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Hanno ucciso l’uomo ragno serie della nostalgia, Pezzali e Repetto hanno vinto senza tradirsi mai

Arriva su Sky e Now l’11 ottobre “Hanno ucciso l’uomo ragno-La leggendaria storia degli 883”, la serie che come suggerisce il titolo racconta come Max Pezzali e Mauro Repetto siano diventati due icone della musica Anni Novanta. La bravura di Eliza Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli nei panni dei due protagonisti cattura tutta l’attenzione e fa appassionare ad una storia che, pur se incredibile, è accaduta davvero.
A cura di Ilaria Costabile
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È il 2012, in radio esce un brano dal titolo Sempre noi, nella strofa che precede il ritornello, una voce maschile canta: “Chi l’aveva vista mai una storia così e Cisco che rideva, che delirio, cazzo avete combinato?”. Quella voce è Max Pezzali, la storia di cui parla, quella degli 883, e a pensarci bene, com’è nato il principale gruppo italiano degli Anni Novanta è davvero una storia incredibile.

A raccontarla ci ha pensato Sydney Sibilia, regista del grande successo di Mixed by Erry, che ha co-firmato insieme ad altri nomi noti del panorama cinematografico e seriale italiano, la serie Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883 prodotta da Sky Studios e Groenlandia di Matteo Rovere, i cui episodi saranno disponibili dall’11 ottobre su Sky e NOW. Ed è uno di quei prodotti che, davvero, una volta visto avrete voglia di rivedere ancora, ancora e ancora.

Gli ingredienti per mettere in piedi una storia che funzioni ci sono tutti: due ragazzi appassionati, un’amicizia viscerale, la provincia italiana, una storia d’amore che non decolla (o quasi), l’inaspettata e romantica convinzione di poter fare qualcosa che possa cambiare le sorti di una vita che sembra già scritta e, infine, la consapevolezza di riuscirci partendo dal nulla. Se a questo, poi, si aggiunge la bravura di due giovanissimi attori come Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, allora, il gioco è fatto.

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Voce narrante sin dal minuto uno, un 18enne Massimo Pezzali, che deve fare i conti con la sua bocciatura a scuola, dopo un’estate trascorsa tra consegne a futuri vip come Maria De Filippi, e innumerevoli funerali per il negozio di fiori dei suoi genitori. E già qui si delinea la figura di un ragazzo come tanti, con le sue passioni, le sue manie. Mai come in questo caso, il detto “non tutti i mali vengono per nuocere” calza a pennello. L’incontro con Mauro Repetto avviene il primo giorno nel nuovo liceo, è da quel “Ma perché Massimo e non Max?”, accompagnato da una vigorosa stretta di mano, che la vita dei due ragazzi pavesi è destinata a cambiare per sempre.

Gli otto episodi della serie raccontano la scalata, a più riprese, verso la notorietà improvvisa e inaspettata: “I mediocri fanno la gavetta, i fighi no”, dice un esaltato Repetto a Pezzali, e in effetti, pur essendosi sempre descritti come degli sfigatelli, la loro gavetta non è durata poi così tanto. Il sogno di Mauro diventa anche quello di Max che la musica l’aveva teorizzata, l’aveva scritta, cantata, ma mai con l’intenzione di farla diventare qualcosa di importante, se non per conquistare l'amore del momento.

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La tavernetta diventa il loro regno, lì scrivono, arrangiano, compongono ed è una goduria vedere come nascono "Non me la menare" e "Con un deca", ma ciò nonostante continuano a essere nient'altro che due ragazzi di provincia, in giro col "fiorino" e la birra da bere lungo il fiume. Mai pensare che Jovanotti possa chiamarli nel suo programma, che Claudio Cecchetto (uno spassosissimo Roberto Zibetti), il talent scout per eccellenza, possa ascoltare la loro cassetta e crearne, non con qualche difficoltà, due star. Mai immaginare che in un appartamento stracolmo in quel di Milano si possa incontrare Sandy Marton e un Fiorello agli albori, pronto a diventare uno showman. È così che Max e Mauro superano il confine tra fantasia e realtà, abbandonando quello che nelle loro più floride ipotesi era solo un sogno, trasformandolo in qualcosa di tangibile. La rivoluzione musicale degli 883 è, come tutti gli atti rivoluzionari, qualcosa che parte dal basso, che si nutre di intuizioni quotidiane, di racconti in cui identificarsi, di sentimenti genuini, aspirazioni contenute che accomunano i ragazzi di provincia, ma che a dire il vero sono il ritratto di una intera generazione che in quei due “impresentabili” si è riconosciuta.

