Gianloreto Carbone: “Ho lasciato Chi l’ha visto perché ero stanco, con Federica Sciarelli litigavamo come marito e moglie”

Gianloreto Carbone ha lasciato Chi l'ha visto? nel 2021, ma resta uno dei volti più amati e rappresentativi del programma condotto da Federica Sciarelli che si occupa della ricerca di persone scomparse. Nel corso della sua lunga carriera, si è occupato di innumerevoli casi come la strage di Erba, gli omicidi di Sarah Scazzi e Elena Ceste e il caso di Benno Neumair. Il giornalista, in una lunga intervista rilasciata a Fanpage.it, ha raccontato la sua storia, dall'incontro con Santa Clelia Barbieri che gli ha cambiato la vita al turbolento sodalizio con Federica Sciarelli, spiegando il motivo per cui c'è stata una frattura tra loro. Classe 1945, il 20 giugno festeggerà i suoi 80 anni. È in pensione da quando ne aveva 65, ma la sua vita è ancora intensa. In questi giorni è uscito il suo libro intitolato "Sì, io l'ho visto!", pubblicato da Armando Editore. Un'avvincente biografia in cui Gianloreto Carbone racconta retroscena e aneddoti inediti di una vita trascorsa al centro della notizia:
Ho iniziato a lavorare a Chi l'ha visto per provvedere alla mia famiglia, avevo bisogno di soldi. All'inizio non mi piaceva, mi sentivo perso, poi mi sono trovato in mezzo al dolore e alla disperazione delle persone e tutto questo mi ha coinvolto. Con Federica Sciarelli litigavamo sempre, sembravamo marito e moglie, ma ci volevamo bene. Poi c'è stata una frattura molto grossa, che ha rovinato il rapporto. Lo abbiamo ricostruito. A giugno compio 80 anni, quando me ne sono reso conto sono rimasto scioccato.
Il tuo nome, Gianloreto, mi fa pensare a una devozione da parte dei tuoi genitori.
È proprio così. Mio padre era in guerra e mia madre fece il voto alla Madonna di Loreto perché ce lo riportasse sano e salvo. Mi ha dato questo nome che adesso non mi crea più problemi, ma alle elementari mi dicevano "Loreto il pappagallo" e io ci stavo tanto male.
Che bambino eri?
Ero un bambino bonaccione, buono. Abitavo in un paese piccolissimo, Posta Fibreno, in Ciociaria. Ero felice, vivevo allo stato brado. Mia madre era casalinga e mio padre prima maestro elementare poi direttore didattico. Avevo 7 anni quando hanno avuto la brutta idea di piazzarmi prima in un piccolo collegio e, una volta cresciuto, dai Salesiani. Lì non stavo tanto bene, poi però l'ho superata.
C'è stato un momento di svolta nella tua vita?
L'esplosione del movimento del '68 con le lotte, le manifestazioni, gli scontri con la polizia. Sapevo che a Milano c'era un sommovimento. Io frequentavo la Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università La Sapienza di Roma e ricordo che con la giornalista Stefania Rossini occupammo da soli l'università (ride, ndr). Quello del '68 è stato un movimento che ha svecchiato la scuola, la famiglia, l'Italia e mi ha fatto avvicinare alla politica. E poi, sempre nel '68, c'è stato un altro momento di svolta.
Quale?
La scoperta del sesso. Ero ragazzetto, venivo dalla provincia, puoi immaginare quanto sesso potessi fare io (ride, ndr). E invece nel '68 ho cominciato a fare il sesso. Anche questo ha cambiato tutto.
Sognavi di fare il regista e hai lavorato con Pasolini.
Ho lavorato con lui al film Medea. E sai che facevo? Ero assistente, addetto a Maria Callas, che interpretava Medea. Avevo il mito di questa cantante che reputo la più grande per qualità canora e capacità drammatica. Pasolini mi disse: "Ti devi mettere vicino a Maria e devi fare tutto quello che ti dice, devi provvedere a tutto ciò di cui ha bisogno, cercando di non essere oppressivo".
