La Mostra del Cinema di Venezia è giunta alla sua 79esima edizione e al Lido è un proliferare di divi da red carpet, proiezioni, giornalisti che cercano disperatamente di aumentare le proprie ore giornaliere pur di non perdersi almeno i titoli principali, gente che twitta. La polemica di questi giorni, quantomeno la più ricorrente, riguarda Rocío Muñoz Morales che l'organizzatore Alberto Barbera ha voluto come Madrina della kermesse. "Non se lo merita!", gridano in caps lock di qua, "Non è una vera attrice, non rappresenta il cinema, sacrilegio!", si ode di là. Senza dimenticare una buona dose di sessismo: "È lì solo in quanto compagna di Raoul Bova". Come se Raoul Bova, con rispetto parlando, fosse un collezionista di Coppe Volpi in grado di influenzare le decisioni dei vertici della Mostra agendo col favore delle tenebre.
Perché la scelta di Rocìo ha dato vita a questo stuolo di sopracciglia aggrottate e forcaiole? Si è parlato di una decisione che può confondere il pubblico, non essendo lei lì per un talento da Oscar o per particolari meriti sul campo. Il pubblico, già. Quello stesso pubblico che non va più al cinema da ben prima della pandemia, a meno che non si tratti di cinecomic USA. E che di Venezia è interessato, da sempre, solo agli outfit da red carpet. Si tratta semplicemente di un fatto e non tenerne conto è un errore per costruire una visione d'insieme valida. Rocìo, gli influencer marchetta che sfilano al Lido e il glamour sono da demonizzare oppure, piaccia o no, sussistono tra i motivi principali per cui la kermesse esiste e resiste tuttora, a livello produttivo-organizzativo? È una domanda a cui pensiamo davvero sia arrivato il momento di rispondere.
Rocío Muñoz Morales, partiamo da lei: nata e Madrid e compagna di Raoul Bova dal 2013, in curriculum ha alcuni progetti televisivi in patria. Nel 2015 sale sul palco del Festival di Sanremo nel ruolo di "valletta" al fianco di Carlo Conti. Dal punto di vista cinematografico, esordisce sul grande schermo nostrano nell'anno del Signore 2012, grazie alla pellicola di Paolo Genovese Immaturi – Il viaggio. Poi la vediamo nel cast di una serie di titoli minori, ma anche diretta da Neri Parenti (Natale da Chef, 2017) e in tempi più recenti recita in Tre Sorelle di Enrico Vanzina, colonna sonora di Umberto Smaila. Nel mezzo, pure un terribile spot tv, Calabria, Terra Mia, per la regia di Gabriele Muccino che ebbe l'unico merito di far protestare l'Italia intera per superficialità e cliché. Siamo davanti a un curriculum piuttosto fiacco? Impossibile negarlo. Tenendo conto che, in ogni caso, la madrina non deve interpretare un ruolo ma "semplicemente" condurre la serata d'apertura e quella di chiusura della kermesse.
Vero è che da sempre (la figura di madrina – o padrino – della kermesse è stato introdotta nel 2000) si sono avvicendati nomi di gran pregio per rilevanza nostrana come internazionale. Basti pensare agli ultimi dieci anni: Kasia Smutniak, Eva Riccobono, Luisa Ranieri, Elisa Sednaoui, Sonia Bergamasco, Alessandro Borghi, Michele Riondino, Alessandra Mastronardi, Anna Foglietta e Serena Rossi. In tutto questo tempo, non c'è mai stata una polemica riguardo alle scelte, fatta salva Eva Riccobono che, scelta per la 70° edizione, provocò qualche colpo di tosse social perché più modella che attrice tout court. Quest'anno, però, il malcontento è salito al cielo, dunque all'orecchio di Alberto Barbera che ha voluto rispondere per sedare i ronzii intorno a Rocìo:
Ho incontrato diverse attrici, come faccio ogni anno, per capire quale poteva essere la soluzione migliore per questa edizione della Mostra. Rocío, che non conoscevo personalmente, mi ha conquistato per la sua simpatia, l’allegria, il carattere estroverso, la passionalità. La scelta è stata relativamente facile. L’ho chiamata e anche lei ha reagito con lo stesso entusiasmo di Serena Rossi dell’anno scorso.