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La cosa che più attrae, come una calamita, di questa serie che scivola, scorrevole e divertente è la sintonia, davvero perfetta, che i nuovi Max e Mauro, sono riusciti a ricreare sulla scena. Non ci sono tempi morti, il racconto procede spedito, non c’è uno sguardo che non sia giusto, un tempo comico che non sia azzeccato. Le interazioni tra i due sono irresistibili: Mauro è un vulcano, irrequieto, desideroso di scoprire, di conoscersi, di buttarsi a capofitto alla ricerca di quel qualcosa che da sempre gli manca per eccellere; Max invece, riflessivo, timido, ma allo stesso tempo intuitivo e geniale, è tra i due quello meno spavaldo che, però, ha solo bisogno di essere trascinato.

Se Matteo Oscar Giuggioli ha confermato la sua bravura, già riscontrabile in titoli come Il filo invisibile e Vostro Onore, Elia Nuzzolo è una scoperta strepitosa, è riuscito a plasmarsi su un personaggio noto ai più, senza nascondere se stesso, ma soprattutto senza oscurare la vera essenza di un ragazzo come tanti nei primi Anni Novanta. A dimostrazione del fatto che il talento quando c’è si vede, è lampante, non si può non riconoscere e valorizzare.

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Ed è quello che è accaduto agli 883. È questo che ha voluto raccontare Sibilia parlando di un fenomeno di massa, sebbene siano raccontate solo le prime fasi della loro parabola artistica, la cui eco si sente ancora oggi. Il regista continua a seguire quella che appare come una vocazione nel voler raccontare l'incredibile, quelle storie consumatesi in sordina, capaci di sovvertire gli immaginari, supportando l'idea che la straordinarietà si nasconde nella speranza, nella fiducia che qualcosa di grande possa veramente accadere, con tutto ciò che ne consegue. E, in fondo, il brano che ha determinato il successo della band è "Hanno ucciso l'uomo ragno" una canzone che ha venduto milioni di dischi e che parla di sogni infranti, ma anche di chi forse non ha fatto di tutto per inseguirli, come invece quei due ragazzetti di Pavia hanno voluto fare, senza farsi schiacciare dalla paura di non farcela.

I nostalgici ameranno questa serie, si riconosceranno nelle canzoni, nelle abitudini, nella visione di due adolescenti per cui la musica era qualcosa di irreale. Si rimpiangerà la tv, quella che dava voce a chi davvero non aveva altro modo di farsi vedere, si ricorderanno i tempi d'oro in cui, i talenti, si scoprivano per caso, si promuovevano, gli si dava fiducia senza vedere quanti followers avessero, perché l'unico biglietto da visita erano loro stessi a braccetto con la loro arte.

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Vale la pena vederla, fosse anche solo per fare un tuffo nel passato, e perché chi dice di non aver mai ascoltato una canzone degli 883 mente, nascondendosi dietro lo snobismo che per anni ha accompagnato, parallelamente al successo, quel duo strano, in cui se l'uno cantava l'altro ballava senza sosta sul palco. La bellezza di questa storia sta nell'essere troppo assurdamente semplice, in salita, per non essere straordinaria e la grandezza di Max Pezzali e Mauro Repetto è sempre stata questa: la capacità di parlare a chiunque senza giri di parole. In quei testi, quelle canzoni che i primi fan hanno imparato e cantato squarciagola, c'era forse la forma più grande di originalità: l'essere normali e stracolmi di una irriverente e sana umanità.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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