Gianloreto Carbone, Chi l'ha visto e la sua vita a 80 anni
Come è iniziata la lunga collaborazione con Chi l'ha visto?
Dobbiamo fare un passo indietro. Nel 1983 si sono tenuti i primi campionati mondiali di atletica leggera a Helsinki e io ho realizzato il film ufficiale della manifestazione. Lavoravo ormai ad altissimi livelli. Poi, nel 1989, ho fatto un incontro che mi ha cambiato la vita. Un giorno ero in giro per Roma in macchina e ho notato dei grandi manifesti con il volto di una bellissima, giovane donna. Mi sono invaghito di lei e ho provato a scoprire chi fosse.
Sei riuscito a risalire all'identità di quella donna misteriosa?
Sì, un giorno mi sono recato in Vaticano e vicino al balcone da cui si affacciava il Papa ho rivisto il volto della donna di cui mi stavo innamorando. Era Clelia Barbieri. Mi ero invaghito di una santa morta 100 anni prima. Ho dovuto modificare i pensieri libidinosi (ride, ndr). Ho partecipato alla cerimonia di santificazione e mi sono informato sulla sua storia. Ho deciso di fare un film su di lei. Ho scritto la sceneggiatura e ho chiesto un finanziamento allo Stato per realizzare quel film che aveva un valore culturale, ma mi hanno bocciato subito.
Immagino non sia stato facile per te.
Sono entrato in una crisi terribile, una depressione profonda. Un amico, che quel finanziamento lo aveva ottenuto, mi disse di non disperarmi, perché avrei potuto riprovarci dopo due, tre anni: "Ora hai bisogno di guadagnare, perché non vieni a lavorare a Chi l'ha visto dove lavoro io?". Andai perché avevo bisogno di soldi, mi pesava che mia moglie dovesse provvedere da sola alla famiglia. Mi presero subito. Era il 1993 e avevo 48 anni. La notte che precedeva il mio primo giorno di lavoro, sognai Santa Clelia, bellissima, luminosa, mi disse di non farmi problemi, che lei era contenta e dovevo concentrarmi sul nuovo lavoro.
Ricordi il primo servizio a Chi l'ha visto?
Mi sono ritrovato in un paesino al confine con la Francia, sopra una montagna. Mi sono detto: "Ma che sto a fa' qua? Dove ca**o so finito". Mi sono sentito perso. Stavo per andarmene poi ho visto una donna bellissima che mi ha chiesto: "Ma che ci fate qua?". Le ho raccontato tutto, che era il mio primo giorno di lavoro, che volevo tornare a Roma, che ero triste. E lei mi ha detto: "Che brutto lavoro che fai". Io le ho risposto: "Non è vero che faccio un brutto lavoro, noi aiutiamo le persone". Mi ha fatto una carezza e se n'è andata. In quel momento, la voglia di andarmene è passata e ho iniziato a fare il mio lavoro. Ammetto che ho pensato che quella donna potesse essere Clelia, che è venuta ad aiutarmi perché ha visto che ero disperato.
Il rapporto con Federica Sciarelli e il motivo della frattura tra loro

Quanto è durata la tua esperienza a Chi l'ha visto?
Dal 1993 al 2021. Quando ho iniziato c'era Donatella Raffai. Se all'inizio questo lavoro non mi piaceva perché lo sentivo estraneo a me, poi mi sono trovato in mezzo al dolore e alla disperazione delle persone. E tutto questo mi ha coinvolto.
Nel 2004 è arrivata alla conduzione Federica Sciarelli.
