Un bel giorno di maggio del 2022 l'Italia scoprì l'Eurovision. Oltre 5 milioni di persone hanno visto la prima semifinale andata in onda su Rai1 il 10 maggio. Tanti, oggettivamente tantissimi e molti più di quanti se ne attendessero, dato che alla vigilia lo si immaginava come un evento più caro ad addetti ai lavori e a una ristretta cerchia di appassionati. Numeri che nessuno si aspettava e che sorprendono, perché l’evento organizzato in Italia, l’effetto vittoria dei Maneskin, Diodato privato della possibilità di partecipare e la grande spinta della Rai sono tutti fattori che potrebbero indurre all'errore di considerare scontato questo successo.
Niente di più sbagliato. Sebbene non sia mancato il seguito dello zoccolo duro di Rai1 – gli over 55 erano 2.951.000 spettatori, pari al 24,9% di share – la platea della prima serata di Rai1 del 10 maggio era composta per il 38,2% (867.000 spettatori) dal target compreso tra i 15 e 34 anni e dal 43,3% per il pubblico compreso tra 15 e i 24 anni, il dato di share più alto tra tutti i target d’età.
Letti in controluce, i numeri della prima semifinale di Eurovision, solitamente serata con meno appeal tanto da essere stata spesso relegata alla messa in onda su Rai4, sembrano definire i caratteri di un nuovo nazional-popolare che sa includere i cosiddetti “giovani”, generazione di cui continuiamo a parlare come una specie protetta, da sempre il tallone d'Achille della prima rete del servizio pubblico, che ha grandi difficoltà ad agganciarla.
La verità è che Eurovision, non solo a causa delle barriere linguistiche, appartiene molto meno al nostro tessuto culturale di quanto non valga per altri paesi europei. Per anni è stato di fatto assente dal dibattito italiano, a differenza di quanto accadesse oltre confine, dove la visione dell'evento è prassi. Lo aveva spiegato bene Mika, in conferenza stampa, lasciando intendere che Eurovision oltremanica alimenta il contrasto di posizioni tra favorevoli e contrari tipico di un'altra manifestazione che noi conosciamo bene: Sanremo.
Il Festival, al quale in realtà Eurovision si ispira, è un elemento costitutivo della cultura di questo paese. Un’occasione unica e senza eguali nel mondo, che ha sempre oscurato la competizione internazionale, confinandola ad un ruolo secondario. Non è un caso che l'Italia abbia rinunciato più volte a partecipare negli anni Ottanta, prima per scarso interesse nei confronti della manifestazione, poi per problemi interni alla Rai. In entrambi i casi, evidentemente, Eurovision non si riteneva necessario.
Facile capire, dunque, lo scetticismo della vigilia, così come è intuibile che il successo e l’interesse per Eurovision 2022, oltre che per l’enorme spinta mediatica della Rai, sia anche figlio dell'evoluzione di Sanremo, in un salto che va da Conti, passa per Baglioni e arriva ad Amadeus. La manifestazione si è dimostrata capace negli ultimi anni di decodificare e interpretare nuovi linguaggi, non solo musicali, ritrovando freschezza, smettendo di essere motivo di imbarazzo e pensandosi in continuità con un evento di respiro internazionale come Eurovision.
Diodato, i Maneskin, le enormi energie spese dalla Rai, la conduzione di tre punte di diamante come Mika, Pausini e Cattelan, così come gli ascolti della prima serata sono di questa metamorfosi (e di questo successo incredibile) il prodotto, non le cause.