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La storia di Pelle, che ha lottato anni per provare che suo padre avesse ucciso sua madre

Una storia incredibile, che arriva dagli Stati Uniti e che riguarda la lunga battaglia giudiziaria di un ragazzo per provare che il padre fosse colpevole dell’omicidio della madre, una brillante scienziata morta nel 2011.
A cura di Redazione
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Il 27 settembre Uta von Schwedler, ricercatrice di livello internazionale specializzata in leucemia infantile, veniva ritrovata cadavere nella vasca da bagno del suo appartamento a Sal Lake City, negli Stati Uniti. Il medico legale stabilì che Uta fosse morta per annegamento, ma senza chiarire se si fosse trattato di omicidio, suicidio o di un banale incidente. Il corpo della donna, infatti, presentava alcuni tagli superficiali e le analisi mostrarono elevatissime dosi di Xanax in circolo nel suo organismo. La tesi del suicidio era poi avvalorata anche dal suo ex marito, John Brickman Wall, medico di fama, che aveva ingaggiato con la donna una lunga battaglia per l’affidamento esclusivo del figlio Pelle.

Sul fatto che Uta avesse potuto suicidarsi erano però in molti ad avere dubbi. A cominciare da Nils Abramson, il nuovo compagno della donna, e dal figlio Pelle, secondo i quali la donna non avrebbe avuto alcun motivo per togliersi la vita: senza contare il fatto che, come dissero subito agli inquirenti, “non aveva mai preso lo Xanax in vita sua”. Certo, non vi era nessun segno di irruzione all’interno dell’appartamento ed era stata ritrovata una delle foto preferite della donna nello sciacquone del water: ma bastava questo per far pensare al suicidio?

Non secondo il figlio Pelle, che decise di cominciare una lunga battaglia legale per provare che il colpevole fosse il padre. Il ragazzo, che allora aveva solo 17 anni, viveva col padre e con i fratelli ed era diventato il primo beneficiario dell’eredità della madre. Appena compiuti 18 anni, temendo per l’incolumità dei fratelli, aveva abbandonato la casa del padre e aveva chiesto al tribunale che fossero tolti dalla sua custodia ed affidati ai servizi sociali. Ne era nato un contenzioso legale, mentre Pelle decideva di investire tutta la sua eredità per dimostrare che ad uccidere sua madre fosse stato il padre.

Così i legali del ragazzo avevano interrogato John, mettendo in luce una serie di contraddizioni che evidentemente erano sfuggite agli inquirenti che avevano chiuso il caso di Uta con troppa leggerezza. Prima di tutto John ammise per la prima volta di aver visto Uta il giorno della sua morte per discutere dell’affidamento dei figli, circostanza sempre negata fino ad allora. Poi fu piuttosto contraddittorio sul graffio all’occhio con il quale si presentò lo stesso giorno ai figli per raccontare loro della morte della madre. Infine, un ulteriore elemento emerse con decisione: John aveva prescritto alla sua anziana madre una confezione di Xanax, andando lui stesso in farmacia a ritirarla; ma quella confezione non raggiunse mai l’anziana donna e, dunque, ipotizzarono i legali di Pelle, avrebbe potuto essere usata per drogare Uta.

La questione finì in Tribunale, ma in primo grado John fu assolto. Neanche allora Pelle si diede per vinto e, nel processo di appello, produsse nuove prove: in particolare una perizia accertò che Uta “lottò per vivere con un aggressore che conosceva” e nuovi rilievi sulle ferite della donna evidenziarono fluidi corporei del suo ex marito. Così, pochi giorni fa il nuovo verdetto ha dichiarato John colpevole di omicidio preterintenzionale, condannandolo a 15 anni di carcere.

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