Carolina Crescentini: “Per la gente sono cagna o zoppa. Paola in Mare Fuori può dare ancora tanto”
Carolina Crescentini è "quella di" tante cose. L'elenco di titoli fortunati, formula generica attraverso cui si sintetizza generalmente la carriera di un'interprete, nel suo caso dà come risultato una lista lunga di film e serie Tv che hanno segnato il suo percorso in modo significativo. Da Notte prima degli Esami a Boris, passando per I Bastardi di Pizzofalcone e Mare Fuori (a breve via alle riprese della quarta stagione), Crescentini ha accostato il suo volto a titoli che in alcuni casi non sono stati solo un successo, ma hanno rappresentato momenti di svolta significativi per l'industria dell'audiovisivo. Ne abbiamo parlato con lei in una lunga intervista nella redazione romana di Fanpage.it.
Carolina, la tua carriera incredibilmente prolifica è segnata da alcune tappe cruciali, titoli rilevanti che risultano prevaricanti su tutto il resto.
Ci sono titoli ai quali la gente si è affezionata di più. A me fa ridere il fatto che io o sia la cagna o la zoppa (ride, ndr), però ci sono personaggi che hanno evidentemente qualcosa di più forte e lasciano il segno, ma la cosa interessante è che si tratta quasi sempre di lavori di gruppo. I Bastardi di Pizzofalcone, Mare Fuori, in cui dei giovanissimi si mescolano ad interpreti adulti, Boris, un gruppo con personalità differenti, unite dalla grandissima voglia di cazzeggiare. Ci sono titoli con più forza, altri che magari amo ugualmente e che la gente, prima o poi troverà.
Non ti infastidisce che alcune cose vengano, in qualche modo, oscurate da altre?
Non può essere disturbante, perché il pubblico sceglie. Se decide di affezionarsi di più a un determinato personaggio, non ha senso arrabbiarsi. In ogni caso bisogna essere felici.
Tra Boris e Mare Fuori trovo un'analogia particolare, sono entrambi successi enormi che, in qualche modo, non avevamo visto arrivare.
Sì, in punta di piedi. Quando abbiamo iniziato Boris pensavamo fosse solo per noi, ma ridevamo così tanto sul set che eravamo certi qualcuno avrebbe prima o poi colto lo spirito. La voce si è sparsa solo col tempo dando vita a una vera e propria comunità, sono nati i cosiddetti "borisiani". Di recente è ripassata su Netflix intercettando una nuova generazione che ha scoperto questo mondo esasperato e folle che, lo sostengo da sempre, è in realtà un documentario. Per Mare Fuori stessa cosa, è uscito piano piano, ma ci sono persone che mi scrivono di averlo visto dalla prima stagione in Tv. È diventato più largo tramite una serie di vari passaggi, ma non importa quando esplode, ma quando venga visto.
Si è creata una sorta di ponte tra il pubblico prevalentemente giovane di Mare Fuori e il target differente di quello di Boris.
Sì, è accaduto proprio durante il lockdown, avevo i social letteralmente intasati. È curioso che, anche per questa ragione, dopo dieci anni ci sia stata questa rinascita di Boris che ci ha portati a fare la quarta serie. Non è stata solo emozionante, ma anche poetica: è cambiato il cinema, è cambiata la televisione, è cambiato il mondo e siamo cambiati anche noi.
Parliamo dell'uscita di Paola da Mare Fuori. Non credi sia prematura?
Non so se si tratti della chiusura di un ciclo o meno e non so se tornerà, ma credo che Paola possa dare ancora molto alla serie. Lei ha avuto un arco narrativo personale molto forte, quello di donna ferita dalla sua vita che si catapulta in una realtà che non conosce se non a livello teorico e le manca l'esperienza, l'empatia. Quando pensa di poter gestire tutto con regole e disciplina, viene contaminata dagli occhi di questi ragazzi. Prima dal rapporto con il chiattillo (Nicolas Maupas, ndr), che continua a parlare di incidente, ma che in realtà ha commesso un omicidio. Lei sa che lui non proviene da una famiglia criminale, un contesto che ti priva di possibilità, quindi lei si incaponisce. Il personaggio che le fa fare il twist definitivo però è Naditza, una ragazza rom che preferisce stare in carcere che a casa sua, perché lì è molto più libera.
