Picchia la figlia a morte, poi esce di casa per andare a bere un caffé e fumare
Mentre sua figlia di 3 anni giaceva a terra priva di sensi, lui cercava di capire “come bere un caffè e fumare una sigaretta”. Matthew Lee Williamson, di Brisbane, è stato condannato a 9 anni in Cassazione per l’omicidio di sua figlia Kyhesha-Lee Joughin, morta nel marzo 2013 dopo aver subito abusi fisici e sessuali. La Suprema Corte è arrivata alla sentenza grazie alle prove fornite dall’ex coinquilino di Williamson, Christopher Kent, che in precedenza ha trascorso 19 mesi in prigione dopo essersi dichiarato colpevole dell’omicidio della bambina. L’uomo ha ripercorso i concitati momenti del malore subito da Kyhesha, quando avrebbe cercato di “rianimare” la piccola dopo aver notato che “aveva le labbra blu”. Ha “cercato di svegliare Williamson, che dormiva su un divano vicino, per farmi aiutare”. Il padre della bambina però “non ha fatto niente, mi ha detto solo voleva uscire per bere un caffè e fumare una sigaretta”.
Oltre alle lesioni interne, la corte ha accertato che Kyhesha-Lee aveva subito contusioni al viso, tagli ad un orecchio e al labbro, e una ferita allo stomaco compatibile con un colpo subito da un pugno o da un calcio di un adulto. Williamson avrebbe negato di aver mai picchiato la figlia, ma il suo ex coinquilino ha detto ai giudici di aver assistito in prima persona ad “abusi fisici regolari” avvenuti nel corso di tre anni, cioè nel periodo in cui ha vissuto con il padre e la figlia in una unità di Petrie a Brisbane. “Dormiva tutto il giorno e spesso chiudeva la figlia nella sua camera da letto per ore. Si sarebbe infuriato a morte se la piccola avesse fatto i suoi bisogni in giro per la stanza”. Nelle settimane prima della sua morte, Williamson avrebbe colpito la piccola in faccia con un pugno molto forte, secondo Kent. “Sembra che stesse combattendo con un adulto” ha detto il suo ex coinquilino.