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I Magnifici 7, Verdelli: “Vasco Rossi è un’epopea. Oggi in un talent uno come lui sarebbe eliminato”

Giorgio Verdelli racconta a Fanpage.it suo settimo documentario dedicato al Blasco, “I Magnifici 7”, in onda su Canale 5 il 28 dicembre. Un’epopea che celebra i sette concerti a San Siro dell’estate 2023, dove il pubblico è protagonista tanto quanto il Komandante.
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Sette documentari su Vasco Rossi, l'ultimo dei quali dedicato a sette concerti consecutivi a San Siro. I numeri non mentono: Giorgio Verdelli ha costruito negli anni un rapporto privilegiato con il Komandante, raccontandone l'evoluzione artistica e umana attraverso opere sempre diverse. "I Magnifici 7", in onda su Canale 5 il 28 dicembre in prima serata, è l'ultimo capitolo di questa storia.

"È un'epopea", spiega Verdelli a Fanpage.it. "Questi sette concerti non sono solo dei concerti, come dico all'inizio è una ‘libera associazione di anime'. Sul finale, come in un thriller, c'è la soluzione del giallo". I Magnifici 7 è un documentario strutturato come un film concerto, dove per la prima volta le interviste sono tutte realizzate dentro San Siro, con Claudio Amendola narratore d'eccezione che si muove tra le gradinate dello stadio.

Giorgio Verdelli con Vasco Rossi durante le riprese.
Giorgio Verdelli con Vasco Rossi durante le riprese.

Ma la vera novità è il pubblico, protagonista assoluto insieme a Vasco. "Come gli dico sempre, io vedo le canzoni nel pubblico – vedo Sally, vedo Brava Giulia. Questa forza ce l'ha solo lui". Tra le testimonianze più toccanti, quella di una ragazza malata di cancro, scelta tra le tantissime storie arrivate dal fan club. "Ne avremmo potuto fare un libro", confessa il regista. Con uno stile che richiama i grandi documentari musicali anglosassoni, Verdelli ha costruito un racconto che parte con quaranta minuti di pura musica, per poi svelare l'intimità di un artista eterno.


“I Magnifici 7” è solo l’ultimo dei tuoi lavori dedicati a Vasco Rossi.

È il settimo. Ho fatto per Rai 2 nel 2008 il primo in prime time, si chiamava "Effetto Vasco", un concerto dall'Olimpico con riprese dall'alto, una cosa innovativa all'epoca con parti in diretta. Poi ho fatto quattro speciali per Rai 2 di "Unici", di cui uno era un collage: "Essere Vasco Rossi", "Le quattro giornate di Vasco" e "Cambiamenti". Poi per Rai 1 "La tempesta perfetta", "I sei giorni a San Siro", e questo per Canale 5. Uno su Rai 1, quattro su Rai 2 e due su Canale 5.

Come si fa a raccontare tutte queste volte un personaggio enorme come lui evitando il rischio di ripetersi?

La domanda è giusta e lecita, ed è l'interrogativo da cui sono partito. Intanto mettendoci elementi di novità. Vasco ogni tournée fa una scaletta diversa e un allestimento diverso, quindi già questo è una base. Non è un documentario sulla storia e sulla vita di Vasco, che ho già fatto con "Essere Vasco Rossi". È su questo tour, un evento stratosferico con sette concerti a San Siro. La novità è che tutte le interviste sono fatte dentro San Siro, non c'è nulla fatto fuori. C'è un narratore, Claudio Amendola, che si muove dentro San Siro. Per la prima volta ci sono tanti pezzi integrali, è quasi un film concerto.

Chi realizza un documentario con ore e ore di girato inevitabilmente deve fare delle scelte di economia. Come hai lavorato su questa tipologia di scelte? C'è qualcosa che ti è dispiaciuto tenere fuori?

In tutti i documentari bisogna privilegiare il racconto. Qui avevo un problema tecnico più televisivo: dovevo fare un blocco unico come documentario con inizio e fine, ma tutti i blocchi sono quasi dei piccoli documentari con un inizio e una fine. Questa cosa mi è costata molto lavoro di rifinitura, trovare una frase, una storia. Ma il vantaggio è che ha un pubblico talmente bello che è lui stesso spettacolo. Come dico a Vasco, io vedo le canzoni nel pubblico – vedo Sally, vedo Brava Giulia. Quella è la forza del pubblico e ce l'ha solo Vasco Rossi, non c'è un altro artista che ce l'ha così. Forse Renato Zero, ma in modo diverso.

