È arrivato lo scorso 1 novembre su Netflix "Nuovo Olimpo", film diretto da Ferzan Özpetek che firma nuovamente un prodotto per una piattaforma, dopo la trasformazione del suo film, le Fate Ignoranti, in serie televisiva su Disney Plus. Nella sua nuova operazione dietro la macchina da presa, il regista turco racconta aneddoti della sua storia personale che, però, si mischiano perfettamente a quelli di sua invenzione che vediamo nella sua filmografia. La storia d'amore tra Enea e Pietro, scoppiata e svanita nell'arco di alcuni giorni, ma latente per anni, lascia addosso una scia malinconica, ma anche la sensazione che manchi qualcosa e che, soprattutto, ci sembra di averla già vista.
Provare a raccontare i sentimenti e soprattutto l'amore è l'ambizione di molti cineasti, che si misurano col sentire più atavico e imperscrutabile di tutti. Ferzan Özpetek, da sempre, racconta con grande sensibilità l'amore omosessuale, mettendone in luce gli aspetti romantici, sognanti, e tratteggiando il profilo di personaggi con un mondo interiore non sempre manifesto, ma tendenzialmente chiuso e pronto ad esplodere da un momento all'altro. È quello che succede ad Enea, interpretato da Damiano Gavino che, qui, d'altra parte, incarna anche il regista stesso e Pietro, che ha il volto di Andrea Di Luigi, che si incontrano nella Roma degli Anni Settanta e vivono una fugace ma intensa storia d'amore. L'arco temporale del film copre circa trent'anni, durante i quali i due protagonisti vivono le loro vite, finendo spesso per incrociarsi, senza rivedersi mai.
Il Nuovo Olimpo che fa da sfondo alla nascita di questa desiderata e inizialmente anche timida passione, è un cinema romano, che si trasforma insieme ai protagonisti che lo frequentano. Se all'inizio del film è un posto di nicchia, dove proiettano film d'autore, e dove chi voleva poteva cercare piacere nei bagni, sempre occupati, della sala, già col passare del tempo diventa un distributore di film per adulti, perdendo quel romanticismo iniziale che lo connota. L'incontro tra Enea e Pietro avviene lì, in un cinema, e diventa esso stesso parte di una narrazione cinematografica, quando tutto quello che hanno vissuto resterà solo nei ricordi di un passato che, però, continua a ritornare.
Un amore latente, si diceva, di quelli che proprio perché non sono stati consumati fino in fondo, lasciano la sensazione che qualcosa di più potesse succedere, che un sentimento ancora più profondo potesse scoppiare, ma forse il fatto stesso che non sia maturato lo rende ancora più bello per chi lo vive. Testimone di questa passione nascente è Titti, la receptionist del Nuovo Olimpo, interpretata da Luisa Ranieri che ricorda una Mina agli albori e che dispensa consigli d'amore, insieme ad Alice, una bravissima Aurora Giovinazzo che merita, davvero, una menzione perché il suo ruolo, seppur secondario, fa brillare la sua bravura.
Enea e Pietro consumano una notte d'amore in una casa romana, barocca e opulenta. I loro corpi si sono incontrati e uniti in una danza sensuale e volitiva, in cui il nudo integrale di entrambi mantiene una sua eleganza e si assesta, perfettamente, nella cornice anticata del loro nido d'amore. Sembra siano sul punto di non lasciarsi più, una manifestazione, però, finisce per separarli. Il file rouge che percorre le loro vite è questo sentimento inespresso, che serpeggia, che si ripresenta: "Pensavo a te senza nemmeno sapere che faccia avessi" scrive Pietro in una lettera che Enea leggerà anni e anni dopo il loro incontro; "Non è il quanto, ma il come, è il riconoscersi, è l'intensità dell'incontro che fa la storia" sospira Titti in una visione onirica del regista. Insomma, la solita trafila, che però resta sempre un po' incompiuta.
Eppure, tutto questo strabordante amore che, inoltre, come ricorre sempre nei film di Özpetek si insinua anche nel legame tra un uomo e una donna, risulta a tratti anche stucchevole e surclassa un sentimento che, però, dovrebbe avere la sua stessa valenza. Antonio (Alvise Rigo) e Giulia (Greta Scarano), il compagno di Enea e la moglie di Pietro, presenti da anni nelle loro vite, diventano amori sbiaditi, amori che non contano alla presenza della passione non consumata. Ma non è forse l'amore che resta quello che dovrebbe appagarci? Non è l'amore che si manifesta negli anni, nella presenza, nella costanza, quello che si evolve e matura nel tempo che possiamo davvero chiamare amore? Non è forse l’amore che non si nasconde, quello che si vive nella sua pienezza, nella bellezza ma anche nella difficoltà che possiamo dire sia amore?
Ma con Özpetek, si sa, le passioni irruente che scoppiano e aleggiano nell'aria, quelle passioni anche clandestine, mai raccontate fino in fondo, sembra che vivano una vita a parte, una vita interiore che fin quando resta sopita, fa da sfondo ad ogni singola azione, per poi irrompere all'improvviso e sconvolgere tutti i piani. In Nuovo Olimpo, forse il più malinconico dei film del regista turco, questo sentimento si spegne quando potrebbe riaccendersi, aggrappandosi al ricordo di quello che sarebbe potuto accadere se le cose fossero andate diversamente. Ed è forse il finale migliore, oltre che la scelta più convincente di questo film.