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Opinioni

Com’è Aftersun di Charlotte Wells: indagine sul rapporto padre – figlia, o la ami o la odi

Ne parlano in tanti. Ed è la forse la prima volta che si registra un così grande interesse intorno a un titolo disponibile su MUBI, la piattaforma streaming di soli film d’autore. Abbiamo visto Aftersun, opera prima della regista Charlotte Wells, e la sensazione di essere annegati in un mare di ricordi personali di cui poco o nulla ci importava fa a pugni col lirismo di alcune scene che indagano meravigliosamente un magnifico e complice rapporto padre-figlia.
A cura di Grazia Sambruna
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Lo amerete. Oppure lo odierete. Aftersun, esordio alla regia della scozzese Charlotte Wells, non è un film che consente mezze misure. Disponibile su MUBI, la piattaforma streaming di soli film d'autore, la pellicola sta generando un forte hype sui social tra chi grida al capolavoro e chi… grida al capolavoro. Nel Regno Unito se ne è innamorato perfino il Guardian che, insieme a tutte le altre testate britanniche all'unisono, ne encomia senza ombra di dubbio la folgorante poesia. Di cosa parla Aftersun ed è davvero poi così imperdibile? Nel bel mezzo dello tsunami di superlativi che sta travolgendo il film, proviamo a capire come mai l'opera in esame possa risultare un'esperienza quasi catartica oppure, forse allo stesso tempo, un ottimo rimedio per contrastare l'insonnia.

Partiamo da quello che è un indiscutibile punto fermo: Paul Mescal e Francesca Corio, papà Calum e figlioletta undicenne Sophie regalano due interpretazioni magnifiche. Avvalorate forse anche dalla mancanza di doppiaggio in italiano che lascia assaporare ogni sfumatura dello squisito accento british nei dialoghi originali. Il film ruota intorno a una loro vacanza al mare, ripresa dalla videocamera della piccola. Impossibile non innamorarsi del rapporto tra i due che procede costantemente a tentoni: Calum, passato difficile, ha 31 anni, da tempo non vive più con la madre della bimba e vuole sfruttare questa villeggiatura insieme per avvicinarsi a lei, insegnarle tutto quello che sa della vita. L'impressione è che non abbia certezza di quando e se potrà rivederla di nuovo. Il suo affetto è brutale, molto pragmatico: le mostra come difendersi da eventuali aggressioni, le parla di droghe, le dice che vuole sapere ogni cosa di lei, di quello che fa e che combinerà crescendo perché nulla potrà mai portarlo a giudicarla male: "Io ho provato di tutto, non escludo che possa farlo anche tu", le confessa mentre galleggiano sul materassino ad acqua in mezzo al mare, ripresi da lontanissimo.

Sophie, di contro, è una bimbetta dispettosa, vivacissima e adorabile. Ha un'età per cui si entusiasma alla vista di un polpo molto grande o di un cavalluccio marino che le si arrotola sul dito ma, allo stesso tempo, è attratta da chi ha una manciata d'anni in più di lei e, nei bagni, discorre di misteriosi fatti, presumibilmente romantici o comunque parecchio fisici, avvenuti dietro a oscuri cespugli, di sera. Sophie vuole giocare coi maschi e batterli ai videogiochi umiliandoli. Ma forse anche baciarli, dopo. Oppure no.

Papà Calum è Paul Mescal, attore conosciuto soprattutto per il memorabile ruolo di Connell nella serie due volte nominata ai Golden Globes, Normal People, che gli ha fatto vincere un Premio BAFTA al Miglior Attore Protagonista. L'interprete ha scelto la strada più difficile per farsi apprezzare dal pubblico, quella dei film d'autore. E se risulta impossibile non riconoscerne il talento nonché la perfetta alchimia con la piccola Corio, l'impressione che Aftersun lascia è spesso quella di spiare una vacanza padre-figlia che, in fin dei conti, non ci riguarda.

Aftersun è un film semi-autobiografico che gioca sui ricordi e sull'eco che questi hanno nella memoria: tali reminiscenze possono andare a costituire intere scene con un inizio e una fine oppure solo piccoli flash frammentari che vorrebbero essere carichi di emozione. Così si struttura il film, volutamente come un puzzle a cui mancano dei pezzi e, al termine della visione, restano molte risposte lasciate in sospeso in nome del lirismo nostalgico. Ciò basta per raccontare una storia e, soprattutto, per renderla interessante? Sì e no. Se in alcuni punti verrete trascinati nelle vite dei due protagonisti, in altri la maniera della regia tenderà a soffocare la trama con inquadrature e sequenze che risulteranno forzate e difficili da seguire, per quanto squisitamente d'essai.

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L'unico modo per capire se Aftersun faccia al caso vostro, è dargli una chance. Tenendo a mente, però, il rischio gaslighting: questo film fa di tutto per porsi come qualcosa di concettuale, poetico, mesmerizzante, quasi a far sentire in difetto lo spettatore che, se si trova a non apprezzarlo, ha l'impressione di essere in torto. Di certo, si sarà perso qualche cosa per la via. Non è per forza così: una certa pretestuosità scorre impetuosa per tutta la durata della pellicola, come se la regista volesse disperatamente autolegittimarsi di scena in scena. Ma non è da dare per scontato che abbia davvero e sempre qualche cosa da dire. L'ipotesi che, di quando in quando, si scapicolli a gettare fumo negli occhi, per quanto ammantato di lirismo spiccio, è più di un sospetto.

Se vi ritroverete ad annegare in un mare di noia, potrete comunque far conto su una validissima scialuppa di salvataggio: l'ineccepibile colonna sonora che spazia dai Queen agli R.E.M., riuscendo nell'impresa di sottolineare e mai soffocare l'emozione delle scene a cui fa da sottofondo. I brani che incorniciano i goffi balli padre-figlia, per esempio, li rendono un'esplosione di tenerezza ancora più intensa, a patto di essere riusciti ad arrivare svegli fin lì. Il film chiude su un flash-forward appena accennato che potrebbe riservare una piccola sorpresa. E forse anche qualche lacrimuccia di commozione. Alla fine, Aftersun è, sotto ogni aspetto, un film personale: non essendoci binari ben definiti, ognuno si troverà libero di nuotarci con gioia o annegarci di puro tedio, a seconda del peso che vorrà dare alla malinconia, alla nostalgia, alla musica anni Novanta. Un'istantanea di un tempo bellissimo, o reso tale dalla memoria, che non potrà più tornare. Solo che non sempre vale la pena ricordare.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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