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Trent’anni fa veniva scoperta l’AIDS: oggi il mostro è ancora in vita

Sono trascorsi tre decenni da quando un’equipe di studiosi statunitensi riscontrarono per la prima volta il virus dell’HIV. Una fotografia della situazione attuale tra progressi e mancanze da colmare.
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Era il 5 giugno del 1981 e il Centro per il Monitoraggio e la Prevenzione delle Malattie negli Stati Uniti individuava una precisa patologia a carico dei polmoni, la pneumocistosi polmonare, su 5 individui, tutti omosessuali. Siamo agli albori dell’individuazione del virus dell’HIV che inizialmente andò sotto il nome GRID, ovverosia Gay Related Immune Deficency (immunodeficienza dei Gay) e quella polmonare era una delle molteplici manifestazioni della malattia. Successivamente gli studiosi si avvidero del fatto che circa la metà dei soggetti colpiti dalla sindrome non erano omosessuali e, nel 1982, la malattia legata al virus dell’HIV venne chiamata com’è tutt’ora conosciuta ovverosia AIDS (in francese SIDA).

Sul sito  Helpaids si legge che: “appartiene alla famiglia dei lentivirus, è un virus ad RNA che infetta esclusivamente l'uomo. Deriva filogeneticamente dal Simian Immunodeficiency Virus (SIV), retrovirus responsabile di un'infezione acuta che colpisce alcune specie di scimmie nell'Africa occidentale.
Il virus infetta prevalentemente le cellule del sistema immunitario e fra queste in particolare i linfociti CD4 (cellule helper), fondamentali per la regolazione delle difese immunitarie.“

Ormai tutti dovremmo conoscere le modalità di trasmissione della patologia, ciononostante un breve riepilogo potrebbe essere utile. Il virus dell’HIV si trasmette in primis per via sessuale, specialmente durante  rapporti anali, attraverso il contatto con il sangue e i suoi derivati (siringhe infette o strumenti per la pulizia dentale non sterilizzati, ferite), oppure per trasmissione verticale, da madre a figlio, specialmente durante la gravidanza, il parto e l’allattamento. Per questo si consiglia alle madri sieropositive di sottoporsi al parto cesareo e  comunque di non allattare i propri figli.

Già, perché sebbene siano trascorsi 30 anni dalla sua scoperta, e l’innovazione scientifica ha permesso di fare enormi passi avanti soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e la diagnosi, non è stato ancora validato un vaccino per debellare il virus dell’HIV, che più o meno lentamente conduce all’AIDS.

Una delle terapie per migliorare le condizioni dei malati di Aids prevede il cosiddetto vaccino terapeutico Tat, noto per essere  il Vaccino AIDS Italiano. Attraverso la sperimentazione del vaccino in studi preclinici è stato notato il successo della terapia, in quanto la cura riporta alla normalità le funzioni immunitarie degli individui affetti da Sindrome da Immunodeficienza Acquisita. Un successo, come abbiamo detto, made in Italy nonostante in Italia non si donino più soldi al Fondo: a sviluppare il vaccino è, infatti, la  dottoressa Barbara Ensoli, del Centro Nazionale AIDS dell’Istituto superiore di Sanità. Secondo i risultati dell’ analisi ad interim della sperimentazione clinica di fase II, dopo 48 settimane di terapia con il vaccino TAT e la terapia antiretrovirale, il sistema immunitario dei malati (circa 87 quelli che hanno risposto positivamente) migliora notevolmente. Ad ogni modo la strada da fare è ancora tanta, specialmente nei paesi in via di sviluppo dell'Africa sub-sahariana che presentano un'alta percentuale di individui sieropositivi, soprattutto giovani e di sesso femminile, spesso inconsapevoli della loro situazione.

Sul piano della condivisione della vita con i sieropositivi, nonostante i primi anni segnati dal terrore dell’HIV, durante i quali gli individui affetti dalla sindrome erano considerati  alla stessa stregua degli untori, da tempo tutti sanno che la convivenza con una persona sieropositiva può essere possibile. Starnuti, saliva, carezze, baci, punture di insetti e condivisione di stoviglie non determinano, infatti, la trasmissione del virus. Per proteggersi “l’arma” più efficace è il preservativo ma, dopo il boom degli anni '80-'90 sono state davvero poche le comunicazioni volte a promuovere l’utilizzo del contraccettivo in relazione all'AIDS. Quella della comunicazione sull'HIV fu più una moda del tempo, rinvenibile ad esempio negli annunci stampa di Oliviero Toscani per Benetton, che un chiaro obiettivo di comunicazione sociale. Attualmente la maggior parte delle comunicazioni sul tema ha luogo sui social media oppure in occasione della Giornata Mondiale dell'Aids che si celebra il primo dicembre di ogni anno.

Un obiettivo che, invece, vale la pena tirare fuori dal cassetto delle azioni dimenticate. Vale la pena spendere parole e risorse affinché contrarre l'AIDS diventi un'eventualità e non un rischio sistematico cui ci si espone incoscientemente. Come si legge nel Rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, nonostante gli inestimabili progressi scientifici le risorse per sostenere le ricerche cominciano a scarseggiare; queste le parole di Ban Ki Moon: "le risorse internazionali necessarie a sostenere questi progressi sono diminuite per la prima volta in 10 anni, nonostante l'enorme lavoro ancora da fare".

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