Lei veniva dai telegiornali. Ricordo che le feci uno scherzetto. Mi sono accorto che quando guardava i servizi, se iniziavano con una musica, smanettava con il telefono, era distratta. Appena l'inviato iniziava a parlare, la sua attenzione veniva attirata e si fermava ad ascoltare. È una tipica concezione da telegiornale: è importante solo quando qualcuno sta parlando o raccontando una storia. Per dimostrarle che nel servizio tutto è importante, anche la musica che introduce il livello emotivo di una storia, ne ho confezionato uno allungando la parte iniziale con un minuto di sola musica. E lei ha capito. Poi, siccome è super intelligente, ha imparato subito.
Come è stato questo lungo sodalizio tra voi?
Litigavamo sempre. La mia compagna mi diceva: "Sembrate marito e moglie" (ride, ndr). Però il nostro sodalizio è stato buono, è vero che discutevamo ma ci volevamo bene. Poi c'è stata una frattura molto grossa, che con il tempo un po' è rientrata. La frattura è avvenuta con il caso della strage di Erba.
Cosa è successo?
Sono tra quelli che pensano che non ci fossero elementi sufficienti per condannare Olindo e Rosa Bazzi. Una delle prove che ha fatto pensare alla gente che fossero colpevoli è stata la confessione. Allora ho fatto un servizio sulla confessione e su come era avvenuta, che faceva quantomeno sorgere un dubbio. E Sciarelli era contenta. A un certo punto, ha cambiato idea. Ti spiego.
Prego.
Io avevo fatto il servizio sulla confessione e una collega aveva fatto un servizio d'appoggio su un altro particolare del caso. Federica Sciarelli disse alla collega che nel suo servizio c'era un dettaglio che non andava bene. Mi offrii di sistemarlo, ma lei non ne volle sapere: "Ormai non lo facciamo più", quindi bloccò anche il mio servizio. Pensai che glielo avesse chiesto qualcuno. Le dissi: "Capisco che hai una responsabilità, ma per rispetto dimmelo se ti hanno chiesto di bloccarlo". Lì qualcosa si è rotto, perché io ho combattuto a rischio di farmi cacciare. Questa cosa mi è dispiaciuta perché ha rovinato il rapporto con lei, però poi lo abbiamo ricostruito perché io lo so che anche lei ci è rimasta male. Sai, lei ha anche una responsabilità.
Risponde in prima persona di ciò che va in onda ed è comprensibile che debba prendere anche decisioni drastiche.
Sì, lei è la responsabile.
Quindi col tempo sei passato sopra a questa cosa?
Diciamo che io sono uno turbolento e quindi ho un rapporto turbolento con lei.
Perché Gianloreto Carbone ha lasciato Chi l'ha visto

È stata tua la decisione di lasciare Chi l'ha visto?
Sì. Tutti pensano che mi abbiano mandato via, ma fosse stato per loro mi avrebbero tenuto fino alla morte. Sono andato in pensione a 65 anni, ma ho lasciato il programma solo nel 2021.
Perché hai detto addio al programma?
Perché avevo dato tutto, ho trattato i casi più importanti. Ero stanco e infatti io non lo vedo mai Chi l'ha visto. Ma la gente mi ferma ancora tutti i giorni.
Sei consapevole di essere osannato sui social, dove ti chiamano affettuosamente Jlo o GianLo?
All'inizio questa cosa mi dava molto fastidio, la capoccia delle persone è strana. Mi vergognavo di essere al centro dell'attenzione. Invece adesso che sono più maturo, sono contento perché penso che vengo da un paesino, nessuno mi ha mai aiutato, ho fatto tutto da solo. Se la gente mi vuole bene, se la persona anziana mi ferma per strada, perché mi dovrei vergognare? Devo essere contento.
Chi l'ha visto ha affrontato anche momenti complessi. Il programma si ritrovò al centro delle polemiche quando, nel corso della diretta, annunciarono a Concetta Serrano il ritrovamento del corpo della figlia Sarah Scazzi.
