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La lezione (e la retorica) dell’Eurovision 2022: fermeremo i proiettili grazie alla musica

Eurovision 2022, l’Italia si riappropria finalmente di un grande show che aveva dimenticato e sulla vittoria dell’Ucraina, citando Valerio Lundini: “non servono le armi o la politica, più di qualunque proiettile è potente la nostra retorica”.
A cura di Grazia Sambruna
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L’Eurovision Song Contest è, da che se ne abbia memoria, una grande, adorabile caciara. In assoluto l’evento non sportivo più seguito nel Vecchio Continente si tratta di uno show in cui 40 Paesi dell’UE e dintorni (insieme all’Australia) si danno battaglia per raggiungere la finalissima e portarsi a casa l’ambito microfono di vetro in palio che comporta l’onore e l’onere di organizzare la kermesse in patria l’anno successivo.

Nonostante lo scetticismo iniziale, Torino e il suo Pala Alpitour sono stati in grado di mettere in piedi grande soirée  che nulla hanno avuto da invidiare alle edizioni precedenti, anzi. Peccato solo che all’Eurovision Song Contest 2022 sia mancato il Contest, ovvero la gara: milioni di telespettatori si sono ritrovati infin beffati dalla retorica.

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Verso l’una di notte, il televoto stabilisce, in barba alla scelta del grand jury di qualità che le aveva preferito la Gran Bretagna, la vittoria dell’Ucraina con la sua Kalush Orchestra e il brano Stefania. Un trionfo sicuramente più politico che musicale: l’Europa ha voluto dare un messaggio di solidarietà e pace al Paese tuttora falcidiato dai bombardamenti russi. Se l’intenzione di per sé suona più che nobile, nei fatti i milioni di telespettatori sono rimasti a bocca asciutta. O meglio: piena di un risultato che si sapeva già dall’inizio, ancor prima di sentire le canzoni partecipanti. Una vittoria comunque "utile" alla situazione geopolitica internazionale quanto le Miss Italia che sognano la pace nel mondo.

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Stefania della Kalush Orchestra ucraina non è un brutto pezzo e non ha rubato niente a nessuno, soprattutto perché in gara quest’anno non è che ci fossero proprio solo bignè tra brani senza identità che parevano cover brutte di pezzi belli eseguiti con la tradizionale, quasi lisergica voglia di strafare: abbiamo visto la Spagna wannabe “Gennifer Lopez da disgaunt”, rumeni travestiti da toreri in latex tempestati di volant, la Finlandia in cosplay da vittima di Pennywise e così tante altre trashate su quel palco che al solo pensiero, verrebbe facile ribattezzare lo show Eurocorrida Song Contest. 

Del resto, è così da sempre: per partecipare esiste un tacita selezione all’ingresso che suddivide le aspiranti canzoni in gara in due precise categorie, ossia “Lagna” oppure “Circo”. Chi porta la lagna, in genere, ha una voce da far rimanere muta Mariah Carey a Natale (si sentano Sam Ryder della Gran Bretagna o Nadir Rudamli dell’Azerbaigian). Quelli che invece, e sono la maggior parte, gareggiano nella categoria circo la buttano in caciara con performance roboanti, pifferi, tori meccanici, strampalate coreografie, luci strobo e acrobazie nella speranza che in tutta questa bagarre nessuno noti la canzone. Eppur, si nota. Come ha dolorosamente scoperto sulla propria pelle un certo Achille Lauro "da San Marino".

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La nostra Brividi di Mahmood e Blanco ha risentito dell'emozione, nulla ha potuto nemmeno l'autotune con le stecche dei nostri eroi. E, per quanto fosse impossibile bissare la vittoria, è stato un malus non da poco su un palco così prestigioso.

Palco per cui tutti gli altri concorrenti hanno dimostrato il giusto rispetto ossequioso: al netto del fatto che le esibizioni non siano state sempre perfette, chiunque abbia calcato la scena lo ha fatto come fosse la serata più sacra e importante della vita, trasmettendo emozione ed entertainment come riflesso incondizionato della propria stessa tigna, dell’orgoglio di essere lì a rappresentare il Paese natìo.

Come il super ospite Damiano David dei Maneskin che si è esibito, non l'avrebbe fatto nessuno, nonostante la dolorosa distorsione alla caviglia. Due brani live, una stoccata alla Francia per la polemica sulla droga dello scorso anno e via nel dietro le quinte a cercare dell'antidolorifico equino. Pala Alpitour? Ahi, ahi, ahi. Momento televisivo potentissimo.

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L’Eurovision Song Contest 2022 made in Italy è stato, comunque, una triade di serate pressoché magistrali, fatta salva qualche gaffe tecnica (per esempio i collegamenti con le delegazioni straniere in patria, più di una volta saltati), grazie anche alla fluidissima conduzione di Alessandro Cattelan, Laura Pausini e Mika e ai commenti in voice over dell'irrefrenabile Cristiano Malgioglio, innamorato di ogni concorrente bono in gara (quindi, di tutti).

Poco importa, poi, se l’evento si sia concluso come aveva inconsapevolmente previsto Valerio Lundini dal palco del Concertone del Primo Maggio con il parodico inedito “La guerra è brutta” che incitava a suonare invece di bombardare perché “non servono le armi o la politica: più di qualunque proiettile è potente la nostra retorica: ogni salvezza è sempre e soltanto la musica”. Ognuno è libero di giubilare per ciò che crede, ma quello che è successo è solo che una band di ragazzi ucraini è venuta a suonare in Italia tornando a casa con un microfono di vetro. Per il resto, e qui sì che c'è da festeggiare: l'Italia ha finalmente riscoperto un evento che per anni aveva scelto di ignorare. Abbiamo un nuovo Festival di Sanremo, ma con più budget e un livello trash che sfiora l'iperuranio. Il cielo è azzurro sopra Torino.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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