Potrebbe non trattarsi, non del tutto, di un’allucinazione collettiva.
Per gli amanti dell’horror, The Nun 2 è un supplizio. Almeno quanto lo è stato il suo predecessore (disponibile, in caso di impellenti urgenze masochistiche, su Netflix e Prime Video). Non è necessario, comunque, recuperarlo prima di accorrere in sala: i fatti occorsi nel capostipite di questa sciagura sono ben spiegati in una sessantina di secondi dall’inizio del film perché un gruppo di suore ne chiacchiera amabilmente mentre spentolina. Immaginiamo, del resto, che storie di possessione e leggende legate a demoni inferociti siano l’ABC delle quotidiane conversazioni tra velate consorelle. Comunque sia, The Nun 2 ci porta in Francia, nel paesino di Tarascon, anno del Signore 1956. La trama si snoda in un collegio femminile frequentato da “mean girls” bullette, dal tuttofare belloccio Maurice (Jonas Bloquet, vera gioia per gli occhi), dalla suorina Irene (Taissa Farmiga) e, forse, dal demonio in persona.
Ciò che non funziona, o magari sì, è la sua prevedibilità. La trama è un copia e incolla del capitolo precedente: ne fanno parte, infatti, personaggi di insospettabile e tirata per i capelli santa discendenza, reliquie salvavita fortunosamente a portata di mano ma minacciate da oscure presenze, un sacco di gente al buio che guarda porte scricchiolare The Nun 2 più che un horror, è l’attesa di un horror. Se è vero che questo tipo di costruzione può creare tensione, la reiterazione a ogni scena di tale espediente, esaspera non poco. Sempre meglio, però, di quando il lungometraggio decide di imbarcarsi in qualcosa di più originale e, improvvisamente, impone che le edicole di notte debbano far paura. “Ti devi spaventare!”, urlerebbe Richard Benson.
Perfetto per dare la suggestione di ciò che potrebbe essere un horror ben fatto, in buona sostanza The Nun 2 è l’eco, il miagolio di quello che avrebbe dovuto essere un ruggito. Per altro, la villain protagonista compare pochissimo in scena. E soltanto alla fine ha un ruolo oggettivamente attivo, anche se solo per qualche minuto. Nel resto del film, si mostra di rado e solo per terrorizzare senza scopo ragazzine e adulti non consenzienti. Un mero jumpscare nei fatti assai pigro: con la potenza del demone Valak che la suora posseduta detiene, potrebbe avere la meglio più velocemente di Thanos quando schiocca le dita. E invece no, preferisce essere dispettosa per un’ora e venti, salvo poi ricordarsi i propri malefici obiettivi principali. Con una villain così, è chiaro che i “buoni” abbiano gioco più che facile. Solo che, a loro volta, si perdono in infinite scene di osservazione di stipiti e calcinacci. Perché cigolano e, per quanto la struttura del collegio sia a tutti gli effetti fatiscente, ciò pare essere molto, troppo inquietante. Una reaction a caso di Khaby Lame sarebbe perfetta per incarnare la nostra sensazione di fronte a tutto questo oscurissimo… niente.
Il successo del film, come dell’intera saga da cui è stato generato, però, non si discute. Ci sono sempre stati, più o meno da che esiste il cinema, pellicole a uso e consumo del pubblico mainstream che, nei casi meno fortunati come quello in esame, hanno poco a che fare con il genere horror. Ne banalizzano il topoi principali e regalano al pubblico una sequela di scene trite, ritrite e prevalentemente innocue. Di solito, queste produzioni hanno come riferimento un target teen che accorre in sala per andare a vedere qualcosa che “non dovrebbe”. In passato, una generazione intera si è “spaventata” con The Blair Witch Project (2000), The Ring (2003), Saw (2005) e Hostel (2006). Tutti film, da cui poi sono nate intere saghe, comunque superiori a The Nun e sequel, per quanto anche nella maggior parte di questi fosse presente il villain-spauracchio truccato e parruccato da far, appunto, spavento. Altro livello, però, per trame e, spesse volte, ferale gratuità delle scene sanguinolente. Oltre che della cattiveria dei coinvolti.
Sul finale di The Nun 2 sarà ben difficile non scoppiare a ridere di fronte a preghierine della buonanotte e una scena che vorrebbe essere epica con il solo ausilio di un ingente numero di damigiane di vino. Il Veneto apprezzerà. Forse. Non è un male in sé rielaborare all’acqua di rose i più sapidi cliché dell’horror. Anzi, uno spettatore curioso, potrebbe cogliere alcuni riferimenti e andare a cercare i principali film di provenienza, scoprendo perle cult a cui, altrimenti, difficilmente avrebbe avuto accesso. La stessa Taissa Farmiga è protagonista di una serie antologica, American Horror Story, la cui prima e seconda stagione, in particolare, sono un vero e proprio bigino di horror supremi. Tutti gli elementi “già visti”, si fondono insieme per creare due storie nuove, originali e alle volte perfino spiazzanti per occhi giovani e meno giovani. Del resto, l’ha creata Ryan Murphy (già showrunner di Nip/Tuck, Glee, Dahmer e tantissime altre meraviglie).
Questo incanto non riesce proprio a The Nun 2, troppo concentrato sui già citati jumpscare per degnarsi di mettere insieme una trama significativa. Fascinazione per il guilty pleasure a parte, non correre al cinema e aspettare, magari, che la pellicola arrivi in streaming non è peccato mortale.