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Ogni Sanremo è cartina tornasole della società italiana. È fotografia del momento. Considerato che al Festival è stata già data la patente antifascista, sgombrato il campo dalla minaccia dei rigurgiti, non c’è paura di dire che la direzione di Carlo Conti sterza verso uno stile più sobrio e contenuto. Credevamo che Amadeus fosse il Pippo Baudo dei nostri tempi, solo perché per cinque anni ha condotto e diretto lui. Ci sbagliavamo. Il Pippo Baudo dei nostri tempi, lo sapevamo già, è proprio Carlo Conti.
Una prova? Le esibizioni si caratterizzano per asciuttezza e compostezza, anche quelle che salgono di tono e temperatura lo fanno restando nelle logiche della performance come nel caso di Serena Brancale, segnando un distacco dagli eccessi più teatrali e persino barocchi delle edizioni precedenti. Basti pensare, uno tra tutti, alla trasformazione netta di Achille Lauro, lontanissimo dall'androgina aura esibita nei suoi Festival precedenti. Ora, sul palco dell'Ariston ci sale per la prima volta vestito come un maschio bianco etero cis, e sembra puntare addirittura dritto alla vittoria finale.
Un elemento significativo è l’assenza di messaggi politici espliciti nelle canzoni in gara. I testi si concentrano sui sentimenti universali e sulle emozioni personali, in letteratura si direbbe “autofiction” e in alcuni casi “storie di tinello”, evitando tematiche socialmente controverse. Questo non necessariamente rappresenta un impoverimento artistico – alcuni brani mostrano infatti una notevole qualità compositiva, vedi Lucio Corsi – ma certamente segna una direzione diversa rispetto al passato. La canzone di Simone Cristicchi è una di quelle che ci rimette tutti al mondo. Qualcuno storce il naso, ci vede un modo furbo di mettere le mani nel cuore degli spettatori. Ma cosa deve fare un artista se non questo? Curiose le esibizioni di Fedez e Tony Effe, anche loro assai lontani dagli alter ego esibiti anche solo una stagione fa. Gli artisti questo fanno, si reinventano.
Insomma, è un Festival che cerca un equilibrio tra tradizione e contemporaneità, mantenendo una distanza di sicurezza dalle polemiche politiche. Questa edizione di Sanremo sembra riflettere un approccio più istituzionale e misurato alla cultura popolare. Non si tratta necessariamente di un “Sanremo di destra” in senso ideologico, quanto piuttosto di un Festival democristiano, questo sì, che cerca di navigare le acque della polarizzazione politica attuale mantenendo un profilo moderato e consensuale. Il risultato, per ora, appare equilibrato. La musica ringrazia.
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