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Dieci Capodanni è bellissima, finalmente una serie reale che parla ai trentenni senza edulcorare l’amore

Di Dieci Capodanni, la serie spagnola diretta da Rodrigo Soroyen su RaiPlay, se ne parla da settimane e i motivi sarebbero tanti. Ma la bellezza di questa serie sta nella sua normalità, nel racconto sincero di un amore e delle sue crepe.
A cura di Ilaria Costabile
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Ci sono libri la cui struttura narrativa è incalzante e ritmata quasi come quella di un montaggio cinematografico, in cui si deve tener conto dei movimenti di camera, delle musiche, dei gesti anche più impercettibili degli attori; ci sono poi film o serie televisive che dilatano i loro tempi, si soffermano, indugiano, come accade quando si assaporano le pagine di un libro che abbiamo per la prima volta tra le mani. A vedere Dieci Capodanni, la serie spagnola diretta da Rodrigo Soroyen in esclusiva su RaiPlay, ci si sente così, come se stessimo leggendo una storia, la più normale e reale che possa esistere, ed è forse per questa immersione nella verità che è diventata un piccolo fenomeno di cui si parla e, forse, si continuerà a parlare ancora.

La vita dei trentenni nell'evolversi di una storia d'amore

Si tratta una delle poche serie degli ultimi anni che racconta il mondo dei trentenni, generazione scomparsa dal racconto seriale o descritta con dinamiche che, nel mondo lontano dagli schermi, non esistono davvero, ma sono solo la proiezione di quello che avremmo voluto fosse la nostra vita, piegata da aspettative e pressioni sociali. La storia di Ana e Oscar -i bravissimi Iria Del Rio e Francesco Carril- è una storia bella, nata come tutte le storie belle, per caso, e fatta di alti e bassi, di momenti di stasi prolungati nel tempo, di distacchi, adattamenti, di litigi, di nottate brave, ma anche di promesse non mantenute, di aspettative mal riposte, di precarietà e di progettualità che fatica a concretizzarsi sul serio.

I dieci episodi che compongono la serie, come si intuisce anche dal titolo, coprono l’arco temporale che va dal 2016 al 2024, nel quale Ana e Oscar a trent’anni suonati si incontrano la sera di Capodanno, legati già dalla coincidenza di essere nati a  24 ore di distanza, lui il 31 dicembre, lei il primo gennaio dell’anno nuovo e trascorrono una notte insieme che, poi, si rivelerà essere l’inizio ancora nascosto, della loro autentica storia d’amore. Ecco, il termine autentico descrive, perfettamente, quello che emerge nel racconto tutt’altro che sincopato della loro relazione, di cui percepiamo le sfumature, i non detti, sentiamo anche nelle piccole cose lo sfrangiarsi di un sentimento che deve affrontare la sfida più temibile di tutte: il tempo che passa.

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Guardando Dieci Capodanni si ha la percezione di essere completamente immersi in una vita che potrebbe essere quella di ciascuno di noi, una vita non romanzata, fatta di cene a casa con amici, chiacchierate con i rispettivi genitori, fatta di regali di compleanno comprati su Wallapop, di lavori da cambiare, di sguardi silenziosi e desideri sopiti in nome di una coppia da tenere in piedi. Autenticità, si diceva, e Soroyen riesce a descrive in maniera autentica anche un qualcosa che finora, soprattutto tra cinema e tv, ci appare sempre più fictionato, esagerato o all’esatto opposto, deludente, ovvero il sesso. C’è il desiderio e le sue sfumature, l’impaccio del primo incontro con una persona che non si conosce, gli incastri giusti da trovare, la disinvoltura della familiarità, c’è il gioco, c’è anche il sesso come sfogo, come arma per disinnescare la tensione, come accade allo spuntare delle prime crepe di un rapporto che sta per frantumarsi.

La fine che, non sempre, è la fine

Uno degli episodi più intensi è senza il dubbio quello ambientato a Berlino, in cui si assiste ad un dialogo rabbioso e dolente tra due persone che si rendono conto di vivere una relazione per inerzia, pur amandosi o forse pensando sia così: “Perché ca**o stai con me? Perché non mi lasci?” dice Ana stremata a Oscar che le risponde “Non ti lascio perché ti amo” e lei sfinita pronuncia una frase che squarcia lo schermo dopo la quale non può esserci che il silenzio: “Mi ami, ma non hai una sola cosa bella da dire su di me. È strano no? Tu credi di amarmi, ma non è così”.

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Da questo momento succederanno altre cose, sebbene qualcuno dica che in questa serie non succeda niente, ma la sua bellezza sta proprio nell’ordinarietà delle sue dinamiche, nella nettezza e semplicità dei suoi dialoghi (come quello sull’amore, sui figli, sulle relazioni del quarto episodio) in cui possiamo specchiarci. Ci scorgiamo, ci riconosciamo, per la prima volta possiamo vederci, come mai ci eravamo visti prima: veri. Senza stereotipi, senza romanzi, senza dietrologie. Nel penultimo episodio, ad anni di distanza dal primo incontro, Oscar ammette di essere diventato ancor più diffidente di quanto non fosse stato in passato, alla domanda sul perché sia accaduto risponde: "Lo faccio per proteggermi, credo, dai dispiaceri, dalle delusioni, se non mi illudo poi non soffro". Quante volte ci è capitato di pensarlo, quante volte lo abbiamo fatto senza ricordarci che, invece, come sentiamo dire poco dopo:

A volte per evitare il dispiacere è come se ci anticipiamo e viviamo nel dispiacere, ed è un peccato perché ci perdiamo delle cose. Fidarsi ti dà speranza e la speranza ti dà forza, fa sì che le cose accadano.

A volte ce ne dimentichiamo, non ci ricordiamo di quanto per paura non viviamo come potremmo, crogiolandoci in vecchi dolori piuttosto che, eventualmente, affrontarne di nuovi. Dieci Capodanni è una serie che parla di umanità, di dolore, di separazione e della capacità di trovarsi e scegliersi, nonostante tutto, di non distruggere un legame che è stato importante, anche se la vita va avanti e le persone con lei, cambiando, crescendo, invecchiando, ma cercando di mantenere quella purezza di sentimenti che, ad oggi, è l’unica cosa che davvero conta.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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