Quindi cosa accade a Paola a quel punto?
Trova una qualche strana aderenza in Naditza, il suo modo di fare la pone in bilico, le smonta le serrature. Piano piano, molti altra ragazzi arrivano a toccarle il cuore e lei cambia in modo radicale.
Sul finire della terza stagione viene sostituita dal personaggio di Sofia Durante (Lucrezia Guidone, ndr) che, seppur diverso, somiglia molto alla Paola degli inizi per l'indisponibilità a calarsi nelle dinamiche emotive dell'Ipm.
Paola ha commesso molti errori nella sua gestione, però si è affezionata a questo credo accada a chiunque lavori in un contesto di quel tipo. Ho spesso pensato a un film recente, AriaFerma, in cui detenuti e guardie carcerarie in realtà sono tutti lì dentro. Anche se si può tornare a casa la sera, quel lavoro te lo porti fuori, perché lì è un covo di emozioni, di gioia e frustrazione, c'è tanta angoscia. Ho parlato con molti ex detenuti, chi riesce a prendere un diploma, chi a imparare un mestiere, ma il reinserimento è tosto e su questo forse si dovrebbe riflettere, la società è poco preparata al reinserimento di queste persone. Per questo chi lavora in quei contesti porta con sé il lavoro a casa, la preoccupazione di stare vicino a queste persone.
In Mare Fuori c'è un tentativo di fusione tra napoletano e italiano che, al netto di alcuni errori, è molto profondo e addomestica il pubblico generalista a una nuova esperienza linguistica.
Se non fosse stato così avresti tolto verità, ho notato gli effetti di questa cosa anche su di me e il mio personaggio. All'inizio di Mare Fuori si dava per scontato che Paola comprendesse quello che i ragazzi dicevano in napoletano, dopo tre anni io comprendo. L'altra volta ero al cinema a vedere un film ambientato a Napoli, gli attori dicono una cosa in napoletano stretto e chi era di fianco a me mi chiede cosa abbia detto: gliel'ho tradotta. Non lo parlo ancora, ma ogni tanto mi parte. Poi va detto che Napoli ha un doppio filo per me…
Come mai?
La prima posa della mia vita che non fosse un corto una pubblicità è stata lì. Era "La Squadra" e mi successe una cosa incredibile. Venne a prendermi un driver, nessuno mi conosceva, facevo un ruolo piccolissimo. La legge di Murphy vuole che mi salga la febbre a 39, deliravo. Lui la sera, senza che nessuno glielo avesse chiesto, si presente alla reception con le aspirine e il brodo della moglie. Questa cosa me la ricorderò a vita perché quando torno per I Bastardi di Pizzofalcone, un driver viene a prendermi e mi chiede se sia la prima volta a Napoli. Gli dico di no, gli racconto questa storia e lui sbianca: era il fratello. Insomma, Napoli sarà un gran casino, questo lo sappiamo, ma a me piace.
Di recente hai avuto a che fare con molti attori e attrici giovani ed esordienti. L'impressione è che quel connubio di social e serie Tv abbia reso questo lavoro più accessibile di un tempo. È così?
Direi che è più ciò che pensa chi guarda. Il numero degli attori è ampiamente superiore al numero di ruoli a disposizione. Però va detto che ci sono talenti naturali giovanissimi che ora stanno esplodendo, ma perché se lo meritano, questo va detto.
In loro c'è la stessa sensazione di irraggiungibilità del sogno che avevi tu agli inizi?
Direi di sì, però allo stesso tempo il sogno ti dà una determinazione fortissima e una gran disciplina. È chiaro che fuori dal set di Mare Fuori vedi orde di persone e questa cosa può farti perdere la bussola, però in realtà loro sono centrati, perché alcuni tra loro che non erano attori non vogliono tornare a ciò che erano prima.
Quindi non percepisci un cambio genetico nella professione di attore.
