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Opinioni

Sanremo non è più motivo di imbarazzo

L’edizione 2022 completa un processo di ricostruzione di Sanremo iniziato circa 10 anni fa. Da Fazio a Conti, poi Baglioni e Amadeus: ecco come il Festival si è salvato da una crisi profonda, tornando ad essere un evento per tutti.
A cura di Andrea Parrella
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Non è qualche punto percentuale di share a fare la differenza, non il tempo di permanenza, il pubblico medio o quei numeri per addetti ai lavori. Il successo di questo Festival di Sanremo, che è stato da record per ascolti e riscontro di numeri tradizionali, coni dati della finale che non erano così alti dal lontano 2000,  ci dice qualcosa che va ben oltre l'aritmetica. È accaduto qualcosa fuori dallo schermo, che richiede un piccolo salto indietro nel tempo per essere compreso.

Per anni a Sanremo è mancata la capacità di intercettare il sentire comune, parlare alle nuove generazioni per costruire un dialogo tra l'evento degli eventi e coloro che avrebbero dovuto continuare a identificarlo come tale, portando avanti la tradizione. Chi ha resistito lo ha fatto per amore di una televisione che, a sua volta, non era più in grado di restituire un'immagine di sé rispettabile e in cui riconoscersi. Le colpe non erano propriamente di chi cantava o chi conduceva, precisazione doverosa per non dare l'impressione che il demerito si attribuisca a Pippo Baudo (che solo per il Dopofestival affidato a Elio e Le Storie Tese nel 2008 meriterebbe un Nobel). Si trattava di un contesto in cui qualsiasi sprazzo di novità e modernità era alieno, dunque accolto solo se trattato come tale.

La crisi del 2000 e il Festival "cringe"

Dopo quella degli anni Ottanta, la crisi di Sanremo dei primi anni Duemila è stata palese ed ha coinciso con quella rivoluzione digitale che sembrava poter distruggere definitivamente l'impianto di un evento storico che, come tutte le istituzioni, è mal visto ed esposto alla possibilità di essere abbattuto. Cantanti che parevano scongelati per una settimana all'anno senza grande aderenza con la realtà discografica, super ospiti stranieri che finivano per essere le vere attrazioni, momenti di intrattenimento enfatizzati più di quanto fosse necessario, una ricerca spasmodica della polemica per fare rumore. In una parola, che molto si confà al linguaggio della rivoluzione digitale, Sanremo per molto tempo è stato "cringe" in tutto e per tutto.

Da Fazio a Conti, passando per Baglioni

Le cose non sono cambiate da un giorno all'altro e non è al solo Amadeus che va attribuito il merito di quello che Sanremo è oggi. La partenza dei lavori di ricostruzione si può datare 2013, la prima edizione del Fazio bis, che ha valorizzato Sanremo ripartendo i fondamentali. Si è poi passata dalla fase interlocutoria di razionalizzazione nel triennio di Carlo Conti, che ha dato ritmo alla manifestazione, garantendo la sostenibilità dell'evento con una ristabilizzazione degli ascolti. Con i due Sanremo di Baglioni la svolta è stata musicale, nell'indirizzo di un'apertura verso sonorità e stili che prima avrebbero avuto difficoltà a trovare spazio a Sanremo.

I meriti di Amadeus

Quali sono i meriti di Amadeus? Il direttore artistico è stato il punto di congiunzione tra il lavoro di Conti e Baglioni. Ritmo e grande familiarità con la gestione della diretta, uniti a scelte artistiche molto diversificate. Il tutto sospinto, quasi travolto, dall'onda digitale delle piattaforme e dei social (con una pandemia di mezzo che ha ingigantito il senso di sacralità del Festival). Il fenomeno Maneskin e il bagno di folla per Mahmood e Blancosono risultante di tutto questo e niente di ciò che è accaduto è casuale, ma semmai imprevisto nelle sue dimensioni.

La sintesi è quasi brutale e meriterebbe maggiori approfondimenti, ma è importante sottolineare che è cambiata la percezione di Sanremo. Non si parla di un evento che piace a tutti, ma che potrebbe piacere a tutti. Sanremo ha smesso di essere ragione di imbarazzo, un argomento di discussione di cui giustificarsi.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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