La storia di Flow, il film diretto da Gints Zilbalodis, ci dice tanto delle possibilità che può avere l’animazione. Andando contro ogni previsione, è riuscito sia a vincere un Golden Globe che a essere candidato agli Oscar in due categorie: quella per il miglior film straniero e quella per il miglior film d’animazione.
Costato appena 3.8 milioni di dollari, ha attirato l’attenzione del pubblico e della critica confrontandosi, di fatto, con dei veri e propri blockbuster (Inside Out 2, candidato come Flow nella categoria per il miglior film d’animazione, è costato circa 200 milioni di dollari; The Wild Robot, invece, circa 80). È partito quasi in sordina e si è rapidamente ritagliato uno spazio tra gli appassionati. La sua forza sta nel suo linguaggio: Flow è un film fondamentalmente muto, dove non ci sono esseri umani ma solo animali; e quella che seguiamo è una storia di resistenza, dove il protagonista assoluto è un gatto.
Zilbalodis ha parlato in diverse occasioni del processo di sviluppo di Flow: per la prima volta, si è fatto affiancare da una squadra dividendo il lavoro tra Belgio e Francia (il film è stato candidato come rappresentante della Lettonia agli Oscar, ed è stata una prima volta assoluta anche per il paese); non ha disegnato nessuno storyboard e le animazioni sono state terminate in circa sei mesi. Flow cerca di sfruttare al massimo sia i totali, con ambienti mozzafiato, sia le singole interazioni tra i personaggi, con campi e controcampi più o meno serrati.
Non c’è mai fretta, nemmeno per un istante. Resiste un ritmo sospeso, incalzante ma non insistente. Anche se si tratta di una storia di pura finzione, è evidente il tentativo di rispettare un certo realismo: gli animali non parlano e si confrontano come si confrontano solitamente gli animali: soffiando, miagolando e sfidandosi in continuazione; in più, il mondo in cui è ambientata la storia è un mondo credibile, abbastanza simile al nostro, dove non ci sono né esagerazioni – a parte l’improvvisa inondazione che innesca il
racconto – né soluzioni narrative così assurde.
Flow è il frutto di un lavoro sperimentale, in cui sono state unite tecniche e competenze. Per questo i costi sono stati piuttosto contenuti. Nella semplicità del segno e della realizzazione, è stato possibile creare un contatto con lo spettatore ed esprimere chiaramente emozioni e sentimenti, senza scendere a compromessi sulla resa grafica e visiva. Flow, però, non va frainteso. Il fatto che Zilbalodis e le altre persone che hanno lavorato a questo film siano riuscite a fare tanto con così poco non può, e non deve, passare come una regola: è un’eccezione. È importante, semmai, provare a riflettere sulle opportunità che un budget più grande avrebbe potuto offrire.
Insomma, il punto non sono i soldi, ma è innegabile che facciano parte tanto del processo creativo quanto della storia di Flow: con più risorse, sarebbero state scelte altre soluzioni, prese altre strade e aggiunte, o eliminate, alcune sequenze. Per la media italiana, 3.8 milioni di dollari non sono pochi, anzi. PapMusic – Animation for Fashion, uscito al cinema lo scorso settembre, ha avuto un budget di circa 4 milioni di euro. E non è minimamente paragonabile, per aspirazioni, resa e qualità, a Flow.
L’animazione può essere uno strumento potente nelle mani di chi lo sa utilizzare e, allo stesso tempo, può rappresentare un limite enorme per chi non si è mai confrontato con la sua portata, le sue necessità e le sue regole. Flow è un film costruito sull’intimità: ogni scena, benché ambientata all’aperto o in mezzo al mare, coincide con una dimensione contenuta, non banale e decisamente accogliente. Lo stile delle animazioni e dei disegni è morbido, avvolgente e originale: il gatto protagonista, a volte, si esprime unicamente con il suo sguardo. È un cinema fatto di piccole cose, quello di Flow. Emozionante, intenso, ricco, si affida completamente alle immagini e al loro impatto emotivo sullo spettatore. È un cinema che non andrebbe sottovalutato, ma al contrario esaltato e valorizzato al massimo.
La decisione dell’Academy di candidarlo come miglior film straniero, insieme a titoli live action, è una decisione che ribadisce chiaramente che l’animazione non è un genere, ma un linguaggio vero e proprio. Teodora Film, il distributore italiano di Flow, lo ha riportato in sala in occasione dei Golden Globe e ancora oggi è disponibile in alcune città.