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Janeth, uccisa per difendere l’ambiente: l’hanno buttata in una discarica

Ancora morte tra i difensori dell’ambiente. In Honduras, Lesbia Janeth Urquía è stata uccisa a colpi di macete e gettata in una discarica. Nelle Filippine, Gloria Capitan è stata freddata da due killer in un bar. Lesbia e Gloria lottavano contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturale nei loro Paesi. Solo nel 2015 sono 185 gli ecologisti uccisi.
A cura di Mirko Bellis
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In Honduras, dopo l’omicidio della famosa ambientalista Berta Cáceres, un'altra attivista indigena è stata uccisa. Lesbia Janeth Urquía, quarantanove anni, è stata trovata senza vita il 6 luglio scorso in una discarica di spazzatura a Marcala, nella regione di La Paz, circa 160 chilometri a ovest della capitale Tegucigalpa.

Lesbia Janeth Urquía, madre di tre figli, apparteneva al Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), un’organizzazione non governativa fondata da Berta Cáceres. Il Copinh da tempo lotta contro la costruzione di centrali idroelettriche e Lesbia era impegnata contro il progetto di una diga sul fiume Chinacla nell’Honduras occidentale, la cui realizzazione inonderebbe gran parte del territorio del popolo indigeno dei Lenca. Dietro alla costruzione della diga Aurora I nel comune di San Josè – denuncia il Copinh in una nota – ci sarebbero la presidente del Partito del Congresso Nazionale, Gladys Aurora Lopez, e il marito.

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Secondo le prime ricostruzioni della polizia, la donna sarebbe uscita di casa nel pomeriggio in bicicletta come faceva di solito. Non vedendola rientrare, i familiari hanno subito dato l’allarme. Poco dopo, la tragica scoperta in una discarica di Marala del corpo senza vita di Lesbia uccisa con un colpo di machete alla testa. La morte dell’ambientalista ha causato una profonda costernazione in Honduras e ha scatenato numerose proteste a livello internazionale. L’Unione Europea in una nota si è detta molta preoccupata per il clima di violenza contro gli attivisti dei diritti umani in Honduras e per la quasi totale impunità di questi delitti.

Nel Paese centroamericano, infatti, per molti attivisti cercare di proteggere le terre ancestrali dalla deforestazione e dallo sfruttamento significa la morte. Nel marzo scorso, Berta Cáceres, leader ambientalista della comunità indigena, venne uccisa nella sua casa a La Esperanza. Nel 2015 Cáceres era stata premiata per le sue battaglie sociali e ambientali con il Goldman Environmental Prize (l’equivalente di un Nobel “verde”), la più alta onorificenza che dal 1990 premia gli attivisti di tutto il mondo che si dedicano alla salvaguardia dell’ambiente. Le reazioni internazionali e le proteste che seguirono alla sua morte portarono all'arresto di quattro persone, tra cui un responsabile della società Desa – a capo del progetto per la costruzione della gigantesca diga di Agua Zarca – e un maggiore dell’esercito.

Da allora si è assistito ad un repressione sempre più forte nei confronti dei membri del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh). Secondo la Ong Global Witness, in Honduras sono oltre cento gli attivisti assassinati tra il 2010 e il 2015 e la maggior parte di questi crimini resta senza colpevoli. Nel caso dell’omicidio di Lesbia Janeth Urquía, il gruppo accusa apertamente il governo di Juan Orlando Hernández e le forze di sicurezza honduregne di essere i responsabili della morte dell’attivista. “Quello di Lesbia Janeth – si legge in un comunicato del Copinh – è un omicidio politico che cerca di mettere a tacere le voci delle donne che con coraggio lottano per difendere i loro diritti”. Nel frattempo, il pubblico ministero ha ordinato la formazione di una squadra speciale per condurre l'indagine sull'uccisione della donna con il compito di trovare “gli autori materiali e intellettuali del crimine”.

L’Honduras purtroppo non è l’unico luogo dove difendere l’ambiente può significare la morte. Il primo luglio nelle Filippine, Gloria Capitan, un’ambientalista che si opponeva alla costruzione di una nuova centrale a carbone è stata uccisa a colpi di pistola da due killer nel suo bar a Mariveles, nell'isola di Bataan. “La sua morte sembra essere direttamente legata al lavoro di opposizione al progetto”, ha dichiarato Reuben Muni, di Greenpeace. “Se l’uccisione di Gloria è un messaggio finalizzato ad intimidire gli altri attivisti anti-carbone – ha commentato Val De Guzman, del Movimento delle Filippine per la Giustizia Climatica – gli assassini perdono tempo”. “Questo delitto non fa altro che rafforzare le nostre convinzioni. La maledizione del carbone deve finire”, ha concluso. Secondo quanto riferito dalla polizia, ancora non è stato eseguito alcun arresto per l’omicidio di Gloria Capitan, confermando il fatto che le Filippine siano uno dei paesi più pericolosi al mondo per i militanti ambientalisti. Secondo l’organizzazione non governativa Global Witness, solo nel 2015 nella nazione asiatica sono stati uccisi trentatré ecologisti. E molti di questi crimini rimangono senza responsabili, una vera e propria “cultura dell’impunità”.

185 ecologisti uccisi solo nel 2015

Una ricerca pubblicata da Global Witness ha confermato che il Brasile e le Filippine sono i due Stati più pericolosi al mondo per gli ambientalisti. La stessa Ong ha ricordato in un rapporto che sono ben 185 i militanti assassinati in sedici paesi lo scorso anno. In testa alla lista delle nazioni più pericolose per chi difende l’ambiente c’è il Brasile, nel quale tra il 2010 e il 2015 sono stati uccisi 207 ecologisti.

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