Ecco, hai parlato del pubblico. C'è una storia che mi ha colpito, quella della ragazza colpita dal cancro. 

È meravigliosa quella storia, ci ho tenuto molto. C'è stato un grande lavoro non solo mio. Abbiamo lavorato bene col fan club di Vasco e tutta la mia squadra di co-autori, redazione e consulenti. Ho chiesto di selezionarmi delle storie e ne sono arrivate tante – ci si potrebbe fare un libro. Purtroppo ho dovuto sacrificarne alcune per questioni di tempo. Non volevo cadere nel pietismo gratuito, questa aveva una forza e un'energia bellissima. Abbiamo dedicato ancora più attenzione che ai VIP perché ovviamente queste persone non erano abituate.

Sbaglio o questo è il documentario su Vasco del recente quinquennio che dura un po' di più? Vi hanno dato più spazio a Mediaset o è stato concepito diversamente?

È stato concepito diversamente. Quando ne abbiamo parlato, non ci siamo dati limiti. Montando mi sono accorto che c'era abbastanza materiale e i dirigenti Mediaset mi hanno dato libertà assoluta.

Ho l'impressione che Vasco Rossi sia l'ultima rockstar per eccellenza per la quale si può scomodare l'aggettivo "eterno". Non si immagina una vita, un'estate, una stagione senza un concerto di Vasco Rossi.

Questa cosa la dice Vasco Brondi nel documentario in modo diverso. Lui dice che Vasco riesce a metterci un anelito dell'eternità nelle sue storie provinciali. Questa è la sua forza. La sua è stata un’epopea.

Quali analogie vedi tra Vasco e Pino Daniele?

Hanno avuto successo per caso, non cercandolo. A un talent oggi sarebbero eliminati subito. Avevano riferimenti musicali diversi ma si stimavano. Hanno collaborato in "Hai ragione tu" nel disco "Gli spari sopra". Alessandro, figlio di Pino, era un grande fan di Vasco. Quando Vasco andò a trovare Pino con Rovelli, loro manager comune, Pino disse "Finalmente sei venuto, mio figlio ascolta i tuoi dischi". Vasco è sempre stato molto generoso.

Nel 2016-2017, con le piattaforme, il genere documentario è esploso. Come lo vedi ora?

Il pubblico si sta abituando al linguaggio che ho sempre usato. Prima dicevano che un documentario in prima serata era follia. C'è forse troppa offerta. Per Vasco va bene, ha 150 canzoni di successo. Il problema è fare documentari su chi non ha una storia da raccontare. Io mi formo guardando molto materiale anglosassone, penso alla bella serie dedicata a Robbie Williams su Netflix.

In effetti, la struttura de “I Magnifici 7” mi ha ricordato le VHS degli anni '90 dei grandi artisti con la prima mezz'ora di pura musica e poi la seconda parte fatta di approfondimento.

Esatto. È uno stile anglosassone, anche se non era voluto. Mi piaceva però l’idea di dare prima il piatto principale, con quaranta minuti di musica, e poi il dolce alla fine. I miei documentari hanno sempre la curva in salita, guadagno pubblico invece di perderlo. È un modo di fare anche teatrale, dove il bis sta alla fine. L'ho fatto anche con Pino Daniele. Sono prima di tutto uno spettatore di quello che faccio, cerco di fare quello che vorrei vedere.

A proposito di curve. Com’è il tuo rapporto con l’Auditel?

I numeri sono importanti ma non fondamentali per il tipo di prodotto che faccio. “I Magnifici 7” andrà a impreziosire la library di Mediaset. Per il resto, non siamo in concorrenza con il Grande Fratello o con qualsiasi altra cosa ci sarà in televisione. L’importante è che questa cosa piaccia all'artista e ai fan di Vasco. Loro stanno già organizzando le tavolate per il 28, è una cosa che mi onora molto.

Verdelli sarà presto ospite di un evento organizzato dalla Fondazione Gagliardi Marino Angeloni a Cava de’ Tirreni e sarà quella l’occasione di parlare soprattutto di quest’ultima regia.

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