Quando due anni fa sono stato in commissione al Centro Sperimentale per i provini di recitazione, ho notato una grande differenza con la mia generazione. Noi eravamo più sporchi e del tutto inconsapevoli della macchina da presa, mentre loro sono del tutto consapevoli di essere inquadrati, ovviamente per via dei social. Per questo hanno un atteggiamento di movimento davanti alla macchina che mi ha fatto effetto: da un lato può essere un vantaggio, dall'altro far perdere in istinto. L'estensione del braccio, quella protesi con cui andiamo in giro, inquadra te. Se devi essere un personaggio non stai così comodo, perché hai una serie di circostanze date che non ti fanno stare comodo. La consapevolezza della macchina da presa può aiutare, ma devi stare in un iter emotivo che non ha niente a che fare con la diretta Instagram.
Grosso guaio all'Esquilino – La leggenda del kung fu, è il nuovo film di cui sei protagonista. Di che si tratta?
È un film che credo piacerà molto a bambini e adulti, quando l'ho letto pensavo a quei film che da ragazzina mi sono rimasti in testa. Parla di due ragazzini che vanno alle medie e hanno problemi seri di bullismo, vivono in una parte di Roma multietnica. Sono molto appassionati di film di kung fu e si ritrovano ad avere a che fare con una vecchia star di un solo film di kung fu, interpretato da Lillo, cui chiedono di allenarli per difendersi dai bulli. Ovviamente il personaggio di Lillo è un cialtrone, non è in nessun modo un maestro di kung fu, però è buono. Io sono la madre di uno dei ragazzi che lavora in un ristorante e allo stesso tempo insegna in una associazione per migranti. Lei è anche una madre single e inizialmente osteggia questa amicizia dei figli con Lillo, fino a quando non la accetterà capendo che lui è un buono.
È una commedia pura?
Sì, ma con dei temi su cui riflettere, il bullismo in primis e anche la questione multietnica, perché viene rappresentata una comunità totalmente fusa in questo senso, che mi fa pensare al tema dello Ius soli. Trovo assurdo non ci sia, sono i nostri politici a farsi problemi che non esistono, mentre la società è prontissima.
Quello della commedia è il codice in cui ti senti più a tuo agio?
In realtà io sono totalmente scissa tra commedia e dramma, perché credo di essere proprio così: ironica e amante del cazzeggio, ma ho anche la necessità di un'emotività invadente. Dopodiché me lo chiedono sempre se sia un'attrice di commedia o dramma, ma io sono semplicemente un'attrice e mi piace chiuderla così.
Il film sarà su Prime Video e non in sala, inevitabile una riflessione su dove il cinema stia andando e andrà.
io sono una fruitrice accanita di film e serie Tv, molte le vedo in piattaforma, però la magia che c'è in sala, il rito collettivo, sono cose che a casa non avrai mai. Va bene le piattaforme, però tocca fare attenzione a certe cose, molti ragazzi guardano le cose solo sul cellulare e questo, per dettagli come la fotografia, è una specie di peccato mortale.
Le piattaforme, in questo senso, possono fare qualcosa?
Forse bisognerebbe attendere un tempo in più tra uscita in sala e uscita in piattaforma, almeno questo, perché altrimenti tutti riterranno logico attendere la piattaforma. Non so dico i due anni che si attendevano per la Tv, ma almeno trovare una regola comune.
Quindi questa cosa del fascino della sala non è un po' da boomer? Non è una cosa lontanissima da chi il cinema dovrebbe farlo rivivere?
È lontanissima per chi non l'ha ancora vissuta. Io che ho studiato cinema in quelle sale, anche nelle più piccole, ho imparato a pensare, a crescere, diventare la donna che sono. Io credo sia una cosa che si potrebbe fare. A Roma la Sala Troisi, presa dai ragazzi del Cinema America, è sempre piena. Forse bisognerebbe cambiare qualcosa nella comunicazione, ma una comunità che si incontra in un luogo, vede un film e magari litiga, è una comunità attiva, viva e connessa con qualcosa di più grande. Io credo che il rischio, per i ragazzi, sia perdersi l'aggregazione, il guardarsi negli occhi, litigare in una modalità che non sia solo virtuale.
In Mare Fuori i ragazzi sono costretti a vivere senza la possibilità di accedere ai social. Può essere un motivo del successo?
Non ci abbiamo pensato, però è una realtà, ma lì dentro sono tutti in una condizione di privazione e l'aggregazione è il solo modo per sopravvivere a quegli anni di tensione. Motivo per il quale i rapporti che si creano in quei luoghi, proseguono anche fuori.