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Opinioni

È un Sanremo di destra perche l’Italia è un Paese di destra

Non è colpa di Carlo Conti, il direttore artistico del Festival trova il punto di equilibrio per realizzare un Festival che restituisce la fotografia di un Paese in cui i conservatori sono più dei progressisti. Non c’è nulla di strano, tranne il fatto che è come se fosse vietato dirlo.
A cura di Andrea Parrella
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Si è chiusa un'edizione del Festival di Sanremo che passerà a suo modo alla storia. C'entrano i numeri record, ma anche il rumore di sottofondo che ha caratterizzato la settimana festivaliera e quelle che l'hanno preceduta: il Sanremo sovranista. L'idea di un Festival in controtendenza con i precedenti è stato l'incubo di chi temeva andasse così, ma anche il terrore di chi ne avrebbe tratto un certo piacere.

È evidente che questo Sanremo ha guardato prevalentemente a destra, alle tradizioni, ma non è una colpa di Carlo Conti, né tantomeno di un disegno proveniente da chissà quale stanza dei bottoni. La dirigenza Rai è espressione dell'attuale maggioranza di governo, si fa di certo portatrice ed esecutrice di una chiusura verso il passato recente dell'azienda che ha avuto nei Sanremo "vivaci" di Amadeus un riferimento assoluto, ma bisogna rendersi conto che una visione di retroguardia, se calata solo dall'alto, non avrebbe avuto presa. Al contrario il Sanremo di Conti, che mette al centro molte cose tra cui tanta famiglia, corpi militari  maternità, supera il 70% di share, dimostrando di poter andare oltre i numeri esorbitanti di Amadeus e non subire alcun effetto rinculo determinato dal presunto grigiore di destra. Che evidentemente così grigio non è: sta nei bar, per le strade, sui social, di conseguenza anche a Sanremo.

L'Italia, in fondo, è un Paese di destra e non è un'accusa, ma una constataziome. Il Festival che abbiamo visto è solo il frutto di una fotografia piuttosto precisa del Paese. Per quanto si voglia combattere con l'idea di un evento di spettacolo in grado di rappresentare un popolo, quest'anno più che mai bisogna accettare l'idea che cinque serate possano rivelarci sfumature emotive di un momento storico, facendo riverberare pensieri, sentimenti, un certo modo di vedere il mondo.

Conti ha raccolto una patata bollente che la Rai gli ha consegnato ed è riuscito a bilanciare allaperfezione gli scontenti, che è la ricetta per Sanremo: non deludere, più che convincere. Lo ha fatto lasciando il suo segno su Sanremo, al di là di ogni nostalgia per il predecessore, dimostrando di avere una padronanza totale del mezzo televisivo, cosa che non era in discussione, mentre lo era il fatto che potesse essere sufficiente a domare un Festival travolto da polemiche di ogni tipo. Non ci resta che guardare a Sanremo 2026, con lui come unica certezza assoluta, perché bisognerà capire se sarà la Rai ad organizzare il Festival come da tradizione, o se si verificherà il caso clamoroso di un passaggio alla concorrenza.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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