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Festival di Sanremo 2022

Checco Zalone al Festival di Sanremo, e quel veleno di cui non avevamo per nulla bisogno

Il problema di Checco Zalone a Sanremo 2022 non è solo legato a quel che ha detto, ma anche al fatto che ha innescato ad arte una polemica di cui avremmo fatto volentieri a meno.
A cura di Maria Cafagna
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Durante il Festival di Sanremo del 2013 Maurizio Crozza si è esibito sul palco dell’Ariston con il suo consueto repertorio di satira politica. La presenza di Crozza era stata preceduta dalle immancabili polemiche sull’opportunità o meno di parlare di politica a Sanremo ma nonostante e forse proprio per il dibattito che la sua presenza aveva creato, Crozza scelse ugualmente di rimanere fedele a se stesso e fece il suo ingresso nei panni di Silvio Berlusconi elargendo soldi agli orchestrali. Erano gli anni del bunga bunga, delle Olgettine e dei processi sulle così dette “cene eleganti”, Berlusconi aveva (e ha ancora) una certa influenza sulla scena pubblica ma niente di paragonabile a quella che aveva solo pochi anni prima; l’Italia era reduce da anni ruggenti di satira davvero scomoda – talmente scomoda da essere censurata anche dal Servizio Pubblico –  ma nel frattempo erano arrivati i governi tecnici in un clima di apparente riconciliazione nazionale, imitare Berlusconi non solo non era più graffiante, ma era anacronistico, non faceva ridere. Il pubblico dell’Ariston rumoreggiò, partirono le urla, le proteste, qualche insulto, Crozza fu costretto a interrompersi e Fabio Fazio salì sul palco per cercare di sedare gli animi e consentirgli di terminare l’esibizione che si svolse e si concluso in un clima glaciale e strappando poche tiratissime risate.

Ieri dopo aver visto il monologo di Lorena Cesarini e lo sketch di Checco Zalone sulle pari opportunità, mi sono sentita esasperata come quelle persone che nel 2013 protestavano contro Crozza al teatro Ariston. La prima serata del Festival era stata un successo non solo dal punto di vista degli ascolti ma anche del ritmo, che si era mantenuto costante e sostenuto con poche sbavature. Questa volta no: Cesarini dopo essersi profusa in ringraziamenti nei confronti di Amadeus, ha fatto un lungo monologo sul razzismo. Prima e dopo quel monologo, Cesarini ha fatto poco altro: non ha cantato, non si è esibita, non ha letto nemmeno la classifica generale al termine della serata, un po’ come se anziché scrivere un articolo, io usassi lo spazio a mia disposizione per ringraziare il direttore del giornale che mi ospita e raccontarvi come sono arrivata a scrivere per Fanpage. Il ruolo che Lorena Cesarini ha scelto per se è stato quello di monologhista e nulla più, un monologo a braccio durato un tempo che a casa è parso infinito e non a caso: se i blocchi non vengono scritti, pensati, ragionati, il risultato è quello lì.

Poco dopo il monologo di Cesarini è arrivato sul palco dell’Ariston Luca Medici nei panni di Checco Zalone, a cui non si può certo imputare di non aver preparato il suo numero. Zalone sceglie di partire dalla galleria vestendo i panni del populista che sta in mezzo alla gente, il teatro è in delirio, tutti gli applausi sono per lui; quando sale sul palco, spariglia le carte e mette alla berlina tutti i cliché del Festival buonista di Amadeus, dai monologhi sulle infanzie difficili alle co-conduttrici laureate. Poi annuncia di voler parlare di diversità attraverso una moderna Cenerentola ambientata in Calabria e lì, anche lo spettatore più sprovveduto sa che si sta per entrare su un terreno scivoloso. Zalone non solo sceglie di imboccare quel sentiero, ma decide deliberatamente non di scivolare ma di fare un capitombolo. Per parlare di diversità, Zalone mette in scena alcuni dei più comuni cliché transfobici:  la persona trans in questione è una prostituta brasiliana, si scherza sui suoi genitali, si parla di lei al maschile e alla fine del racconto la morale è che siamo tutti ipocriti perché prendiamo in giro le trans ma intanto andiamo a prostitute. Applausi.

Durante e dopo il numero di Luca Medici, sui social network e nelle case di milioni di persone è nata la telefonatissima polemica tra chi si è sentito offeso o offesa dalle parole di Zalone e chi difendeva il diritto di satira, tra chi ha trovato divertente quei cliché e chi li ha condannati, tra chi dice che non si può scherzare su una minoranza oppressa e quelli che non si può più dire niente. Nello stesso momento, solo ventiquattr’ore prima, negli stessi luoghi fisici e virtuali si parlava delle canzoni, di Fiorello, di Amadeus, il clima era decisamente più disteso di quello che si respirava dopo l’esibizione di Luca Medici. Nel frattempo i cantanti e le cantanti continuavano a esibirsi ma l’attenzione non era più per loro: altro che musica e il resto scompare, il resto si era mangiato la scena che spettava alla musica.

Il bello di Sanremo, specie di queste ultime due edizioni che hanno avuto la sfortuna di svolgersi nel corso di una pandemia, è che per qualche ora il pubblico a casa e il pubblico dei social ha avuto la possibilità di concedersi qualche momento di svago. Sanremo, lo diciamo ai detrattori, è bello proprio per questo: cantare, sgolarsi, lasciarsi andare a melodie facili e a parole d’amore, ha un suo potere taumaturgico. Pensate soltanto al grande successo di Musica Leggerissima del duo Colapesce e Dimartino: quel brano non era solo una canzone orecchiabile, era un grido d’aiuto, un bisogno di bellezza facile e accessibile in un momento cupo e malato. Musica Leggerissima sarà sempre attuale proprio per questo, perché nei momenti di difficoltà ognuna e ognuno di noi sa che ci sarà un disco o una playlist ad accompagnare quei sentimenti vuoi per assecondarli, vuoi per tirarsi su il morale.

Scusate se la metto sul personale il direttore (che ringrazio, come insegna Cesarini) mi perdonerà, ma io non ce l’ho con Zalone per quello che ha detto, ma perché ha scelto volutamente di rovinarci la festa portando zizzania. Volevamo solo cantare, volevamo solo divertirci, non avevamo voglia di niente se non di musica leggera, anzi leggerissima, parole senza mistero, allegre ma non troppo. Ieri queste sue incursioni al veleno ci hanno rovinato la festa. Peccato, in fondo avevamo bisogno soltanto di ridere.

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Maria Cafagna è nata in Argentina ed è cresciuta in Puglia. È stata redattrice per il Grande Fratello, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Che ci faccio qui di Domenico Iannacone ed è stata analista di TvTalk su Rai Tre. Collabora con diverse testate, ha una newsletter in cui si occupa di tematiche di genere, lavora come consulente politica e autrice televisiva. -- Maria Cafagna   Skype maria_cafagna
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