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Familia è un film necessario, perché la violenza va riconosciuta ma non la si può combattere da soli

Il 2 ottobre arriva in sala Familia, il film di Francesco Costabile con Francesco Gheghi, Francesco Di Leva e Barbara Ronchi. La storia della famiglia Celeste viene portata sullo schermo in tutta la sua crudezza, raccontando una violenza difficile da estirpare, in cui le vittime loro malgrado diventano carnefici. E questo accade perché, anche quando non si dovrebbe, si è lasciati soli.
A cura di Ilaria Costabile
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Francesco Gheghi e Barbara Ronchi, alias Luigi e Licia Celeste
Francesco Gheghi e Barbara Ronchi, alias Luigi e Licia Celeste

Nel 1877 in uno dei suoi più celebri romanzi, Lev Tolstoj scriveva: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”. Uno degli incipit più famosi della letteratura di fine Ottocento, senza dubbio uno di quelli che fa entrare il lettore con un piede nella realtà, pur restando nell’ambito della finzione letteraria. Eppure, il grande narratore russo in poco più di una riga aveva riassunto un concetto ben preciso: la famiglia è un microcosmo in cui si generano sentimenti contraddittori, in cui ci si salva, ma spesso ci si distrugge, è un luogo in cui l’omertà può avere più forza della giustizia, dove la paura si amplifica e l’esasperazione agisce al posto del coraggio, dove il germe della violenza, quando c’è, imputridisce i legami e li sfalda fino a dissolverli.

In Familia, il film di Francesco Costabile, si racconta proprio questo, la parabola esasperante e tragica della famiglia Celeste, in cui un figlio uccide il padre, un uomo violento, manipolatore, che aveva sporcato con la sua oscurità, il candore che dovrebbe- almeno utopisticamente- circondare ogni nucleo familiare. Ad oggi, un film come questo, non solo è necessario, ma diventa prezioso per capire, riconoscere, denunciare l’insidiarsi della violenza all’interno di mura che diventano sbarre, se non si agisce nei tempi giusti, se non si prende coscienza del fatto che il male va estirpato, prima che sia lui ad inglobare tutto ciò che lo circonda.

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La storia di Luigi Celeste, interpretato qui da un bravissimo, a tratti commovente Francesco Gheghi, è agghiacciante, ma insegna che la violenza serpeggia anche nei comportamenti più innocui, riesce a camuffarsi, fino al punto che sembra non esserci altra soluzione che quella di mettervi fine se non con altra violenza. Luigi è un bambino, il più piccolo di due fratelli, il più sensibile, il più ribelle, quello che quando sente i genitori litigare, quando sente le sedie strisciare sul pavimento, i mobili sbattere contro il muro, scalpita per andare a vedere cosa succede nella stanza accanto, ma suo fratello più grande, Alessandro, gli prende la mano e guardandolo negli occhi gli dice: “Non possiamo andare, quando ci sono i rumori dobbiamo aspettare”.

Una regola non scritta, che si sono impartiti da soli, per non vedere l’orrore che immaginavano si stesse consumando, perché finché non lo vedi, anche se ci sono rumori, puoi far finta che quell’orrore non ci sia. Ma c’è. Si insinua, ristagna, nella mente, nelle orecchie di due bambini che dovrebbero essere solo circondati d’amore e invece si trovano a dover combattere la paura. Ma l’inconscio è più forte di qualsiasi imposizione razionale, per cui è in un tema scritto a scuola, che la maestra si accorge che in casa qualcosa non va e convocando Licia Celeste le chiede spiegazioni: “Che ne sa lei?”, le risponde una donna stanca, distrutta, scoraggiata, abituata alla violenza, perché non sa che potrebbe esserci qualcosa di diverso.

Francesco Di Leva e Barbara Ronchi, alias Franco e Licia Celeste
Francesco Di Leva e Barbara Ronchi, alias Franco e Licia Celeste

Francesco Costabile riadatta la storia della famiglia Celeste, alcuni aspetti della realtà sono ancora più atroci di quanto si vede nel film, ma questo non basta ad evitare il disgusto nei confronti di uno Stato che dovrebbe esserci e non c’è mai fino in fondo, istituzioni che avrebbero potuto evitare il dolore e che, invece, si ritrovano a dover raccogliere i resti di una famiglia distrutta. Dopo la prima denuncia e anni in comunità che separano Licia dai suoi figli, finalmente i tre si ritrovano, ma l’ombra di Franco Celeste, gravita ancora sulle loro vite. In maniera subdola, vestendosi da vittima, dopo anni lontano, quel padre che di paterno non ha nulla, si riavvicina, cerca di nuovo un contatto, un modo per rientrare in una casa che ha sempre ritenuto sua, riappropriandosi di moglie e figli, intesi come proprietà, non persone a cui chiedere perdono.

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I ragazzi sono ormai cresciuti e Luigi si avvicina a gruppi estremisti, seguendo scorribande violente e distruttive, per mettere a tacere quell’odio che cova nei confronti di una vita che è stata crudele, senza che lui lo meritasse. Eppure, una piccola parte di sé, spera che suo padre possa redimersi e quando si incontrano, lo lascia entrare, vede uno spiraglio di luce. Francesco Gheghi è di una bravura e di una intensità disarmante, è capace di rendere con un solo sguardo la paura e allo stesso tempo la speranza che tutto quel dolore che Luigi prova, che ha visto patire sua madre, possa avere una fine. E Francesco Di Leva è altrettanto bravo nell’insinuare il dubbio che un cambiamento possa essere possibile, quando purtroppo non è mai così semplice contenere gli estremi di un comportamento violento, sbagliato, subdolo.

È così che Luigi arriva a macchiarsi di un crimine, mettendo fine ad un dolore perpetuo, ciclico, eliminandone la causa alla radice, attuando una difesa che non sarebbe spettata a lui. Uccide suo padre, pagando per un dolore che gli è stato inferto, che ha cambiato la vita di sua madre, di suo fratello, la sua.

Familia è il racconto dei Celeste, ma sono tante le famiglie che vivono un inferno senza sapere come uscirne, che si ritrovano sole e anche se sedici anni fa, non c’erano le stesse tutele di ora per chi subisce violenza domestica, sono ancora tanti, troppi i casi che macchiano la cronaca, troppe le vittime, troppi i carnefici.

Il male, una volta riconosciuto, va annientato, ma bisognerebbe avere la certezza di non essere soli per farlo.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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