Su quello credo che la conduttrice ci sia rimasta male, perché lei ci tiene a essere sempre una persona corretta. Io le parlai. Nessuno poteva prevedere quanto è successo quella sera. È precipitato tutto velocemente e si è arrivati alla conclusione del caso. Io stavo là, in diretta. Per farti capire quanto quell'esito fosse imprevedibile, solo pochi giorni prima – quando Sarah Scazzi era ancora scomparsa – avevo parlato con una delle figure chiave intorno a quel caso, con un microfono nascosto nel maglione. Dal suo imbarazzo si capiva che pensava che fosse successo qualcosa nella casa di Sabrina Misseri. Avrei voluto fare un servizio, ma non è stato possibile perché subito dopo hanno ritrovato il corpo.
Nel corso della tua carriera ti sei ritrovato a contatto con diversi assassini. Ti è mai capitato di simpatizzare con il carnefice?
Lo racconto nel mio libro. Mi capitò con Elvino Gargiulo, il "Mostro del Quadraro". Arrivò una segnalazione a Chi l'ha visto e mi assegnarono il caso. Lui era sospettato ma non c'erano le prove. Non usciva mai di casa e non apriva a nessuno. Scoprii che una donna gli portava da mangiare e con uno stratagemma riuscii a convincerla a farmi entrare in casa di Gargiulo. Era un vecchio dal volto incavato, ricordava un po' Totò e un po' Eduardo. Non stava un attimo fermo. Un teatrante dalla simpatia travolgente. Entrammo in confidenza. Quando vennero ad arrestarlo, io ero fuori a fare la diretta. Il capitano mi fece entrare in quella casa che conoscevo bene. L'assassino era vicino al letto, già vestito, pronto per uscire con il cappello in testa e la valigetta. Lo misero in macchina e lui mi guardò da dietro il vetro.
Come andò a finire?
Un anno dopo è cominciato il processo. Era dietro alle sbarre, quando mi avvicinai si alzò in piedi e mi disse: "Tu sei quella persona che quando vede qualcuno che sta giù, dice più giù, più giù". E qualche giorno più tardi mi rinfacciò le promesse che gli avevo fatto: "M'hai detto che mi facevi ridare la Vespa che mi avevano sequestrato, che mi facevi rimettere la luce e l'acqua. Ecco che m'hai dato". E io ci stavo male, perché era come se avessi dimenticato tutti i fatti terribili che aveva confessato. Ai colleghi che dicevano che avevo dato confidenza a un mostro, a un assassino, rispondevo che non sono Dio e non sono un giudice. Io cercavo di capire come era arrivato a tanto.
Gli 80 anni di Gianloreto Carbone
Il 20 giugno festeggerai gli 80 anni. Che bilancio tracci?
In linea di massima sono sereno. Non sempre, come tutti. Quando ho preso coscienza che sto per compiere 80 anni, sono rimasto scioccato per un mese. 80 anni, ma scherziamo? Per me gli ottantenni erano i vecchietti che stavano al mio paese con il bastone. Io sento poca differenza rispetto a quando avevo 40 anni.
Le tue giornate sono ancora intense.
Pensa che ho finito di scrivere un libro e ne ho cominciato un altro.
Sei sposato e hai un figlio. Che padre sei stato con lui, sei riuscito a essere presente nonostante il tuo lavoro?
Penso di non essermelo goduto, però ho avuto un rapporto buono. Sono molto orgoglioso di lui. Fa lo scrittore, il poeta e ultimamente ha scoperto di essere un pittore di valore. È un uomo di grande qualità, ha un bel cervello.
Oggi, quando vieni a conoscenza di un caso di cronaca, avverti l'istinto di occupartene come hai fatto per anni?
No, devo dire di no. Quanto ai casi di Chi l'ha visto, ancora oggi parlo con i miei ex colleghi. Mi dicono che spesso, quando c'è un nuovo caso, pensano: "Chissà come l'avrebbe fatto Gianloreto questo". E ciò mi basta.
