Cent’anni di solitudine su Netflix, i registi: “La serie è fedele al romanzo, abbiamo voluto far sentire Marquez”
L'11 dicembre su Netflix è arrivata Cent'anni di solitudine, la serie tratta dall'omonimo capolavoro di Gabriel Garcìa Marquez, divisa in due stagioni, che provano a raccontare una delle saghe familiari più amate della letteratura mondiale. Una produzione interamente colombiana, a cui hanno contribuito i figli di del Premio Nobel, ovvero Rodrigo Garcìa e Gonzalo Garcìa Barcha, che hanno ceduto i diritti dell'iconico romanzo.
Come Cent'anni di solitudine è diventata una serie
La serie si compone di due stagioni, affidate alla regia di Alex Garcìa Lopez e Laura Mora Ortega, che suelle pagine di Repubblica raccontano la genesi di quest'opera monumentale. Se la stesura del romanzo ha richiesto a Marquez 18 mesi ininterrotti, le riprese della serie sono durate ben 16 mesi. Della possibilità di creare un film da Cent'anni di solitudine se ne parlava da anni, ma mai prima d'ora, lo scrittore colombiano ha voluto cedere i diritti del suo capolavoro, anche perché temeva che gli americani potessero ridimensionare quello che, in fin dei conti, è sempre stato un ritratto allegorico della Colombia. Lopez spiega cosa è cambiato:
Fin da subito si è pensato a un film, ma tra gli anni Settanta e Novanta il mondo audiovisivo era tutto nelle mani di Hollywood. Quando ho visto l’amore al tempo del colera, ho avuto la sensazione che si trattasse di un prodotto europeo o americano, non certo colombiano. Come dicono gli americani, è stato un whitewash totale. In America Latina non c’erano sufficienti risorse finanziare per un progetto così. Ora gli americani si sono abituati a prodotti che arrivano da tutto il mondo, anzi, ne chiedono. Rodrigo ci ha detto. “Ragazzi, non pensate troppo al romanzo, seguite il vostro cuore e divertitevi.
La fedeltà al romanzo
La serie, confermano i registi, è completamente aderente al libro, non solo in termini narrativi, ma anche dal punto di vista linguistico e letterario, sono infatti riportate interamente alcune citazioni del romanzo. La sfida più difficile è stata quella di trovare i volti giusti, come spiega Laura Mora Ortega alla testata:
Macondo e i suoi personaggi sono nella testa dei lettori di tutto il mondo, trovare gli attori per dare loro un volto era l’aspetto che più mi spaventava. Ogni lettore ha la propria Ursula nella testa, il proprio Aureliano Buendìa. Mi metteva ansia scegliere il cast, perché il cinema è tiranno: quella sarà l’immagine del personaggio nel mondo.
In ogni episodio una voce fuori campo, che talvolta rievoca fedelmente il romanzo, è stata una scelta voluta e ragionata, continua ancora la regista ora sul set della seconda stagione:
È stato il nostro modo per far sentire le parole di Garcia Marquez e la loro incredibile bellezza. Siamo di fronte un’opera che non ha perso la sua potenza, sono passati anni, ma la complessità del mondo non ha modificato la natura umana. In questo momento storico abbiamo ancora bisogno dell’utopia di un mondo giusto, dove tutti abbiamo lo stesso accesso al fiume.
Le possibili critiche alla serie
Ciò che dà maggiormente da pensare ad entrambi i registi è che il mondo possa non apprezzare il loro lavoro, ma se anche le critiche dovessero essere più dei pregi, non ne hanno timore:
Niente è piccolo nella nostra serie. Tre frasi nel romanzo possono tradursi in una sequenza con centocinquanta comparse, un asino, un camion, la polvere, fino a oggi abbiamo avuto solo affetto, ma se verranno le critiche le accoglieremo perché è giusto che ci siano altri punti di vista. Da oggi la serie non è più nostra è del mondo. Proprio come il romanzo.