Dieci anni di Facebook: le dieci parole che non sono più le stesse
1. Amici: Il fantacalcio e i derby a rutto libero, il sushi della domenica con resoconto totale delle nostre vite. Dimenticate tutto: “amici” adesso è il termine con cui si misura il valore sociale di ogni individuo. Ne hai più di 1000? Ottimo! 4000? Sei una superstar! 300? ‘Mazza che sfigato. Meno di 100? Oddio, sei un sociopatico…
2. Condividi: Qualche tempo fa chiacchieravo con un ragazzo di dieci anni più giovane di me. Non so cosa mi passasse per la testa in quel momento, forse vittima di una certa fascinazione da toy boy mi ritrovo a dirgli: con l'uomo che amo voglio condividere tutto. E lui: per questo hanno inventato Facebook! E lì ho capito che il termine “condividere” aveva assunto ormai ufficialmente un altro significato. E che il toy boy va bene solo se è Ashton Kutcher, almeno.
3. Eliminare: l’accollo 2.0 è la chat di Facebook, con cui gli uomini tentano ogni tipo di approccio tutti con lo stesso fine ma con personalità diverse: l’amicone “io per te ci sono sempre, eh” il tipo senza scrupoli “Ti voglio.” (col punto, segue descrizione delle sue performances), quello che finge di sentirsi in dovere (solitamente una persona che avete incontrato una volta sette anni fa) “Ciao! Scusami se non mi sono fatto più sentire…” EH? No.
4. Foto: Su booking.com stanno per inserire il criterio: dove vorresti scattare la tua nuova foto profilo? Non c’è cammello su sfondo piramidi, notte da leoni, composizione di sushi che ormai abbia un senso per se stesso. A che serve andare a un party se nessuno mi vede sorridere a tremila denti? Per quale motivo mi laureo in medicina se non mi posso sparare il selfie dalla sala operatoria con background budella? Insomma, a che serve fare qualsiasi cosa se nessuno lo sa?
5. Gruppo: Essere disoccupati da due anni e ritrovarsi nel gruppo “Odio il lunedì”. Essere allergico ai gatti e ritrovarsi in “Aiutiamo Fiffy e gli altri micini a trovare una casa, ADESSO”, non sottovalutate la potenza del gruppo a cui vi hanno aggiunto random. Ricordatevi: il Winner Taco sta tornando grazie a un gruppo su Facebook. Altro che legge dell’attrazione.
6. Mi piace: Siamo schiavi del mi piace. Scrivere uno status particolarmente sentito, postare un link in cui mettiamo tutti noi stessi e non ricevere neanche un like equivale a sentirsi un diseredato che manco alla festa delle medie mentre in un angolo mangiucchiavi il tuo bicchiere col nome sperando di essere notato. Mi piace è il nuovo consenso sociale, solo che moltiplicato su una moltitudine di estranei da cui, improvvisamente, dipende tutta la nostra autostima.
7. Postare: Siete single and fabulous? Foto con rossetto rosso bene in vista per capire se ‘sto sabato riuscite a svoltarlo o no. Lui ha scritto una cosa demenziale sulla bacheca di una e a te non ti pensa? Status in cui la stupidità umana non smette di sorprendervi. Non sapete che cavolo dire oggi e postate l’oroscopo di Brezny, tanto tira sempre? Avete preso un gattino? Inutile dire il perché.
8. Quando? Il tempo di Facebook è un eterno presente in cui non ci si perde mai di vista, più che altro perché ci si spia a vicenda. Da qui una certa freddezza reciproca quando ci si incontra dopo tanti anni. Come stai? (Lo so) Cosa fai adesso? (Lo so) Sei fidanzato? (E figurati se non lo so, so pure con chi ti ha messo le corna la tua ex!) Quindi a ‘sto punto che ci salutiamo a fare?
9. Seguaci: nel tentativo di tradurre “followers”, termine importato dal nemico di sempre Twitter, Facebook ci ha reso tutti dei piccoli Sai Baba. Poi dicono che uno si monta la testa.
10. Visualizzato: flagello che colpisce ormai tutte le chat, questa malefica precisazione ha il potere di distruggere amori, amicizie, famiglie, rapporti di lavoro. Ma se hai letto quello che ti ho scritto, perché ca#@o non mi ca@hi?