"Simpatia, allegria, carattere estroverso, passionalità", dice il Direttore. Senza, è un fatto, citare il talento dell'attrice spagnola. Fa così scalpore, però, che nel 2022 la madrina della Mostra del Cinema di Venezia sia più un'influencer (da oltre 600K su Instagram) che una diva del grande schermo? Suona come un'eresia, ce ne rendiamo ben conto, ma il pubblico quanto interesse e curiosità ha, davvero, per i film in concorso? Quest'anno sono stati scelti titoli sulla carta sopraffini e, soprattutto, il più pop possibile: Elodie debutta con un ruolo drammatico da co-protagonista in Ti mangio il cuore, Shia LaBeouf, l'ex ragazzo terribile di Hollywood interpreta Padre Pio per la regia di Abel Ferrara, lo stesso director che ha dato vita alla famigerata scena in cui Asia Argento bacia un rottweiler (Go Go Tales).
Inoltre, volano stracci tra Shia LeBouf e Olivia Wilde, un tempo la "13" di Dottor House e da qualche anno dietro la macchina da presa con titoli riconosciuti da diversi premi internazionali. A Venezia 79 la nostra presenta Don't Worry Darling con Harry Styles e Florence Pugh. Da settimane esiste un carteggio pubblico in cui LaBeouf, cacciato dal film (oppure scappato via sua sponte?) e Wilde se ne dicono peste e corna tramite interviste e post social. Infine, assistiamo al grande ritorno di Brendan Fraser (La Mummia, 1999) che è stato l'attore feticcio dei blockbuster americani fino a che Hollywood non si scordò di lui. Da lì, 20 anni di depressione ed eccessi. Fino a oggi, quando lo ritroviamo protagonista di The Whale di Darren Aronofsky (Il Cigno Nero, The Wrestler). L'interprete è arrivato a pesare 270 kg per la parte e oggi è in odore di Coppa Volpi se non di Leone d'Oro, stando alle entusiastiche recensioni dei giornalisti post proiezione. Davvero tutto ciò non è abbastanza per suscitare l'interesse del pubblico, cinefili a parte?
La risposta è che dovrebbe. Purtroppo, però, non è così. Basta seguire su Twitter l'hashtag #Venezia79 per veder discettare solo di outfit, della volgarità e "inutilità" degli influencer che calcano il red carpet, dando loro ancora più visibilità rispetto ai titoli in concorso e, soprattutto, non rendendosi conto che tali soggetti siano lì in rappresentanza di sponsor. Sponsor che rendono letteralmente possibile l'intera kermesse. Nessuno si è mai lamentato dei cartelloni pubblicitari che circondano i campi da calcio durante ogni partita, dei brand sulle maglie dei giocatori, come anche delle #adv su Instagram e della pubblicità in tv. Sì, però il cinema è arte. Bene, allora cominciamo a trattarlo da tale: andiamo in sala, innamoriamoci di titoli che ci incuriosiscono, di registi di cui sentiamo tanto parlare e non solo del Marvel Cinematic Universe.
Così stanno le cose: finché non torneremo a dare al cinema la centralità che merita, anche la Mostra di Venezia si sosterrà di madrine discutibili e dell'engagement degli influencer (che noi stesso abbiamo "creato", seguendoli). Continuare a gridare "O tempora, o mores!" stracciandoci le vesti è comprensibile ma solo se la notizia dei film in sala a 3,50 euro non avesse generato il primo flebile entusiasmo dopo mesi di binge watching sul divano.