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Barbie, la recensione: il film è un distorto Manifesto del Partito Femminista

Barbie ha sbancato al botteghino quanto un Marvel. Se considerato come una commedia fatta di glitter, canzoncine catchy e situazioni paradossali, può anche funzionare, nonostante la durata XXL. Il lungometraggio, però, fa spesso l’errore di prendersi troppo sul serio, ponendosi come una specie di indottrinamento femminista che, dovesse attecchire tout court, porterebbe a un mondo ancora più dispari.
A cura di Grazia Sambruna
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“Certo che devo essere proprio alla frutta per commuovermi con Barbie”, così Valentina Ferragni via storia Instagram per recensire il film più atteso dell’estate. Barbie di Greta Gerwig è finalmente al cinema da giovedì 20 luglio e il mondo si è tinto di rosa, anche solo per andarlo a vedere. Oltre all’hype, ai meme e all’enorme battage pubblicitario che ha preceduto (e sta seguendo) l’arrivo del lungometraggio, vale la pena di sfidare Caronte e precipitarsi al cinema per la tanto osannata pellicola? Se siete fan della bambola più famosa del mondo, forse sì. Se, invece vi aspettate una commedia caciarona e spensierata, è probabile che rimarrete delusi. Per non dire anche un filo arrabbiati.

L’amore smodato che la sceneggiatura (scritta in coppia da Gerwig e Noah Baumbach, moglie e marito) per i dettagli crea situazioni divertenti e paradossali, genera battute perfette per divenire virali. Il lavoro degli attori, di tutti gli attori, dai protagonisti Margot Robbie (Barbie) e Ryan Gosling (Ken) ai comprimari (da Allan – Michael Cera all’umana Gloria – America Ferrera) è magistrale. Quel che troviamo problematico, però, è la parte di satira sociale che azzoppa l’intero film. Scherzando si può dire tutto, perfino la verità. E allora davvero il mondo sarebbe migliore senza gli uomini? Umilmente, ci permettiamo di nutrire qualche dubbio a riguardo. E qui sta la fragilità di fondo dell'intera narrazione.

Barbie è un film in cui i villain sono gli uomini. Non perché a livello oggettivo facciano qualcosa di male, ma semplicemente in quanto tali. Nell’universo “perfetto” di Barbieland, i Ken (si chiamano tutti così, ovviamente, come le loro controparti femminili) sono tutti degli imbecilli buoni a nulla. Se questo, inizialmente, provoca più di una risata, alla lunga stanca. Mentre Barbie è Presidente, medico, netturbina, astronauta, Premio Nobel… Ken è, ad andar bene, “spiaggia”, convinto pure che sia un lavoro. Muscoli, birra e risse, Ken non è nient’altro, non sa fare nient’altro. Non ha nemmeno una casa o, almeno, nessuna ha mai pensato a dove possa abitare. Non è rilevante.

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Tra le Barbie, invece, il sostegno reciproco resta sempre ai massimi livelli. Eccezion fatta per la comunque utile Barbie Stramba perché ha perso la sua bellezza reduce da un passato difficile e Barbie incinta, la freak del villaggio, considerata da tutte una specie di paria per via di quel pancione. Quando la bravissima Margot Robbie, Barbie Stereotipo, cade vittima di una insospettabile crisi di nervi nonostante la sua vita perfetta, è costretta a fare un salto nel mondo reale, insieme all’imbucato Ken che la corteggia da una vita e che lei tratta, con nonchalance e sublimi sorrisi, a pesci in faccia. Una volta lì, si misurano con questa nuova realtà, scoprendo il patriarcato. Una pessima notizia per lei, un risveglio dell’anima per lui che finalmente si rende conto di poter contare qualche cosa, anzi, volendo, di poter addirittura comandare.

Grazie all’aiuto di due umane, mamma e figlia, Barbie tornerà nel suo universo con un forte mal di testa e si ritroverà, controvoglia, a fare i conti con il temibile “patriarcato”. Ne nasce una guerra maschi contro femmine in cui i primi sono per forza scemi, le seconde per forza super smart. Per natura. Non esiste alcuna animosità né rivalità tra donne, razza superiore. Loro, che siano bambole o umane, si supportano sempre a vicenda. Non vedremo mai, dunque, alcun attrito tra Barbie veterinaria e Barbie surfista californiana. Sarebbe stato realistico, certo, ma il film tiene a ribadire come e quanto il nemico sia l’uomo. Tocca fare fronte compatto per distruggerlo. Nemmeno una storia d’amore eterosessuale è contemplata, non sarebbe un lieto fine per nessuna delle coinvolte. Non a caso la BBC tra le recensioni alla pellicola riporta anche il Daily con il suo “An anti-man movie”, un film anti-uomo. Alla stregua di una mina, praticamente.

Barbie surfa sulle istanze social più in trend di questa sciagurata epoca, ma le porta alle estreme conseguenze. Anche i momenti intimistici e riflessivi altro non sono che un becero copia e incolla delle “Migliori Frasi di Instagram” su quanto sia dura essere una donna. Tirate fuori da quel contesto, non stupirebbe ritrovarle in una qualunque pagina “boomer”, piazzate glitter su una gif del “Buongiornissimo Caffè”. Altre, invece, paiono la versione estesa del testo di Essere una Donna di Anna Tatangelo. Il messaggio del film, a prescindere dagli snodi della trama, sembra e vuole essere: aspirate a essere “ordinarie”, “donne felici di arrivare a fine giornata, possibilmente da sole e senza Ken-zavorre tra i piedi”.

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Barbie, andando oltre l’esagerazione connaturata alla satira, è un film che promuove una grande, grandissima solitudine come unico modello di vita vincente. Una solitudine estrema, quasi aggressiva, che mira a fagocitare qualunque rapporto sentimentale in virtù di un bene più grande: combattere il patriarcato. E per combattere il patriarcato, bisogna combattere gli uomini tutti, uno a uno. Illudendoli, raggirandoli e considerandoli poco più di orpelli decorativi, fin troppo spesso pacchiani e fastidiosi, perché tanto, pur non rendendosene conto, sono soltanto una masnada di inutili imbecilli.

Come Barbie cerca un proprio posto nel mondo, uno scopo che la faccia sentire intera, così anche Ken. Sarebbe stato bello, se non assai utile, che entrambi si aiutassero a vicenda a comprendere quale potesse essere la loro strada, partendo, tra l’altro, dalla stessa situazione iniziale: sono bambole, non umani. Invece no, Ken va condannato, Barbie eletta regina. Per nascita.

Barbie è un distorto Manifesto del Partito Femminista adornato con glitter, battute e canzoncine catchy. Se volete spegnere il cervello per due ore, Barbie è sicuramente il film che fa per voi. E che il “pinkwashing” vi sia lieve.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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